Archivi autore: Franco Belmonte

Informazioni su Franco Belmonte

Born 1952. Degree in Biological Sciences University of Genova, Italy. Researcher, CNR of Italy 1977-'80 (neurochemistry) then various task related to biology till now. Active Member and Certified Trimmer of the American Hoof Association. Didactic activity: equine podiatry and nutrition. Area of interest: evolution and physiology. Airline pilot and flight instructor for living 1981-2002.

Il pareggio in pratica – 4

Il roll ed il bevel.

segue ai precedenti 1-2-3

Accorciando l’unghia facendo riferimento al piano della suola e scegliendone la sporgenza abbiamo già impostato lo zoccolo. La densità, integrità e spessore del materiale corneo, la natura del terreno più o meno penetrabile ci fanno giocare in un intervallo di un paio di millimetri.

Dopo il ribasso e la così detta riduzione di capsula e parlando sempre, vi ricordo, di uno zoccolo sano dove le varie parti sono in corretto rapporto fra loro l’insieme si presenta grezzo con spigoli più o meno taglienti. Tutta la water line (la parte non pigmentata della parete) raggiunge terra. Così anche, in parte o tutta, la parte pigmentata (o parete esterna).

Se questi termini non vi sono familiari fate un po’ di pratica studiando i siti di Paige Poss. Trovate i riferimenti per raggiungere “ironfreehoof “ed “anatomy of the equine” qui nella sezione link del sito.      E’ mia opinione che non sia necessario fare dissezione per comprendere la fisiologia dello zoccolo, ci sono ormai siti di anatomia come quelli di Paige che rendono secondaria la dissezione che resta comunque una opzione per coloro che si vogliono dedicare alla podologia in modo specialistico.

Gli spigoli si rompono, si scheggiano o feriscono, vengono rapidamente consumati, le superfici si arrotondano. Il nostro cavallo se fosse libero di muoversi su grandi distanze dimostrerebbe pareti arrotondate e piani variamente orientati, non spigoli vivi. Da questa constatazione ed osservazione nacque l’idea del “roll”.

Il “roll” venne concepito come una finitura attraverso la quale si smussava dolcemente la parte esterna dell’unghia pigmentata. Limitandosi alla parte pigmentata appunto senza interessare la water line, la massa della parete.

Perchè ci si era dati questo limite? Una smussatura ridotta preserva dalla scheggiatura ma lascia a terra, in contatto con il piano di appoggio (se pensate  ad un piano di appoggio non penetrabile, rigido come quello di una piazzola di cemento) la massa della parete, quindi tutta la water line che ne costituisce la gran parte.

Nella visione di chi ha inventato il “roll” il peso del cavallo viene scaricato a terra dalla parete, dall’unghia tramite le lamine, il tessuto di connessione interposto tra la terza falange e la parete. Oggi, passate di moda le lamine, tramite la suola che, come un soffitto a volta caricato trasferisce le forze tangenzialmente a se stessa fino a raggiungere la sua periferia dove è saldamente connessa appunto alla parete che infine la scarica a terra.

Chi ritiene, in entrambi i casi, che la parete sia l’ultima responsabile dell’appoggio vorrà che raggiunga terra con la maggiore superficie possibile quindi ne sacrificherà una minima parte nell’esecuzione del “roll”.

E’ da dire che la stragrande maggioranza di coloro che arrotondano la parete non lo fa avendo in mente questo principio e ragione ma solo per sentito dire, per copia conforme, perché così si fa. E il “roll” diventa diverso, un rollone come dico spesso scherzando o un roll timido come dicevano altri.

Fatto sta che il dogma del carico periferico (parete responsabile della scarico a terra della forza peso) ha subito dei poderosi attacchi con Pete Ramey e Robert Bowker. Nessun cavallo rinselvatichito o domestico che sia si muove o dovrebbe muoversi su una superficie non penetrabile. La roccia, l’asfalto, il ghiaccio sono occasionali. La norma è la terra, l’erba, la sabbia, le pietre di varie dimensioni. In tutti questi casi il carico non è periferico sulla parete ma, distribuito. In gran parte grava su suola, barre, fettone. Tanto più quanto lo zoccolo penetra nel terreno e ci lascia un’orma.

Ramey e Bowker hanno riscoperto e proposto in un ambiente che effettivamente ha poco di scientifico ciò che era conosciuto da tempo.  Sul Kent, il più diffuso libro di anatomia comparata degli anni ’60 e ’70 trovate: (il cavallo poggia sulla suola…come ogni altro mammifero).    Nessun biologo o naturalista si sarebbe mai stupito di questa affermazione.

Lasciare tutta la water line “a terra” diventa allora secondario e il più delle volte controproducente. Quando però sarà meglio lasciare tutta la water line e anche il più possibile della zona pigmentata a terra? Quando di fatto il cavallo è costretto, volente o nolente a muoversi su una superficie dura e liscia. Sarebbe il caso del cavallo che traina una carrozza per strada.  Si tratta più che altro di occasioni.

Il “roll” è visibile nel mondo reale in cavalli che vivono su terreni molto accidentati e pietrosi. Camminando a lungo la parete si arrotonda, levigata da sassi e particelle di ogni dimensione.

Man mano che l’ambiente si addolcisce la parete si arrotonda appena in punta mentre continua ad esserlo maggiormente procedendo verso i quarti.  Sia nei DVD di Jackson che di Ramey viene  sottolineata la differenza di finitura dalla punta verso i talloni. Mentre ai quarti la parete si presenta sempre arrotondata perchè consumata in questo modo dallo zoccolo che cambia direzione, alla punta la parete è caratterizzata da un bevel (traduzione piano inclinato) con origine nella water line, di varia pendenza a seconda dell’andatura.

Pensate al cavallo che si muove in avanti in linea retta. Il tallone si alza, lo zoccolo leggermente affondato nel terreno ruota fino a staccarsi da terra mentre nello stesso tempo il carico si riduce progressivamente. Si crea approssimativamente un piano della lunghezza di qualche millimetro, il bevel. Questo piano inclinato fa si che le forze di reazione del terreno alla forza peso mentre il cavallo è fermo o in movimento si orientino diversamente e si riducano ( molto meglio sarebbe dire che l’abrasione continua modella la parete a seconda della intensità e direzione delle forze che applica e a cui è soggetta).                                                                                 La forza di reazione del piano di appoggio al peso si scompone ed una parte si orienta verso l’interno dello zoccolo con una minore occasione di separazione tra parete e osso triangolare e minore sollecitazione del connettivo, le lamine. Un’unghia finita e lasciata con il suo margine parallelo al terreno (come nella preparazione per la ferratura) è maggiormente sollecitata a separarsi, ad allontanarsi dalle strutture sottostanti.

La nostra finitura comprende quindi un bevel più o meno inclinato, 20°-35° e con origine nella white line. L’origine la troviamo, se volete un’indicazione di massima, a 5-6 millimetri dal margine della suola. Se la white line è larga quanto dovrebbe, circa 3 millimetri, rimangono a terra (su supeficie impenetrabile come il cemento o la roccia) altri 3 millimetri di water line. Quando il cavallo abbandona la piazzola il resto della parete che fa parte del piano inclinato o bevel, è comunque caricato, sia pure in minore entità, perché di fatto il piede sprofonda e si mette completamente e progressivamente in contatto con il terreno.

Tenendo quindi la nostra raspa inclinata  rispetto al piano della suola realizziamo questo piano asportando una piccolissima quantità di materiale lungo tutto il perimetro da quarto a quarto. Infine smussiamo la parte più esterna della parete così finita con un piccolo roll di cui partecipa solo la parte più esterna pigmentata. Man mano che procediamo verso la parte posteriore del piede il piano, bevel, si accorcia mentre lo spessore di parete che partecipa del roll aumenta.

