Di Ipparco, moderatore della sezione barefoot del FORUM IL CAVALLO, al secolo Leonardo de Curtis, un bel saggio sulla laminite, una malattia indotta dall’antropizzazione, l’opera di trasformazione dell’ambiente naturale attuata dall’uomo per soddisfare le proprie esigenze e “migliorare” la qualità della vita.
Non si tratta di una lettura semplice, almeno a tratti, ma conoscete qualche cosa che non sia complicato? Spesso abbiamo a che fare con attività che finiamo col definire facili, almeno una volta fatta esperienza e preso confidenza. Facili, ma complicate dal gran numero di variabili che abbiamo imparato tuttavia a gestire con il tempo con disinvoltura. L’infiammazione, cui è dedicato questo articolo, è qualche cosa di simile. Le cause sembrano essere tante, molteplici, e lo zoccolo un parafulmine. Manca un comune denominatore se non il disordine metabolico. E’ mancata finora l’identificazione dell’anello che, rotto, eviterebbe l’esito. “Le ricerche attualmente in corso puntano ad identificare un fattore scatenante (o anche solo un anello della catena) che sia comune a tutte queste cause “macroscopiche”, nella speranza di poter interrompere il processo intervenendo farmacologicamente in modo opportuno. Personalmente su questo particolare aspetto sono abbastanza scettico….” Anche io (FB) sono scettico. Cercare un anello, una chiave farmacologica per la risoluzione del problema non credo rappresenti una strategia corretta quanto la restituzione a questi animali del diritto ad una vita più consona alla loro natura. Certo, ci sono animali che, a dispetto della qualifica di “domestici”, domestici non sono e sembrano soffrire maggiormente della riduzione in cattività. I mustang questo anello, che sfugge all’identificazione dei ricercatori, lo hanno spezzato. Tornano ad esserne vittime con la cattura…
Su un punto desidero esprimere la mia opinione. Nella parte dedicata al “primo soccorso” Leonardo scrive : “chiamate il veterinario immediatamente”. Jackson nel suo famoso “Founder” mette la chiamata al veterinario proprio tra le cose da non fare: Il veterinario, che prima di fare il veterinario è un uomo comune, è soggetto alle stesse pressioni ed ai retaggi del passato. Non è altro che uno degli anelli della catena che hanno fatto precipitare il cavallo nella malattia. Malattia che quasi sempre ha un inizio subdolo e lento che trova causa nella gestione complessiva e nella ferratura che non si è stati in grado di riconoscere e valutare o cui si è scelto di non fare opposizione. Per ricondurre l’animale verso la normalità è necessario essere aggiornati ed avere colmato le lacune lasciate dai programmi universitari. Caveat emptor. Un conto sono i sintomi ed i rimedi transitori altro la riabilitazione. Un conto il precoce riutilizzo dell’animale richiesto dal proprietario altro la prevenzione. Ma diamo la parola a Leonardo.
Ho pensato che potesse essere utile cercare di raccogliere nel modo più sintetico possibile alcune informazioni utili per chi si dovesse malauguratamente imbattere in questo problema.
Il topic non ha pretese di completezza od esaustività , ma vuole solo rappresentare un punto di partenza per persone (e cavalli) in difficoltà . Invito tutti coloro che hanno esperienza e competenza in materia ad ampliare ed estendere le informazioni con articoli, studi/casi clinici ed esperienze personali.
(tratta da Laminitis Research at the Australian Equine Laminitis Research Unit, Pollitt et al. 2005)
Definiamo il problema
Il termine “laminite” tecnicamente indicherebbe un’infiammazione delle lamine dermiche, ma è in corso un’accesa disputa sul fatto se l’infiammazione sia causa o conseguenza di altri fenomeni.
Anche se su molti aspetti di questa patologia il dibattito scientifico è tuttora aperto, sembra ormai dimostrato che un punto comune a tutti i casi di laminite acuta sia una rapida (ore) degenerazione della Membrana Basale [Pollitt, 2005], che si trova al confine tra derma ed epidermide ed ha il compito di garantire l’adesione tra il tessuto connettivo che circonda la falange distale ed il tessuto corneo che forma lo zoccolo.