Quando il cavallo “sterza” la superficie più arrotondata ai quarti favorisce la manovra. Lo scalino o sporgenza della parete rispetto al piano della suola lungo tutto il perimetro assicura stabilità e direzione.                                                                                                     Fettone e barre partecipano del sostegno del peso e della stabilizzazione della traiettoria.

Non avevamo ancora parlato né di fettone né di barre. Se la parete è tenuta sotto controllo, corta, sia il fettone che le barre sono tenuti in funzione continuamente. Con il movimento le parti vengono sottoposte a continuo consumo. Materiale non si accumula e tutto lo zoccolo, si mantiene sano. A questo può concorrere l’opera di disinfezione con aceto e solfato di rame (vedi apposito articolo) di tutte le parti che appoggiano a terra.                                               Non dico che non sia necessario un intervento occasionale su fettone e barre. Trovate altre indicazioni su questo nella pagina “studio di zoccoli”. Ma si tratta di intervento occasionale e mirato. Se fettone, barre e piano della suola vengono sempre sottoposti all’intervento del coltello durante i pareggi significa che troppo viene tolto a scapito della soundness del cavallo oppure viene eliminato  materiale fradicio ed infetto che si accumula perché il cavallo vive costantemente su terreni umidi e sporchi o infine è limitato fortemente nel movimento.  Il rimedio non é il coltello. L’animale vive in condizioni misere di cui sono responsabili il proprietario o il gestore.

Con i prossimi articoli ci occuperemo direttamente ed espressamente dello zoccolo che ha abbandonato giuste proporzioni e corretta relazione fra le parti introducendo altri elementi di teoria. Nel frattempo rileggete la parte “studio di zoccoli”. Specialmente l’introduzione, suole e callosità, profondità delle lacune, sferratura.

Notate infine che abbiamo sempre lavorato “da sotto”. Con la suola del cavallo rivolta verso l’alto per intenderci. In ogni fase. E’ il modo corretto. Lavorare invece con la raspa da sopra, dall’alto verso il basso ha senso solo in particolari situazioni. Patologiche. Secondo determinate regole. Che vedremo insieme.

Ritardo nella formazione veterinaria

Nel numero 63 di “The Horse’s Hoof”, estate 2016 uno degli editori dopo avermi interpellato ha scelto di pubblicare la mia breve risposta ad una delle domande che da qualche tempo sempre più proprietari di cavalli, ed asini, si fanno non solo negli USA ma in Europa. “Sento che il mio medico non è preparato. Quale preparazione ha ricevuto. Su che libri ha studiato”.

Il barefoot, con la necessaria preparazione, tecnica, attesa, cura, accettazione del limite, l’igiene fisica e mentale che ne sono il fondamento  è un esempio della frattura che si è venuta a creare tra la scuola, i programmi, l’università ed il mondo reale.  Frattura che è comune ed appartiene alla scuola in genere ed è forse più marcata da noi in Italia.                                                                                           Tra le righe, la domanda che si fa il proprietario sempre più spesso è questa: “Il mio medico pare non comprendere  temi non appartenenti alla tecnica della produzione o all’espressione immediata della performance”.   Avevo dubbi sul fatto che una risposta così secca come quella che ho inviato fosse pubblicata. La pubblicazione, quindi la responsabilità assunta dall’editore, è prova della reale e sentita distanza che si è venuta a creare. Della necessità di adeguare programmi ed insegnamenti. Programmi che non possono comprendere le materie propedeutiche, la medicina e la produzione se non a scapito una dell’altra ma che dovrebbero almeno presentare un argomento chiave come la podologia almeno a chi sceglie di rivolgere la propria attenzione ai grandi animali di modo da non esporre chi ne incontra i problemi ad una silenziosa critica cui segue disaffezione. Grazie alla diffusione dei principi ed alle pubblicazioni facilmente reperibili di buon livello non è raro che il proprietario si trovi ad avere una conoscenza dello zoccolo superiore a quella del professionista che chiama. Una alternativa è la separazione delle competenze. Dolorosa per chi vede restringersi il campo operativo ma necessaria. E’ avvenuto ai medici con l’istituzione della nuova figura dell’odontoiatra una ventina di anni fa. Le figure del dentista e del pareggiatore sono sostanzialmente separate da quella del veterinario in vaste aree del mondo. E’ un fatto che le scuole ed i gruppi che si interessano della bocca e dello zoccolo non sono condotte da veterinari, un esempio sono Spencer La Flure e Jackson.

Da The Horse’s Hoof , estate 2016 con il cortese permesso dell’editore:

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Il pareggio in pratica – 3

presuppone lo studio dei precedenti 1 & 2

Abbiamo ridotto l’altezza dell’unghia. Abbiamo scelto di quanto tenendo conto del terreno, delle condizioni. Lo abbiamo fatto tenendo come riferimento il piano della suola, lungo tutto il suo perimetro.
Ma la suola a seconda del terreno, del movimento e dell’umidità può presentarsi coperta di materiale di diversa densità. Materiale da rimuovere quando gessoso e incoerente ma da lasciare al suo posto quando duro compatto e saldamente ancorato rappresenta una solida ed efficace protezione per una suola magari non tanto forte e spessa. Questo deposito si chiama materiale “di esfoliazione” e sarebbe abraso dal contatto con il terreno grazie ad un maggiore movimento.
Il piano della suola che vediamo può essere allora quello reale (vero) o apparente. Dobbiamo tenere in conto lo spessore del materiale di esfoliazione. Perché?
La lavorazione “di ribasso” della parete deve essere fatta con riferimento al piano reale (vero) della suola sottostante al materiale di esfoliazione altrimenti la parete rimarrà più “lunga”, suscettibile di rompersi. Lo spessore del deposito varia da pochi decimi a qualche millimetro, non è difficile indovinarlo. Basta un poco di pratica e dovrebbe essere compito del vostro insegnante o pareggiatore durante l’anno di accompagnamento al pareggio farvi notare la qualità e altezza degli eventuali depositi sulla suola “vera” e valutarne l’opportunità di rimozione.  Se non si è in grado di valutare lo spessore del materiale depositato sulla suola diventa necessario rimuoverlo ogni volta, fino a vedere la linea bianca da utilizzare come riferimento per poi accorciare la parete Questo è stato fatto per anni da  certificati pareggiatori e per anni cavalli hanno zoppicato dopo il pareggio resi sensibili a causa della rimozione del deposito sovrapposto ad una suola troppo sottile. L’aumento di sensibilità mortifica e riduce la capacità di movimento che dovrebbe stimolare la crescita di una suola più spessa.

Non togliete il deposito sotto la suola, fate muovere il cavallo e se non potete far muovere il cavallo lasciategli il deposito sotto le suole! Almeno d’estate. In linea di massima tutto ciò che non viene via con un netta piedi adoperato vigorosamente dovrebbe essere lasciato. Lasciato in attesa di una pioggia che renderà il materiale più morbido, inutile e facile da togliere.

Pensate. Se il cavallo non si muove abbastanza la sua suola non sarà delle migliori. Il movimento, la pressione che ne stimola la produzione, manca. E si riduce il consumo. La suola sarà probabilmente coperta da materiale durante la stagione secca. Anche la vostra pelle perde continuamente materiale, cellule morte, che vengono continuamente “a galla” e  perse. Se vi scottate il ricambio diventa visibile.

Il tessuto vecchio che non si stacca aiuterà la suola nella protezione del connettivo sottostante e delle strutture interne. Sul terreno duro e secco le pietre superficiali non affondano sotto il peso del cavallo. Al cambio di stagione o nel caso di una pioggia seria il terreno diventerà penetrabile e cedevole, le pietre saranno meno pericolose perchè potranno affondare o spostarsi almeno parzialmente. Non costituiranno più un ostacolo fisso. Con la pioggia il deposito sulla suola si ammorbidirà anch’esso e, non più utile meccanicamente diventerà invece motivo di proliferazione di funghi e batteri. Aiuteremo quindi il cavallo a liberarsene con il nettapiedi molto vigorosamente. Vedete che non nomino il coltello. Il coltello deve essere usato con cautela ed esperienza.

Ora, chiusa questa necessaria parentesi sulla suola torniamo alla parete e cambiamo la posizione di lavoro della raspa in modo da lavorare lungo la parete per tutto il perimetro dello zoccolo.

la rimozione di materiale lungo il perimetro. scheggiature, piccole deformazioni, accumuli in zone poco utilizzate. il fine NON è quello di rendere la parete di spessore uniforme, la parete è maggiormente spessa alla punta (o centro) come un arco o una balestra. è la successiva azione di finitura che dispone il breakover nella corretta posizione. l'insieme lascia una parete spessa e forte che non impedisce il movimento (vedi articolo successivo per la finitura)

la rimozione di materiale lungo il perimetro. scheggiature, piccole deformazioni, accumuli in zone poco utilizzate. il fine NON è quello di rendere la parete di spessore uniforme, la parete è maggiormente spessa in punta che ai quarti come un arco o una balestra. la successiva azione di finitura (bevel) che dispone il breakover nella corretta posizione da quarto a quarto passando per la punta. l’insieme lascia una parete spessa e forte che non impedisce il movimento (vedi articolo successivo per la finitura). nella fotografia l’asse minore dell’utensile è perpendicolare al piano della suola.

La corsa dell’utensile deve essere lunga e le passate sovrapposte. Altrimenti è impossibile raccordarle. Alcune imperfezioni si manifestano anche nello zoccolo migliore. Quanto più lo zoccolo è orientato in modo imperfetto tanto maggiore sarà la differenza di consumo tra la parte interna ed esterna (mediale e laterale) dello zoccolo. Dobbiamo allora lavorare la parete dalla parte che si presenta “più larga”. Il lavoro di ribasso precedente ha  posto in maggiore evidenza le imperfezioni. Per semplificare riportate idealmente sulla parte meno consumata la forma dell’altra e tenendo la raspa in posizione perpendicolare al piano della suola le bilanciate. Il fine non è quello di arrivare ad avere una parete dello stesso spessore lungo tutto il suo perimetro. Lo spessore della parete cambia procedendo dai quarti verso la punta aumentando. Una delle funzioni della parete è quella di riportare la capsula dello zoccolo alla forma di riposo dopo la deformazione subita sotto carico. La parete lavora come una balestra e le balestre sono più spesse, i fogli aumentano, man mano che si va verso il centro.

Mi rendo conto che questo può risultare in disaccordo con quanto scritto su alcuni vecchi articoli ad esempio quello di Tomas Teskey “Look at these Hooves” dove troviamo: “mi sforzo di lavorare la parete in modo che abbia lo stesso spessore lungo tutto il perimetro…”
Non mi interessa e non desidero una parete dello stesso spessore lungo tutto il perimetro, non voglio ridurne la resistenza e capacità elastica. Questo é il motivo per cui non lavoro dall’alto se non in particolari occasioni (vedi il pareggio in pratica 6).  Lavorando con la raspa come in fotografia lo spessore della massa della parete rimane sostanzialmente invariato. Abbiamo lavorato solo sugli ultimi millimetri vicini a terra. In un cavallo diritto con zoccoli simmetrici e consumo uniforme nemmeno su quelli.

Se siete confusi non preoccupatevi. Sarà tutto più chiaro quando parleremo della famosa “riduzione delle flare”.
Lavorando fino alla parte posteriore dello zoccolo da una parte e dell’altra e utilizzando se possibile alternativamente le due mani si eliminano piccole irregolarità e tutto assume un aspetto più regolare e curato.
Importante è tenere la raspa perpendicolare al piano della suola, almeno fino a quando non si è fatta sufficiente pratica. Dividendo le fasi e gli angoli di lavoro seccamente non si rischia di continuare ad asportare materiale da dove non si intende consapevolmente toglierlo. Per esempio non ridurremo ulteriormente l’altezza della parete già decisa in fase 1.

Abbiamo eseguito la “riduzione di capsula” o fase 2. Lo zoccolo è  pronto per la terza fase di lavorazione, quella di finitura della parete.

Il pareggio in pratica – 2

(presuppone la lettura del precedente,1)

La parete sporge dal piano della suola in egual misura lungo tutto il suo perimetro in un solo caso. Quando il cavallo è privo di difetti e appoggia il suo peso in modo uniforme sulla parte destra e sinistra dello zoccolo, atterrando e staccando correttamente. Se la produzione è anche essa uniforme la parete non potrà che sporgere egualmente in ogni punto.

Su quale sia il modo di atterraggio e decollo del piede “normale ed auspicabile” esistono pareri discordanti e si discute. Poiché c’è chi insiste e costruisce tutto il suo sistema ritenendo che l’atterraggio corretto sia quello di piatto credo sia utile soffermarsi. Tutti concordano sulla necessaria penetrabilità del suolo. Nessun animale uomo compreso é costruito per camminare sul cemento. Pur attrezzato di sistemi di ammortizzazione il cavallo non si è evoluto vivendo su cemento, asfalto o laghi gelati. Se non occasionalmente, il terreno è sempre in qualche modo penetrabile per un animale del peso medio di 500 kg.

Un umano atterra sui talloni e completa il suo appoggio e carico quando la parte anteriore del piede raggiunge il terreno, così fanno gli altri animali.  Nel cavallo quello che chiamiamo tallone non corrisponde anatomicamente al nostro ma avviene la stessa cosa e al variare della andatura e velocità di avanzamento l’atterraggio di tallone è più o meno evidente (ad una persona esperta e d’occhio allenato) quanto più il terreno è livellato e poco penetrabile.

Dopo l’atterraggio del tallone su un terreno duro e se il cavallo fosse fermo (questa è una contraddizione in termini necessaria alla spiegazione) la articolazione tra la terza e la seconda falange ruoterebbe intorno al suo centro molto velocemente (accelerazione) sollecitata contemporaneamente da un carico in aumento. Proprio su questo, una condizione immaginaria e non reale, che rappresenterebbe un problema, alcuni fondano la affermazione della necessità e naturalezza dell’atterraggio di piatto anziché di tallone. Se lo zoccolo atterra di piatto, la velocità angolare tra i segmenti ossei é minore.

Questa visione delle cose é speculativa.

Il tallone si comporta come un perno sul quale la terza e seconda falange ruotano insieme, almeno grossolanamente. Il terreno è o dovrebbe essere penetrabile. Il tallone tocca terra ma sprofonda immediatamente e tutto il resto del piede lo segue e affonda progressivamente . Interpretare questo come un atterraggio di piatto è una speculazione.

L’atterraggio di punta, al contrario, non è sostenuto da nessuno se non da qualche sconsiderato che osserva cavalli doloranti malamente ferrati o pareggiati, senza capacità di valutazione. Il cavallo atterra di punta quando è in salita ripida o quando atterra da un salto. Da un salto in alto e non in lungo come quando l’ostacolo è una siepe bassa. Si tratta anche in questo caso di occasioni. Sulla inopportunità dell’atterraggio di punta e sui suoi effetti non mi soffermo, vi rimando alla sezione “Sindrome Navicolare”.