Gli studi eseguiti presso la “Australian Equine Laminitis Research Unit” della Scuola di Scienze Veterinarie presso l’Università del Queensland, negli ultimi 15 anni hanno dimostrato come le precedenti teorie basate sul modello ischemico in molti casi fossero prive di fondamento, mentre appaiono sempre più promettenti i risultati ottenuti attraverso lo studio approfondito dei sistemi enzimatici che in condizioni normali controllano lo scorrimento della muraglia rispetto alla falange distale. Ci si è focalizzati in particolare sull’ipotesi che tossine generate o assorbite altrove nell’organismo raggiungano lo zoccolo attraverso l’apparato circolatorio, attivando alcuni complessi enzimatici e dando il via ad un processo che si autoalimenta. Un’altra ipotesi ritenuta plausibile punta l’indice sull’effetto di alte concentrazioni di insulina nel sangue (iperinsulinemia)
Cause
Mentre i processi che portano alla perdita di controllo dei processi enzimatici che distruggono la coesione tra derma ed epidermide non sono ancora stati accertati tutti nel dettaglio (almeno fino a questo momento), è stato possibile identificare empiricamente molte cause macroscopiche che possono portare alla distruzione della Membrana Basale ed alla conseguente separazione della muraglia dalle strutture sottostanti.
Molte di queste cause scatenanti sono strettamente legate all’apparato digerente del cavallo ed alla sua alimentazione, e sicuramente al primo posto per frequenza si trova il sovraccarico da carboidrati non strutturali. Semplificando al massimo, il meccanismo di azione più probabile sembra essere quello di una proliferazione incontrollata di batteri (Streptococcus spp in primo luogo) nel colon e nell’intestino cieco, che produrrebbero fattori di attivazione per gli enzimi Metalloproteinasi-2 e Metalloproteinasi-9, responsabili per la distruzione della Membrana Basale, che raggiungono attraverso il sistema circolatorio.
Anche se tutti i carboidrati non strutturali (zuccheri e amidi, in primo luogo) possono scatenare episodi di laminite se assunti in quantità eccessive, un’attenzione particolare va riservata ai fruttani (o Frutto-Oligosaccaridi), in quanto questi polisaccaridi non possono essere assorbiti nell’intestino tenue e raggiungono inalterati il colon, dove diventano un substrato eccellente per la proliferazione dei batteri di cui sopra.
Dato che alcune varietà di erbe, in alcuni periodi dell’anno, possono contenere altissime concentrazioni di fruttani (prossime al 50% del peso secco), ecco spiegato come mai cavalli lasciati al pascolo a volte siano colpiti da questa condizione, soprattutto in primavera.
Altre cause meno frequenti ma da non trascurare possono essere:
- Resistenza all’insulina (analoga al diabete di tipo II negli umani. Attualmente uno dei filoni di ricerca seguiti sta cercando di stabilire l’effetto dell’insulina sui cheratinociti. Rif: Induction of laminitis by prolonged hyperinsulinaemia in clinically normal ponies. Katie E. Asplin, Martin N. Sillence, Christopher C. Pollitt, Catherine M. McGowan);
- Sindrome di Cushing ( conseguenza di un tumore alla ghiandola pituitaria );
- Incuria prolungata;
- Laminite da asfalto (causata da lavoro prolungato su terreni duri in combinazione con muraglie eccessivamente lunghe);
- Gravi carenze alimentari;
- Congestione (ad esempio grandi quantità d’acqua fredda subito dopo un lavoro intenso);
- Obesità;
- Traumi;
- Periodi prolungati in cui un piede non possa portare peso: il controlaterale potrebbe sviluppare una laminite da stress;
- Iperlipemia;
- Setticemia;
- Ritenzione della placenta;
- Overdose da corticosteroidi;
- Debilitazione estrema;
- Intossicazioni (a causa di tossine presenti nell’ambiente);
- Ipoglicemia (anche limitata ai soli tessuti del piede, ad esempio a causa di problemi circolatori o metabolici);
- Ischemia;
- Altro… (la lista dovrebbe essere costantemente aggiornata in base agli sviluppi della ricerca scientifica)
Le ricerche attualmente in corso puntano ad identificare un fattore scatenante (o anche solo un anello della catena) che sia comune a tutte queste cause “macroscopiche”, nella speranza di poter interrompere il processo intervenendo farmacologicamente in modo opportuno. Personalmente su questo particolare aspetto sono abbastanza scettico, perché la mia sensazione (da profano, tengo a precisare) è che se anche l’esito sembra sempre lo stesso, non è detto che la strada per arrivarci sia una sola.
Sintomi
I sintomi, sia acuti che cronici, della laminite dovrebbero essere noti a tutti coloro che abbiano a che fare con cavalli, asini, zebre o muli. Questo perché solo un intervento tempestivo alle prime avvisaglie del problema può evitare le conseguenze più gravi (su cui tornerò tra poco) e garantire un recupero al 100%.
L’elenco dei sintomi più comuni di un caso acuto è:
- Cavallo depresso, con battito cardiaco e ritmo respiratorio accelerati a causa del dolore acuto;
- Sudorazione soffusa;
- Cavallo immobile che rifiuta di muoversi;
- Il cavallo colpito tiene gli arti anteriori molto avanti a sé caricando maggiormente i posteriori per ridurre il carico sulle lamine doloranti se sono colpiti gli anteriori. Molto più raramente sotto di sé, se ad essere colpiti sono i posteriori;
(immagine tratta da http://www.naturalhorseworld.com/Laminitis.htm) - Polso digitale aumentato (si sente dietro il nodello, sopra ai sesamoidi);
- Piedi caldissimi al tatto (infiammazione delle lamine).
Studi clinici (Pollitt, 1996) hanno mostrato una buona correlazione statistica tra la gravità della zoppia (definita secondo la scala Obel, 1948) e l’estensione ed effettiva gravità del danno a livello istologico.
Esiste quindi anche la possibilità di un decorso sub-acuto, durante il quale il cavallo mostra sensibilità su terreni che normalmente non gli creano fastidi, i piedi hanno una temperatura solo leggermente più elevata del normale ma molti degli altri sintomi non si presentano. Questa forma di solito è legata ai disturbi metabolici come la resistenza all’insulina. Cerchiature o segni rossi sulla muraglia, ascessi, crescita “a ventaglio”, obesità, perdite di peso anomale, pelo ispido, opaco, o un manto invernale che non muta, suole piatte, stiramento laminare o separazione della linea bianca, sensibilità degli zoccoli, riottosità o pigrizia dovrebbero essere tutti segnali di allarme per chi gestisce cavalli, che suggeriscono la necessità di rivedere radicalmente l’alimentazione dell’animale e sono spesso precursori di problemi decisamente più seri. Spesso un intervento tempestivo in presenza di questi segnali può prevenire l’insorgere della laminite e delle sue conseguenze.
I segni che invece indicano una laminite cronica, che solitamente (ma non necessariamente) è conseguenza di un caso acuto non opportunamente seguito, sono:
- Muraglia visibilmente cerchiata;
- Talloni lunghi e punta incurvata verso l’alto;
- Produzione di materiale corneo displastico da parte delle lamine dermiche, con la formazione del cosiddetto “cuneo lamellare” tra suola e muraglia;
- Rotazione della muraglia rispetto alla terza falange all’esame radiografico;
(esempio drammatico di laminite cronica da incuria, foto di mia proprietà)
Conseguenze
Le conseguenze di un attacco acuto di laminite possono variare enormemente in base alle circostanze in cui esso avviene.
Il rischio principale è che si verifichi la separazione meccanica della muraglia dall’osso triangolare a causa delle forze che agiscono sulla muraglia. Qualora questo accada, le probabilità di danni permanenti allo zoccolo, ed in particolare alla delicata struttura delle lamine, aumentano esponenzialmente, anche se non viene esclusa la possibilità di un recupero almeno parziale dell’utilizzabilità dell’animale.