Caricato convenientemente ad ogni passo su entrambe le parti, laterale e mediale (lato esterno “laterale e lato interno “mediale”) atterrando sui due  talloni simultaneamente  e staccando al centro, il consumo dello zoccolo rimane uniforme. Vedremo la parete sporgere dal piano della suola tanto a destra quanto a sinistra, tanto davanti quanto dietro. Il nostro lavoro consisterà nel ridurne l’altezza  lungo tutto il perimetro eguale misura. Se la riduzione di altezza è fatta bene la capsula rimarrà nello stesso assetto (pendenza) rispetto al piano di appoggio. Osservando di lato lo zoccolo prima e dopo il pareggio non noteremo nessuna variazione di pendenza. Nè cambierà il suo assetto se osservato ponendosi di fronte.

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una parete che si presenta consumata in modo uniforme lavorata di conseguenza.

una parete che si presenta consumata in modo uniforme lavorata di conseguenza; la finitura “bevel” é accentuata; vi invito a realizzare un piano di inclinazione minore, circa 30°, se lo zoccolo é sano.

Seguendo il piano della suola si ricrea o si mantiene l’arco caratteristico, palmare o plantare, dello zoccolo più visibile se la ripresa è laterale.

Anche in questo caso anatomicamente le parti che realizzano l’arco non corrispondono negli ungulati alle nostre ma hanno la stessa funzione. Un esempio di convergenza evolutiva. L’arco palmare o plantare è naturale nel piede scalzo ed è perfettamente visibile quando l’animale staziona su una piazzola . E’ assente nel piede ferrato solo perchè necessariamente il maniscalco “spiana” per creare la base di appoggio del ferro. Con esso si perde, tra le altre, la capacità di deformazione elastica dell’arco e parte della funzione ammortizzante della capsula cornea.

Il lavoro di ribasso della parete si effettua con la raspa quasi parallela al piano della suola, dalla punta verso i talloni incrociando e sovrapponendo le passate e lavorando di mano destra e sinistra alternativamente. Quasi parallela e non parallela perchè le pareti, destra e sinistra, vanno lavorate indipendentemente una dall’altra. Se si appoggia l’utensile su due punti si “spiana” più facilmente e si prepara lo zoccolo per l’appoggio del ferro, non se ne rispetta la forma tridimensionale. Ci si può trovare ad appoggiare l’utensile su due punti ma non è la norma. Pochi colpi dovrebbero essere necessari in egual misura da una parte e dall’altra se la frequenza dei pareggi è rispettata. L’idratazione del piede, la quantità di materiale da asportare, lo stato dell’utensile stesso fa scegliere quale parte della raspa usare.  Zoccoli secchi e pareti sottili o le zone dei quarti, dettano la scelta della parte fine per non sfibrare. Eccetera.

Chiamo questa fase del lavoro la “fase 1 o di ribasso”.

La maggior parte delle volte purtroppo non troviamo la parete uniformemente consumata. La parete appare più consumata a sinistra o a destra e molto spesso più consumata in punta che ai talloni. Consideriamo le due eventualità separatamente.

La parete si consuma più dalla parte sulla quale maggiormente grava il peso. Se lo zoccolo non è allineato con il corpo ma guarda verso l’esterno (cavallo mancino) la più caricata sarà la parte interna dello zoccolo e viceversa nel cavallo cagnolo. Questa condizione non è modificabile se non esteticamente a sfavore della meccanica.

Funny è una norica di 11 anni, di petto estremamente largo è fortemente cagnola.

Funny è una norica di 11 anni, di petto estremamente largo è fortemente cagnola. eppure  la giusta prospettiva le rende giustizia e gli zoccoli appaiono bilanciati; i talloni atterrano in simultanea proprio perché di differente altezza. non è così bella forse da ferma ma in movimento non ha molte difficoltà.

cagnolo

ancora funny con georgiana, stessa identica età! 11 anni!

ancora funny con georgiana, stessa identica età! 11 anni!

Di conseguenza il lavoro di ribasso ( fase 1 ) riguarderà solo, a seconda della gravità del difetto, la sola parte meno sottoposta ad usura. Sempre e per tutta la durata della vita dell’animale. Il tratto di parete meno consumato, se non ridotto con i pareggio è esso stesso motivo di ulteriore deformazione. La parete si deformerà o romperà a seconda della sua densità e resistenza. Continuamente sollecitata dalle forza di reazione al peso tenderà ad abbandonare la sua posizione rispetto alle strutture interne (flare). Non c’è molto da pensare e quanto va fatto è già chiaro prima di alzare lo zoccolo. Basta constatare che l’asse longitudinale dello zoccolo o degli zoccoli, non è parallelo a quello maggiore del cavallo, ci si aspetta di trovare un tratto più consumato dell’altro.

la parete si presenta consumata e diversamente danneggiata a destra, assai meno consumata e rotta a sinistra. il nostro primo intervento sta nella riduzione della parte destra. se questo fosse un anteriore sinistro il cavallo potrebbe essere cagnolo o mancino?

la parete si presenta consumata e diversamente danneggiata a destra, meno consumata  a sinistra; il nostro primo intervento sta ovviamente nella riduzione della parte a sinistra, se questo fosse un anteriore sinistro il cavallo sarebbe cagnolo o mancino?

Diverso e di più difficile interpretazione è il caso del consumo non eguale della parte anteriore e posteriore del piede. Spero che la lunga parentesi che segue sia utile a comprendere le difficoltà che si incontrano ed a porvi mano. Dobbiamo chiederci quale ne è il motivo e se ci è consentito “livellare” le parti come ci piacerebbe o vorremmo aver trovato senza arrecare un danno maggiore.

la foto è leggermente sfuocata ma potete notare che nella parte anteriore del piede la parete è a livello della suola mentre i talloni sono sporgenti e l'angolo di inflessione si trova spostato avanti rispetto alla parte posteriore del fettone. troverete questa foto anche nel prossimo articolo ma per ora l'accento può essere messo sulla cautela nel ribasso dei talloni.

la foto è  sfuocata ma potete notare che nella parte anteriore del piede la parete è a livello della suola.

Il consumo maggiore della punta può essere determinato non da un difetto del cavallo ma dalla andatura imposta dal cavaliere. E’ il caso di alcune discipline americane. Se il terreno è fortemente abrasivo, andatura imposta e terreno si danno una mano per consumare fortemente le punte. Più spesso però non è una andatura imposta ma lo stato di immaturità della parte posteriore del piede a creare sensibilità o dolore ed un conseguente atterraggio di punta. Ancora più frequente è la semplice infezione del fettone a costringere l’animale a caricare prima e maggiormente le punte nel tentativo di evitare fastidio alla parte posteriore del piede. In questi casi non possiamo ridurre l’altezza dei talloni a priori riferendoci ad un modello.

Un tallone più alto, per quanto sfavorevole meccanicamente ad un animale sano, è l’esito del minore consumo. Se debbo appoggiarmi ad un bastone la soluzione, se c’è, non è quella di togliermelo. Come non è quella di ridurre l’altezza del tallone ad ogni pareggio. La nostra attenzione deve essere rivolta alla ricerca della causa. L’igiene del posto, stato del terreno, l’eliminazione delle zone profondamente fangose, la disinfezione quotidiana, libertà di movimento. 

Non nego un intervento di riduzione della altezza della parete ai talloni rispetto al piano della suola all’angolo di inflessione, anzi. Sostengo che questo deve accompagnare il resto e non precedere, essere una azione mirata e progressiva. E’ uno dei nostri obiettivi quello di riportare i talloni ad una altezza accettabile e tutte le parti del piede ad una corretta relazione tra loro. Questo obiettivo non deve essere perseguito su un modello ma ragionato ed adattato alla circostanza reale. Diversamente creeremmo le condizioni per un peggioramento dell’atterraggio di punta.                               Un esempio. Un  fettone infetto fa si che l’animale cerchi di sottrarre la parte posteriore del piede dal contatto con il suolo. Il tallone si consumerà di meno. La soluzione non è quella di abbassare il tallone. La troviamo nella disinfezione e cura del piede e nell’igiene del suolo.