Sono quindi fattori di rischio, che possono ridurre enormemente le chance di recupero in caso di attacco acuto, tutte quelle condizioni che aumentano gli sforzi sopportati dalla muraglia e che privano il triangolare del supporto, fisiologicamente corretto, dato da una suola ed un fettone che portino buona parte del peso dell’animale sul terreno su cui esso vive abitualmente.
Ne elenco alcuni per chiarezza:
- Muraglie eccessivamente lunghe (anche in relazione al terreno su cui vive il cavallo);
- Suola e fettone che non contribuiscono a sostenere parte del peso del cavallo (ovvero pareggio troppo aggressivo che assottigli queste strutture);
- Piedi con conformazione punta lunga-talloni bassi;
- Ferri o altre protezioni vincolate rigidamente alla muraglia
(glue-on, “ferri” in materiale sintetico ecc.); - Atterraggio di punta a causa di problemi nella regione caudale dello zoccolo;
- Talloni alti (“effetto cuneo” del triangolare, su questo aspetto tornerò più avanti).
Tutte queste situazioni, più tante altre che sicuramente mi saranno sfuggite, applicano notevoli stress meccanici alla muraglia e quindi alle lamine, fino al punto in cui tutto il peso del cavallo grava esclusivamente sulle lamine. Fino a quando il piede è sano, è in grado di resistere abbastanza bene a questa condizione (che comunque in natura si presenta molto raramente), ma nel momento in cui la coesione tra lamine epidermiche e dermiche si indebolisce o viene meno, il rischio di separazione meccanica è altissimo se non si interviene immediatamente.
Altre conseguenze che si osservano frequentemente in caso di laminiti, soprattutto qualora vengano trascurate o seguite in modo errato, sono:
- Rotazione o sprofondamento del triangolare ( rifondimento );
- Perforazione della suola da parte del triangolare;
- Ascessi in suola o corona;
- Distacco completo della scatola cornea ( esistono casi di recupero parziale anche da questa condizione, seppur molto rari);
- Distruzione del tessuto osseo della falange distale a causa delle pressioni anomale e della conseguente ischemia. In questo caso il recupero del cavallo può risultare impossibile.
Primo soccorso
Sulla base di quanto sopra, vediamo ora alcune cose da fare o non fare assolutamente nel caso vi doveste ritrovare tra le mani un cavallo che mostri i sintomi di un caso acuto di laminite.
- Innanzitutto contattate immediatamente il veterinario;
- Nel caso il cavallo sia ferrato o abbia le muraglie lunghe, chiamate il maniscalco/pareggiatore (per rimuovere i ferri o accorciare le muraglie);
- Cercate di individuare le possibili cause (qualora siano esogene) per facilitare il compito al veterinario al suo arrivo;
- Nell’attesa, non forzate il cavallo a muoversi a meno che non sia strettamente necessario (per nessuna ragione trasportate il cavallo con van o trailer);
- Se il cavallo è in grado di sollevare i piedi, procuratevi del materiale morbido ( rotoli di garza, fogli di polistirolo da coibentazione o da imballaggio, stracci ecc.) e fissateli con nastro adesivo sotto al piede, in modo da fornire supporto al triangolare. Se una volta fatto questo il cavallo mostrasse il desiderio di muoversi, lasciategliene libertà ma evitando movimenti bruschi. Durante l’operazione di nastratura, cercate di tenere il piede sollevato per il minor tempo possibile;
- Docciate od immergete i piedi in acqua fredda, se possibile anche con ghiaccio. Gli studi sulla crioterapia per il trattamento della fase acuta della laminite (VAN EPS, A. W., WALTERS,L.J., BALDWIN, G.I., MCGARRY, M., POLLITT, C.C. (2004) Distal limb cryotherapy for the prevention of acute laminitis. Clinical techniques in equine practice.) hanno dimostrato che i cavalli possono tollerare l’immersione in acqua gelida degli arti per periodi prolungati (fino a 72 ore consecutive) senza riportare danni, e che le basse temperature hanno l’effetto di ritardare (o forse prevenire, ma su questo gli studi sono ancora in corso) la degenerazione della Membrana Basale, dando quindi tempo al veterinario di intervenire con più calma per impostare una terapia.