La profondità delle lacune laterali al fettone nella parte posteriore del piede ci aiuta ad elaborare un piano ed a verificare l’efficacia della nostra azione a lungo termine. La profondità delle lacune é in stretta relazione alla salute della parte posteriore del piede.  Se abbiamo lasciato il cavallo con lacune nella parte posteriore del piede a titolo di esempio di 25 mm. (badate bene intendo qui al lordo della sporgenza della parete dalla suola, il riferimento per la determinazione di quella che intendiamo profondità delle lacune è il margine della suola e non la parete) e lo troviamo dopo poco più di un mese con una profondità, sempre lorda, di 34 mm. chiaramente durante il periodo l’animale non ha usato e caricato la parte posteriore del piede. Di quanto prodotto ai talloni nel periodo, 9 mm, non è stato consumato nulla o quasi. Ribassare la parete ai talloni ( se questo abbiamo fatto) non è servito, il materiale si è riformato, nessun lavoro lo ha consumato e la situazione magari è peggiorata. La nostra scelta è da rivedere oppure dobbiamo considerare se il terreno o una altra variabile sono intervenuti. Se ritroviamo invece le stesse misure il cavallo ha consumato la parete che ha prodotto ai talloni. Quindi li ha usati!  Se ci atterra sopra significa che il disagio provato  è diminuito. Possiamo azzardare un ulteriore ribasso. (quanto e se nessuno ve lo può spiegare; é frutto della continua osservazione ed esperienza). Infine se troviamo misure inferiori a quelle della volta precedente? Invece di esultare andiamo a cercarne il motivo e potrebbe essere non piacevole. Quanto ha camminato, dove e come quel cavallo?

Questi esempi non esauriscono il tema, sono solo agli estremi delle varie possibilità.

Nettamente diverso è il caso contrario di consumo maggiore ai talloni. Anche in questo caso non si può prescindere dalla misurazione della profondità delle lacune. Misuriamo la profondità delle lacune sia nella parte posteriore del piede che all’apice del fettone. Se la profondità all’apice è maggiore che posteriormente siamo di fronte ad un accumulo di materiale sulla suola nella parte anteriore del piede. Ne può essere causa la posizione troppo avanzata del piede rispetto al corpo ed è maggiormente riscontrabile nei posteriori (sotto di sé). Mentre va ricercata la causa, e non è detto che ci sia una soluzione, è necessario intervenire subito riducendo lo spessore del materiale depositatosi impropriamente sulla suola nella parte anteriore del piede. Questo va fatto da un pareggiatore davvero qualificato tante sono le variabili ed i pericoli sottostanti. Lo zoccolo si presenta con una inclinazione veramente ridotta, la punta allungata in avanti, il tallone basso. Non si tratta di uno zoccolo laminitico ma deformato a causa della reiterata posizione ed andatura. La punta riportata indietro e l’eventuale rimozione di materiale sulla suola nella parte anteriore del piede consente all’animale di trasferire l’arto in una posizione più appropriata immediatamente se altre cause non lo impediscono. Come nel caso del consumo non simmetrico sulla parte laterale (esterna) o mediale (interna) dello zoccolo l’accumulo è esso stesso causa di ulteriore deformazione e sbilanciamento e deve essere rimosso.

in questo caso è stato sufficiente ridurre l'altezza della parete lungo tutto il perimetro ma soprattutto in punta per riportare la terza falange in una posizione più corretta rispetto al piano di appoggio. la profondità della lacune (considerando anche la parete) da maggiore all'apice del fettone è tornata ad essere maggiormente profonda in corrispondenza della parte posteriore del fettone. la suola e i suoi depositi, modesti, non è stata toccata. ne riparleremo con le piogge.

in questo caso è stato sufficiente ridurre l’altezza della parete lungo tutto il perimetro ma soprattutto in punta per riportare la terza falange in una posizione più corretta rispetto al piano di appoggio. la profondità della lacune (considerando anche la parete) prima del pareggio maggiore all’apice del fettone è tornata ad essere meno profonda rispetto a quella in corrispondenza della parte posteriore del fettone; i depositi sulla suola, modesti, non sono stati toccati. 

Il proprietario o comunque il neofita possono affrontare tutto questo se si dedicano con impegno e passione. Si dovrebbero limitare altrimenti al lavoro di ribasso quando il consumo è uniforme su tutto il perimetro o farsi istruire sul da farsi negli altri casi o meglio ancora far sistemare i “piani” ad un vero professionista in grado di spiegare i principi e motivi che lo guidano.

Quanto vogliamo infine che sporga la parete dal piano della suola? Questo è un altro punto “caldo”. E’ mia opinione che non ci sia né possa essere data una risposta con un numero. I famosi tre millimetri sono un valore medio che può essere valido o meno a seconda della penetrabilità del terreno e conseguente presa o grip, dal peso del cavallo e dimensioni dello zoccolo, dallo spessore della parete, dalla attività. Una parete sottile o compromessa non accetta infatti di essere lasciata lunga quanto una robusta. Un piano di appoggio duro non permette una parete protrudente che è utile invece su terreni penetrabili e scivolosi.

Vedete che anche volendo, trattare gli argomenti dando regole non è possibile. E’ necessario pensare ed adeguare l’azione alla situazione. Riassumendo il nostro obiettivo è quello di tagliare l’unghia proprio come fosse una delle nostre tenendo presente che lo zoccolo non è il piede di una ballerina ma la mano di un fabbro. Le unghie devono essere corte altrimenti si rompono si deformano e fanno male. Un’unghia può diventare più lunga dell’altra se utilizziamo una mano o un dito o una parte di più. Serve buon senso, la conoscenza e la valutazione obiettiva dell’ambiente e del cavallo.

Spero di avervi dato motivi di riflessione e modo di comprendere ciò che si presenta quando osservate uno zoccolo a terra e poi lo sollevate.

Con questo si esaurisce la fase 1 o di ribasso della parete. Nel prossimo articolo parleremo del contenimento della parete o “riduzione di capsula”.

Andrew McLean, Principles, Training.

Andrew McNeal, translation thanks to Alex Brollo MD, introduction in italic Franco Belmonte.

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I would like to explain to the reader my opinion. In italic part of the introduction to an exhibition of old pictures regarding the animals and the WWI. I made, writing about the training of the animals at the time of the WWI, till now, a comparison. Messner and the mountains climbing vs barefoot riding and driving. The same approach to the many difficulties.

“The barefoot movement, when not totally iron free, is itself, limping. To be totally iron free provides evidence revealing the truth regarding the skills, knowledge, and sportsmanship of the owner. Messner was free-climbing searching for his personal limits and for the continuous improvement of his performance. In the same way, genuine horsemen and horsewomen are able to find true satisfaction in the “naked” ability that comes from athletic fitness, adaptedness to the terrain, horse-human relationship and ability to manoeuvre. Perhaps a manoeuvre may appear less refined to certain eyes, but merits a fundamentally valid appreciation.
For me and Reinhold, it is not so important to reach the summit, but the journey, itself, and both the quality and manner of travel.

“The journey and how we face it.”

Our journey begins thanks to an awareness that the term “domestic animal” is an excuse for us to keep animals in situations prioritising our conveniennce.
The box stall, the restriction of movement, the blankets, blinders, meals, rich food are in opposition with the nature of the roaming animal. Shoes and bits are the equivalent of the “artificial progression” that Messner refused.
Returning to the exhibition about animals and the WWI those accessories appear more anachronistic and reckless in times of peace”.

Dr. Franco Belmonte
bitlessandbarefoot-studio

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The pressure Principle

The pressure principle is the most fundamental principle in the training of performance horses.

Exclusivity Principle

This basic psychological principle of one signal at a time is appreciated by professional animal trainers but rarely by horse trainers…
Proportional Principle
Increasing pressures of aids should correspond with increasing levels of response…

Fear Principle

Fear is quickly learned, not easily forgotten and is strongly associated with the movement of the horse’s legs. It is important to learn to identify the range of fear responses in horses and to avoid and diminish them.

Pavlov’s Principle

Pavlov’s principle is all about training the horse to operate from light aids, including seat, weight and positional cues…
Shaping Principle
Shaping is a term used in behavioural psychology and understood by animal trainers of many different species. It is about targeting and rewarding responses…

Self Carriage Principle

At first, the concept of self-carriage seems simple enough. It means that the horse self-maintains his own rhythm, tempo, stride length, straightness, outline and rein and leg contact and engagement…

Mentality Principle

Appreciating the similarities and differences in mental ability between horses and humans is crucial to effective and humane training.

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THE PRESSURE PRINCIPLE
Article published in the horse magazine, August 2004 – Author: Andrew Mc Lean.
The removal of physical pressure or discomfort reinforces (rewards) whatever behaviour precedes the moment of removal (i.e. leg(s) rein(s), spurs, whip-tap, headcollar).
The pressure principle is the most fundamental principle in the training of performance horses. The bit in the horse’s mouth and our legs around the sides of the horse deliver various pressures on the horse’s body. Our aim is to transform those pressures into invisible light aids, but even with light aids there is still a range of light pressure variations. The performance horse is constantly receiving subtle or not so subtle variations in pressures that are supposed to translate to variations in mobility. It is an essential part of training therefore to train the horse how to respond to pressures.
Pressures are learned by negative reinforcement (pressure removal), and then when converted to lighter aids can be maintained by positive reinforcement (reward). When you think of pressure/release, think of Tom Robert’s pearl of wisdom when he would ask people the question “When you sit on a pin, why do you get off?” Most would answer “Because it hurts” but Tom would correct them and say “No, you get off because that’s when it STOPS hurting”. For many people that provides a powerfully clear message about how the reins and legs work to produce responses in the horse.
TRAIN PRESSURES THOROUGHLY
One of the most important points to make here is that we must train using pressure/release thoroughly, rather than rely too early on fragile associations. A good example is training the horse to lead correctly. Horses are more than capable of learning to avoid pressures on the head collar by simply learning to copy your actions. When you move it moves, when you stop it stops. Simple. Except when you decide to lead it somewhere it doesn’t want to go, like over a creek or into the float. Then the gates of hell explode open. Nice horse turns into monster and monster soon learns that this is just the thin end of the wedge. How did the adorable Dr Jekyll transform into the evil Mr Hyde? Because our equine Dr Jekyll learned that the pressure disappeared when he went berserk. That’s pretty well how all bad behaviour is learned. He rears – the pressure on the rein and leg disappears; he bucks – the whole problem (the rider) disappears; he shies – the rider loses balance and control. The truth is whatever behaviour immediately precedes the removal of pressure, the horse learns that it caused it. The more flight response involved, the faster he learns it.
Thus we need to place boundaries around the horse’s behaviour, and this is through the use of the reins and driving aids of the legs. Using our legs to control the horse would have been obvious to our ancestors who first tried to control them. But what about bits?
Horsemen conceived the idea of putting bits in the horse’s mouth a long time ago too. Apparently the ancient Numidians controlled horses with only their legs, but it wasn’t a method that was going to last. Nobody except for a few New-Age horsemen with fog between their ears and dollar signs on their eyeballs have bothered to reinvent and preach this kind of apocalypse. The Institute for Ancient equestrian studies reveals that progress with deceleration control came early: there is evidence of bit wear on horses’ teeth found in the Ukraine from 4000 BC; that antler cheek-pieces were used as anchors for rope and that hide or sinew mouthpieces have been recovered at sites on the Black Sea. It is believed that metal bits originated around 1500 BC. It seems we recognised the grim truth quite early on that putting a bit in a horse’s mouth made horse riding less of a lottery, safety-wise, than it would otherwise be.
WHY ESTABLISH PRESSURE/RELEASE FIRST?
There are a number of reasons for the priority of establishing pressure/release behaviours first. Perhaps the most important is that correct pressure/release provides solid boundaries for behaviour. This is essential for a ridden animal that can gallop at 70 km/hr, weighs around 500 kgs can kick at the force of 1.8 times its own bodyweight yet has no comprehension of consequences, but rather learns by the somewhat risky means of trial and error! It is small wonder that in the Western world, the annual death rate is one death per million head of population. The bottom line is you have to get this animal under control. With correctly trained rein responses you have a greater chance of stopping a bolting horse more than any other way. With correctly trained leg or leading responses, you have the greatest chance of making it go across that creek or into that float when it just won’t budge. Thorough training of pressure/release responses ensures that plan B is ready when plan A fails.
Secondly the correct use of pressure/release is efficient. It rapidly induces the behaviour that we target as our response. For example we want the horse to step sideways from the tapping of the whip on his hindleg. We increase the speed of the tapping until he moves. If he moves toward the whip rather than away from it we can increase further the strength of the tapping. We can play ‘colder-warmer- you got it!’ with pressure/release and achieve results rapidly, thereby lowering the number of incorrect repetitions.
Another advantage of pressure/release versus mere associations is that operant learning (trial and error, negative and positive reinforcement) is more stable than unrelated associative cues. Everyone who lunges horses will be aware of the fact that horses rapidly learn to go forward and to slow on voice commands. Yet you still need to have that lungeing whip nearby because every now and then, the voice command fails. The less similar a cue is to the pressure/release effector, the more easily it is forgotten. So the visual picture of a lunge whip tucked under your arm is more effective than voice, but it too is less effective than the whip itself.
Finally when pressure release is correctly trained, it begins to achieve a reliable pattern of response in about 5 repetitions. That is mighty fast by any measure of learning. Successful trainers of young horses will know exactly what I mean here. When a horse first learns to stop from rein pressure, it takes only about 5 repetitions and the pressure used from then on is almost entirely light. The hard part is actually getting the pressures right. There are no established national institutions that teach us how to use pressure/release correctly. It is one of those things that is thought of as an art, a gift so most people blunder along not knowing how to use pressures correctly so they avoid situations where they might need to, and the horse soon learns to dictate his own pressures. The horse teaches the rider not to use his reins, leg or whip. ‘Hot’ horses are adept at making the rider keep the legs off. Horses are wonderful animals and make great trainers.
NOT ALL HORES ARE THE SAME
Horses vary tremendously in their response to pressure. This is related to their sensitivity, and just how aversive they find the particular pressure. Some horses need very little increase in pressure, and tend to offer the correct response almost at the first experience. Others need more pressure before they are tempted to respond, and others respond but offer all the wrong responses as they mentally trawl through all their entire possibilities before coming up with the right one. Horses that take a while to offer the correct responses or to offer any response at all are often referred to as being stupid. Yet when you use food as a reward as I have done with some of my experiments on mental abilities in horses, those ones that seem stupid with pressure are frequently Einsteins when it comes to learning that involves food rewards. This shows that what we are really testing when we use pressures is not intelligence but motivation.
SPEED OF RELEASE
Horses have enormous difficulty in learning something when the reward is too many seconds away from the behaviour. In fact, optimal learning occurs when reinforcement or reward adjoins the correct behaviour. You have to be quick. This is also one of the reasons why giving the horse one good whack is about as enlightened as peeing into the wind! Chances are, this sudden and dramatic increase in pressure that amounts to punishment will result an explosion of the wrong response, rewarded by removal of the whip. Now you have really trained the wrong thing. Some years ago, researchers Haag, Rudman and Houpt demonstrated that punishing horses lowers their ability to offer a new behaviour in solving a problem. Similarly Daniel Mills, perhaps the most eminent equine ethologist these days, pointed out that punishment in training is problematic because it tells the animal what not to do, but not what to do. He showed that punishment has the potential to desensitise an animal to the punishing stimulus if the punishment intensity is not correct. Mills also pointed out the risks of deleterious emotional changes that can interfere with attention and learning, and the fact that punishment may be associated by the animal with the person delivering it. He concludes that punishment is a dangerous minefield of problems that amount to abuse, and are best avoided.
MOTIVATING PRESSURE
Careful use of pressure however is an entirely different thing. If you think of pressure on a scale of 0 to 10, you come to see the correct application of negative reinforcement. Level 0 is no contact, i.e. a loopy rein, or legs forward and off. Level 1 is contact. The horse has to habituate to this ‘neutral’ level of pressure. Level 2 to 3 is the light aid, and this eventually comes to elicit all responses. Levels 4 to 10 is the increase in pressure. The way pressure should be used for all responses, both rein and leg, depends on whether the task being trained is novel or not. If it is new to the horse, the pressure should reasonably quickly escalate from the light aid through to the stronger pressures then release the instant the horse gives the correct response. When you discover which particular level of pressure works, you then begin with the light aid, but then SKIP the pressures that don’t work and go to the one that does. This is called the ‘motivating pressure’. So your level of pressure might go 1, 2, 6, 0, 1. This translates as Contact/light aid/motivating pressure/release/contact.
TIMING
Optimal training also means the pressures should be in sync with the rhythm of the footfalls of the horse, and contained within the footfall sequences of the gait. In other words the walk is four beat LF, RH, RF, LH. This is how the aids are delivered beginning and ending with contact: 1, 2LF, 6RH, 0RF, 1LH. This timing is preferable to delivering the aids where they overlap the gaits. Importantly, this is the way horses actually learn to respond from the light aids, rather than always needing stronger pressure. It is the close proximity of the light aid to the release of pressure that enables all horses to maximally perceive and respond to the light aid.
Interesting research by Amanda Warren-Smith (Uni of Sydney) shows that achieving responses within three beats of the rhythm is optimal. That doesn’t mean the horse can’t learn any other way, it just means that more can learn it this way, and it is more efficient and long lasting. Training naïve foals to lead, Amanda showed that completing the pressure/release interactions after the 2nd of the two forelegs has moved is optimal for learning to lead. Although not yet proven empirically, I have seen that the same applies to trot canter and gallop. The point is you try to use the correct amount of pressure and release when both sides of the horse have completed the response. I believe this is the major reason why galloping horses often have strong bits on – the pressure release interactions are too slow, overlap too many strides, and don’t release soon enough.
CONFLICT
A lack of clear pressure/release training produces conflict behaviours. Therefore the way in which trainers and riders use pressure determines the horse’s future to a very large extent. When you get the pressure/release mechanism right, you provide very solid foundations in training; when you get the pressures wrong the horse becomes confused, can develop bad habits if the confusion continues and therefore may become a problem. That’s why good trainers always aim for consistent results each time. They are fussy, and with good reason, otherwise you are rewarding different results each time and the horse doesn’t have a clue what you want.
Pressure itself is aversive or unpleasant to the horse – his aim is to remove the pressure. The more unpleasant the pressure, the more neurotic it can make the horse if the animal cannot find a way, or rather find a behaviour that makes the pressure go away. Pressure without release such as strong unrelenting contacts and nagging legs result in desensitisation of the horse to pressures. Some individual horses can live with it, others cannot. Conflict behaviours such as bucking, shying and leaping, are best treated by deleting them with downward transitions, and then repairing the cause such as the go pressure/release responses by breaking them down into single, irreducible, trainable units. For example, training the go or stop button to be immediate, which results in the horse learning the light aid, then working on straightness, then outline, rather than everything haphazard or all at once. These should be done by pressure release alone rather than a combination of seat aid and rein aids. You build on each, one by one, and then add the seat aid later when the primary signals are learned. Mostly you will find the association aids such as the seat work perfectly well when the rein and leg aids are restored to be fully functional.
Prevention is always better than cure. This is particularly true when it comes to behaviours that involve the darker older recesses of the brain, the limbic system. That’s where fear responses lie in waiting. Once exhibited they are more deeply learned with less practice that the good things we try to train horses to do. And once practised, they are subject to what is known in behavioural science as “spontaneous recovery”. They can come back to haunt us when training demands are high and patience is faltering. Our best hope is to train the horse to not only accelerate and decelerate from lead pressures, but to also train the horse to lead and keep his rhythm, to shorten and lengthen his steps, to lead straight and to lead with a consistent and relaxed head carriage. To lead into puddles and dark patches. Into floats and out of them quietly without losing rhythm. Under saddle we aim to achieve the same results only this time from the reins and legs: to go and slow, to increase and decrease the length of stride without rhythm or tempo changes, to go straight and on the bit and wherever the horse is pointed. We have to be careful not to fall into the trap of trying to control these things with the seat or weight before the horse has learned the boundaries of pressures, and their conversion to light versions of the rein and leg. Then later in training when we are controlling the horse using subtleties of seat and weight, when things go wrong we have a back-up plan that works immediately, limiting the amount of incorrect and confusing experience.