Approccio “barefoot” alla laminite
Occorre chiarire prima di tutto che un cavallo scalzo non è al sicuro dalla laminite, in quanto molte delle cause possono colpire indiscriminatamente cavalli scalzi o ferrati. Quindi le precauzioni per prevenire l’insorgere del problema rimangono grossomodo le stesse per tutti gli equini.
La grande differenza nasce quando si vanno ad analizzare le possibili conseguenze: un piede scalzo, sano e pareggiato correttamente ha probabilità decisamente minori di subire danni permanenti a seguito di un attacco acuto di laminite, in quanto la conformazione della scatola cornea riduce al minimo la possibilità di uno spostamento della falange al suo interno e minimizza gli sforzi che agiscono sulle lamine. (In realtà sembra che un piede mai ferrato e correttamente pareggiato sia anche meno esposto al rischio di laminite in quanto le sue lamine sono in numero minore e quindi meno fitte, di conseguenza meno esposte al rischio di problemi circolatori come la congestione dovuta ad un’eventuale infiammazione).
Questo nasce dal fatto che un corretto pareggio “barefoot” prevede che suola e fettone abbiano un ruolo portante che nel caso di zoccoli ferrati è molto più difficile da ottenere a causa dello spessore del ferro, del mancato consumo della muraglia e spesso anche di differenze nel pareggio e nella concezione del funzionamento dello zoccolo. Inoltre il pareggio naturale ha tra le sue peculiarità di ricercare il parallelismo (3°≤ angolo palmare ≤ 5°) tra il terreno e il bordo distale della terza falange ed il corretto atterraggio di talloni a tutte le andature. Questa disposizione dell’osso garantisce la distribuzione uniforme dei carichi sulla superficie inferiore al momento del carico dinamico massimo, mentre l’atterraggio di talloni assicura che le lamine lavorino nelle condizioni più favorevoli possibili.
A questo punto ritengo utile inserire alcune considerazioni importanti sulle caratteristiche meccaniche dell’apparato di sospensione laminare. Come si può vedere bene dalla prima figura del topic, le lamine hanno una struttura orientata spazialmente (anisotropa, da ἰσὁτροπος). Analogamente ad altre strutture con caratteristiche simili, il loro comportamento sotto stress varierà quindi in base alla direzione delle forze applicate. Nel caso specifico, la capacità di resistenza alla trazione sarà massima per forze perpendicolari alla superficie interna della muraglia, mentre il minimo si troverà in corrispondenza di forze applicate parallelamente al piano lungo la direzione di crescita della muraglia.
Queste peculiarità, determinate dalla struttura fisica delle lamine, spiegano immediatamente per quale ragione sia importante ricercare un angolo palmare il più basso possibile ed assicurare sempre il fisiologico atterraggio di talloni.
Da questo semplice grafico appare subito evidente come l’angolo palmare influisca sulla distribuzione dei carichi applicati alle lamine. All’aumentare dell’angolo, la componente parallela alla muraglia aumenterà d’importanza, mentre quella perpendicolare andrà via via calando..
Analogamente, la scomposizione delle forze nel caso si un atterraggio di talloni, sarà più favorevole che nel caso di un atterraggio piatto o peggio ancora di punta:
Un modo più intuitivo di descrivere tutto ciò è quello che in precedenza ho chiamato “effetto cuneo”.