EXCLUSIVITY PRINCIPLE                             Article published in the horse magazine, October 2004 – Author: Andrew Mc Lean.
Each response should be trained and elicited separately (don’t pull on the reins (stop) and kick with the legs (go) at the same time) Women, it seems, can talk on the mobile, put on their make up and drive a car all at the same time. It’s not terribly safe but they can do it. They don’t need to turn the TV down when the phone rings either. Yet if a man is shaving and you talk to him he is likely to cut himself. Women, it appears, are a rarity in the natural world in that they can multitask. Men in general cannot and nor can horses. Women’s brains have more fibres connecting one side of the brain to the other, while men’s have fewer. Men’s brains are more compartmentalised which is why men generally find it easier to identify left from right. Well horse’s brains are even less connected from left to right, and they cannot multitask at all! When you communicate to horses (or men!), you have to issue one command at a time otherwise both commands will result in lowered responses. This basic psychological principle of one signal at a time is appreciated by professional animal trainers but rarely by horse trainers. In fairness to horse trainers this is largely because the training of other animals rarely calls for two responses at any given moment. While the basic training of the horse involves just single responses (go, stop, turn and leg-yield), training at Elementary level begins to involve blended responses. For example, shoulder-in, travers, then later on half-pass, pirouette, then piaffe and passage all involve blends of the basic responses. In fact these aids should not be elicited at the same moment but consecutively to avoid confusion. The more consolidated a horse has become in his basics, the closer the aids can be brought together. When I use the word consolidated I mean that the responses are automatic from the aid, i.e. rote learned through many repetitions; in other words through countless transitions. Some trainers have long known that the aids should not clash. I remember reading an excellent article by Michelle Strapp describing George Morris’s conviction that the aids should never clash, but can, in an experienced horse come very close together.
HOW CLOSE CAN THEY BE?
In inexperienced horses the aids should be separated to the point where one response is completed before asking for another (by at least 3 seconds). As the horse’s training becomes consolidated, responses can be brought closer together, as by this stage they will be controlled immediately by the light aids and will be automatic habits. In experienced consolidated horses, the closest the aids can be to each other is from one footfall of the beat of the rhythm of the particular gait. Take Shoulder- in for example. The rein and leg aids should not be simultaneous but one after the other within the rhythm of the footfalls. The first part involves the turning in of the shoulders one step to the inside. The second is the forward driving aid of the inside leg. If both the turn and go responses are trained to be in self-carriage then the horse responds to the turning aid and maintains the forequarters to the inside, and the inside legs signals go forward and the horse remains so until signalled otherwise. Yet it is common that during the training of such movements that the aids are not independent.
BUT SOME HORSES DON’T SEEM TO MIND TWO AIDS ON AT ONCE ….
What happens when two opposing aids are presented at once varies between horses. Some horses seem to tolerate these confusions and all that happens is that they dull to the pressures of both go and stop to some extent. The horse loses his immediate response to the go and stop aids and the light aid gradually transforms into a heavier one. Other horses however may react violently to the simultaneous application of two opposing aids, and may try to run away, panic, bolt, rear, buck or shy. Others might express various levels of conflict behaviour in out-of-context situations such as developing separation anxiety, become hard to catch, difficult on the ground or poor traveling. These out-of-context conflict behaviours are the hardest ones for riders and trainers to diagnose. The fact is horses can develop these behaviours because they are worried by their confusing training. Dogs and other animals certainly do manifest their training confusions in separation anxiety. In Britain, Dr Daniel Mills performed an exhaustive survey of dog obedience and its relationship to stressful behaviours such as separation anxiety and constant barking. He found that while most owners rated their dogs obedience far higher than independent tests proved, there was also a positive relationship between dogs that were poor at commands of ‘sit’ and ‘stay’ and those that exhibited stressed neurotic behaviours. It is only a matter of time before most horse trainers will see to their advantage that the same understanding applies to horses. Horses are not nasty, mean, naughty or malevolent, they are just plain confused and the blame rests fairly on our own shoulders. We have a moral responsibility to train as best we can.
THE HORSE’S VIEWPOINT
We have to remember that the horse doesn’t know or care for the goals of our training. You should try to see the problems of training from the horse’s point of view. Dr Paul McGreevy, a preeminent equine and canine behaviourist and lecturer at Sydney University understands the predicament horses and dogs face in training. To teach his veterinary students to appreciate this conundrum, he gets them to play the ‘training game’. One student leaves the room and the others decide on a task that they want that student to perform. Like standing with the left foot on the right knee and the right hand on the head. Then the student re enters the room and training begins where the student is ‘trained’ to perform the task that he has no comprehension of. Only progressive approximations of the correct response are rewarded until the student gets it right. Students suddenly realise the frustration that occurs when you don’t actually know what a right response is and what isn’t.
CLARITY
As trainers, you have to be clear to reward the same response each time. Furthermore you need to ensure that the goals of each response are sufficiently different from each other. For example you have to be careful that the release of the reins doesn’t mean go. This is very confusing for the horse because the same stimulus (reins) elicits two opposite responses. Around one hundred years ago, Pavlov showed what happens when the right and wrong response begin to merge and become too similar. He trained dogs to discriminate between a circle and an oval shape whereby one shape was punished, the other rewarded. He then gradually merged the two shapes until the dogs could no longer discriminate between the two. These events induced aggression and tension in some of the dogs; others responded randomly to all stimuli regardless of shape, and others just fell asleep. Most were unable to participate in the experiment any further. Constant confusion has that effect – it lowers the animal’s tendency to offer responses in the future.
Another scientist, Masserman, trained cats to open a box when a light signal flashed to obtain a food reward. Later, when the box was opened the cats received a strong blast of air in their faces. Under these conditions the animals became severely disturbed. Some became hyper reactive and aggressive, others became dull and almost all of them showed signs of acute stress, with raised blood pressure and gastric disorders.
As I have mentioned previously, animals are wired to associate a stimulus with a particular response. Clear light aids that lead to clear consistent responses naturally result in calmness because they afford controllability and predictability to animals with regard to their behavioural world. The importance of clarity has been known for centuries in horse training. In the classical academic riding of the 18th century, a vital maxim was known as ‘the independence of the aids.’ Francois Baucher was the first to elaborate on this with his principle of “Jambes sans mains, mains sans jambes” (leg without rein and rein without leg). In other words no simultaneous use of opposing aids. In 1977, Professor Frank Ödberg and Dr Marie-France Bouissou pointed out the high wastage rate of performance horses in a presentation to the Waltham symposium. These researchers revealed that one study showed that 66.4% of horses sent to slaughter were sent there for behavioural reasons and were between the ages of 2 and 7 years. In another study they showed that of 2970 horses sent to a Munich slaughterhouse, between 25% and 50% were there for non-medical reasons, and most were less than 3 years of age. On the basis of their findings, Ödberg and Bouissou called for a return to the classical principles of academic riding of the 18th century. They were specifically referring to the importance of principles such as ‘leg without rein and rein without leg’. The aids can come close, but it is bad horsemanship if they clash, especially for extended periods.
The demands of horse training are complex. While it is possible and desirable to train more than one signal for a response, it is important to understand that there is a priority in training. The first priority is to train pressure release first so that the first light aids the horse learns are the light versions of the pressure aids such the light rein aid for stop and the light leg aid for forward. The horse naturally transposes these to secondary signals: seat and weight aids. Once these aids are consolidated some trainers like to use voice aids for various responses. This is now a problem as the horse is able to easily learn a number of signals – the important thing is that the signals always lead to the same response, and that opposing responses are not asked for at the same time. If your horse shows some kind of resistance or evasion, take the blame off the horse’s shoulders and ask yourself how you managed to produce this kind of conflict behaviour. Honesty is the best policy, but in horse training it’s also the safest and the kindest as well.