Se osserviamo la forma normale (non patologica) dell’osso triangolare, noteremo subito che esso ha l’aspetto (e quindi le proprietà meccaniche) di un cuneo o addirittura di una lama:
Esattamente come un cuneo o una lama quindi, il triangolare potrà sostenere bene i carichi fino a quando appoggerà con la base piatta, ma nel momento in cui la pressione venisse concentrata sull’affilato bordo anteriore esso agirà come una lama, danneggiando il corion e sprofondando nello zoccolo, potenzialmente fino a perforare la suola. Inoltre, essendo un tessuto vivente, il triangolare stesso reagirà alle pressioni eccessive, subendo dei rimodellamenti, come ad esempio accaduto a questo in conseguenza ad una laminite trascurata:
L’approccio terapeutico barefoot alla laminite quindi si incentra sostanzialmente su quattro punti chiave:
- Alimentazione basata il più possibile su foraggi a basso contenuto di zuccheri ed amidi, eliminazione dei concentrati (granaglie, mangimi) ed integrazione di proteine, acidi grassi essenziali e minerali (importantissimo il magnesio) in base alle necessità. Qualora sia necessario aumentare l’apporto calorico è possibile fare ricorso a grassi di origine vegetale;
- Ridurre al minimo gli sforzi applicati alle lamine limitando ogni possibile braccio di leva e ripristinando il corretto allineamento della falange distale con il terreno (e di conseguenza con le forze applicate);
- Fornire un supporto plantare che ridistribuisca i carichi sul fettone e sulla suola e che smorzi urti e vibrazioni, per ridurre il rischio di separazione laminare e ridare comfort al cavallo;
- Una volta superata la fase acuta e stabilizzata la posizione dell’osso triangolare all’interno della scatola cornea, fornire ampia libertà di movimento al cavallo per favorire la circolazione, la ricrescita di una nuova connessione laminare e non ultimo il benessere psicologico dell’animale.
Per l’aspetto legato più strettamente alla meccanica del piede sarà quindi indicato l’uso di scarpette con plantari in neoprene o in alternativa dei cosiddetti “hoof casts”, bendaggi preimpregnati con resine indurenti che permettono di fornire protezione e supporto alla suola senza scaricare forze sulla muraglia grazie alla deformabilità del materiale. Altri materiali utilizzabili possono essere resine siliconiche, acriliche o poliuretaniche, fogli di poliuretano espanso o simili ed in generale tutto quello che si presti a migliorare il comfort del cavallo.
Queste protezioni dovranno essere naturalmente abbinate ad un pareggio eseguito da persona competente, mirato a scaricare la muraglia e le lamine dal peso del cavallo su tutta la metà anteriore del perimetro (dal punto più largo del piede verso la punta) o come diversamente richiesto in base alle circostanze specifiche. Questo pareggio sarà caratterizzato da uno smusso angolato di circa 20° rispetto al piano della suola che dovrà partire dal bordo esterno della suola vera e propria e scaricare completamente dal peso del cavallo la muraglia e tutto quanto si trovi all’esterno della proiezione della terza falange (ovvero il punto in cui si troverebbe il “breakover” in un piede sano).
In presenza di un “cuneo lamellare” sarà opportuno scaricare anch’esso da qualsiasi sforzo, per evitare che le sollecitazioni sul cuneo distruggano la nuova connessione che cercherà di crescere a partire dalla corona.
Su tutto il perimetro della muraglia vera e propria sarà invece applicato un “mustang roll” molto accentuato, allo scopo di evitare sforzi inutili sulle lamine lungo tutto il perimetro del piede.
in rosso il bordo della suola, in giallo il cosiddetto “cuneo lamellare”.
Immagine originale tratta da http://www.hoofrehab.com
Per nessuna ragione dovrà invece essere intaccata la suola vera e propria, che durante la convalescenza rappresenta l’unica struttura portante del piede, insieme al fettone.
Se è possibile realizzare un’area sufficientemente ampia dotata di pavimentazione idonea (gomma, ghiaia tonda a granulometria fine, sabbia compatta) e lo stato degli zoccoli lo permette, talvolta si può ipotizzare di fare a meno di protezioni permanentemente applicate allo zoccolo. Questo permette di ridurre gli sforzi che gravano sulla muraglia, favorisce ulteriormente la circolazione e facilita la gestione. Il rovescio della medaglia è che riuscire a realizzare una struttura adeguata non sempre è facile.
Una volta rimossa la causa scatenante e raggiunta una configurazione che permetta al cavallo di recuperare una postura normale, gli si potrà lasciare modo di muoversi a piacimento, ma senza forzarlo conto la sua volontà.
In questa fase l’approccio barefoot non prevede l’utilizzo di analgesici ed antidolorifici, in quanto il dolore è un importante segnale per il cavallo stesso, che ne limita i movimenti in funzione dello stato dei piedi. Senza questo campanello d’allarme, il rischio di lesioni alle lamine dermiche aumenta a causa della ridotta sensibilità.
L’obbiettivo è quindi quello di limitare i disagi dell’animale mediante mezzi meccanici (pareggio e protezioni dello zoccolo) e agendo farmacologicamente sulle cause del problema ove possibile, senza fare ricorso a calmanti per la riduzione del dolore.
Lo scopo del movimento in questo caso è duplice:
- Eliminare il rischio di ischemia del corion soleare per la pressione generata dal supporto plantare;
- Favorire la circolazione all’interno del piede per accelerare la guarigione e la ricrescita di una buona connessione laminare.
Se pareggio e protezioni saranno stati applicati correttamente, le probabilità di effetti negativi dovuti al movimento spontaneo del cavallo saranno minime, in quanto la meccanica del sistema le renderà praticamente impossibili.
Durante la fase acuta dell’attacco invece, cioè fino a quando siano attive le cause di degenerazione della Membrana Basale, il movimento potrebbe essere controindicato: visto che gli agenti scatenanti (qualunque essi siano) nella maggior parte dei casi sembrano raggiungere il piede col flusso sanguigno, un aumento della circolazione potrebbe accelerare ed estendere il danno. Meglio quindi limitare la libertà di movimento e valutare col veterinario l’opportunità di proseguire con la crioterapia per un periodo che dovrà essere stabilito in base alla situazione, ma limitato allo stretto indispensabile.
Tutti questi interventi sarebbero totalmente inutili se non fossero accompagnati da un’alimentazione a basso indice glicemico, basata soprattutto su foraggi a basso contenuto di carboidrati non strutturali, eventualmente arricchita da polpa di barbabietola o altre fonti di fibre ad alta digeribilità, ed integrata come necessario in base ai fabbisogni dell’animale con proteine, acidi grassi, minerali e vitamine, con particolare attenzione a quanto necessario ad assicurare la crescita di una nuova scatola cornea con una buona connessione laminare.
Qualora ci siano altre patologie predisponenti alla laminite, anche queste dovranno essere affrontate come opportuno per evitare una recidiva della fase acuta.
Prevenzione
Come per molte altre malattie, nel caso della laminite, la miglior cura è la prevenzione. Questa è basata sostanzialmente su due aspetti:
- Alimentazione
- Cura dello zoccolo
Come abbiamo visto, l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale nell’insorgenza della laminite.
E’ quindi fondamentale che sia ben bilanciata, adeguata ai fabbisogni dell’animale e idealmente quanto più simile possibile all’alimentazione naturale del cavallo. Questo vuol dire che sono da evitarsi quanto più possibile grandi quantità di cereali, ridurre l’accesso a pascoli particolarmente ricchi durante i mesi primaverili, soprattutto se contengono varietà vegetali a rischio (ad esempio: Allium spp, Ambrosia Artemisiifolia, Aster spp, Carduus spp, Centaurea spp, Cichorium Intybus, Erodium Cicutarium, Sonchus Arvensis, Taraxacum spp, Trifolium Pratense ecc. Una fonte molto interessante di informazioni in merito è il sito http://www.safergrass.org/ ), fornire cibo in modo uniforme durante l’arco della giornata e non concentrato in pochi pasti voluminosi, variare gradualmente l’alimentazione nel passaggio da un tipo ad un altro ecc..
In particolare, giornate soleggiate accompagnate da notti con temperature rigide spingono le erbe del pascolo ad accumulare zuccheri e fruttani, per cui in periodi in cui si verificano queste condizioni può essere opportuno limitare l’accesso al pascolo, soprattutto nel caso di esemplari predisposti.
Come accennato precedentemente, tutta una serie di segnali premonitori possono metterci in guardia su problemi legati all’alimentazione: cerchiature o segni rossi sulla muraglia, ascessi, crescita “a ventaglio”, stiramento laminare o separazione della linea bianca, suole piatte, sensibilità degli zoccoli, obesità, perdite di peso anomale, pelo ispido, opaco, o un manto invernale che non muta, riottosità o pigrizia. In presenza di uno o più di questi sintomi è d’obbligo rivedere approfonditamente l’alimentazione, perché è probabile che ci sia qualcosa che non va.
Alcuni di questi sintomi sono estremamente frequenti da osservare, soprattutto nel caso di cavalli ferrati, che nonostante tutto vengono considerati “sani”. La verità si scopre facilmente sferrandoli: inermi ed incapaci di affrontare qualunque tipo di terreno a causa dello stato pietoso dei loro zoccoli.
Per quanto riguarda la cura dello zoccolo, che si decida di tenere il cavallo ferrato o meno, l’aspetto più importante è di ridurre al minimo i rischi di conseguenze nefaste nel malaugurato caso che il cavallo cada vittima di un attacco acuto. Alcuni criteri da rispettare assolutamente sono:
- Muraglie corte e dritte;
- Talloni bassi/punte corte;
- 3°= angolo palmare = 5°;
- Pareggio/ferratura ad intervalli regolari (30-40 giorni al massimo);
- Supporto plantare sulla maggior parte dei terreni;
- Atterraggio di talloni (che si ottiene assicurando lo sviluppo della regione caudale dello zoccolo);
- Punto di stacco ( breakover ) il più arretrato possibile per ridurre gli sforzi sulle lamine;
- Favorire la circolazione massimizzando l’elaterio per mantenere una connessione laminare sana;
Alcuni di questi punti possono essere rispettati più facilmente su uno zoccolo sferrato (come ad esempio il supporto plantare o l’atterraggio di talloni), ma questo non vuol dire che non sia possibile arrivarci molto vicino anche ferrando, se la ferratura viene eseguita da un professionista serio. Nel momento in cui però il cavallo dovesse essere colpito da un attacco di laminite, la miglior cosa da fare è sicuramente di rimuovere qualsiasi cosa sia vincolata rigidamente alla muraglia, per scaricarla da ogni sforzo e scongiurare danni seri.
Avvertenze
Tra le varie tecniche tradizionali che vengono proposte per il trattamento della laminite, ce ne sono almeno due da cui voglio mettere in guardia chiunque si trovi ad affrontare un caso di laminite:
- L’innalzamento artificiale dei talloni;
- La tenotomia.
Il primo viene giustificato sostenendo che riduca la tensione sul tendine flessore profondo e quindi diminuisca il rischio di rotazione della falange e migliori la circolazione nelle lamine dorsali. Anche ammettendo che ciò fosse vero, questa tecnica ha enormi svantaggi: la pressione graverà sul bordo affilato del triangolare invece che sulla base piatta, schiacciando il corion e riducendo la circolazione, e la distribuzione dei carichi sulle lamine sarà tanto peggiore quanto più alti saranno i talloni.
Molto meglio quindi contrastare la rotazione fornendo sostegno al triangolare con un supporto plantare che contrasti il momento applicato dal tendine con una forza applicata sotto alla punta della falange che si ridistribuisca su una superficie ampia e venga continuamente rilasciata nel momento in cui il cavallo si muove.
La seconda è una pratica che non ha giustificazioni. E’ come pensare di riparare un guasto della vostra automobile sparando una fucilata al radiatore. Il taglio di un tendine perfettamente sano per risolvere un problema di laminite è esattamente la stessa cosa: aggiunge un danno gravissimo ad uno tutto sommato gestibile. Non fatelo, per nessuna ragione.