PROPORTIONAL PRINCIPLE
Article published in the horse magazine, December 2004 – Author: Andrew Mc Lean.
Increasing pressures of aids should correspond with increasing levels of response i.e. a small leg aid should result in a smaller go reaction, while a bigger aid should produce a stronger go response.
Compared to other forms of horse training, performance horses need to be much more responsive in terms of speed and power variations. For example if your aim is simply to enjoy trail riding then the task of training is considerably less complex than that of an event horse or a dressage horse. All you really need is a good set of brakes and accelerator and a horse that maintains his own speed. In trail riding establishments, sometimes training is considered to be of less importance than having a quiet horse that is more compelled to follow other horses in the group rather than be guided by the random pressures of a naïve rider.
An imperative aspect of the training of performance horses is that their speed is highly adjustable so acceleration and deceleration can occur rapidly from one extreme to the other, or that it may occur more precisely from one level to the next. For example a horse needs to be able to be rapidly accelerated away from one cross-country obstacle to the next, and to be slowed and shortened in a minimum space of time. Those too slow to accelerate or decelerate incur time penalties. The same abilities are required in the jump-off in show jumping. Dressage horses require abilities to perform transitions into extended canter from collected canter and back again in three beats of the rhythm. In the beginning of the horse’s training, these variations come from variations in stronger pressures, and soon the pressures ‘mirror’ responses. Then they undergo a natural transformation where the horse learns to give the same variations in speed adjustment from more subtle variations in light aids, because the horse perceives that the light aid always precedes the stronger aid, and is therefore predictive of it.
The ‘motivating level’ of pressure
In order to train the horse to respond to variations in the aids, the horse must first be able to achieve gait changes (i.e. walk to trot, etc) that occur without delays. This naturally means that riders must use the amount of pressure that actually works. Imagine the range of pressures that are possible from the reins or the legs on the scale from 0 to 10 (I have previously described these in ‘The pressure principle’, THM Aug 2004). What is known as the ‘motivating pressure’ is the amount that results in the horse offering the response targeted by the trainer. During initial training we discover the amount of pressure that works and the next task is to shorten the time during which the horse receives pressure, so that the transitions occur in three beats of the rhythm of the particular gait. This means we have to skip all the building-up pressures and use only the amount that works. The light aid is the first signal that the horse perceives and this is followed by the stronger motivating pressure (the amount that works), followed by the release.
These three components, the light aid, the pressure and the release should coincide exactly with three beats of the rhythm of the particular gait. Soon the horse learns to respond from the light aid alone, but still the response should occur within three beats. At this stage there is no need for release, and the contact remains the same throughout the transition. Three beats allows for the natural inertia of acceleration and deceleration of a 500kg mass to be managed in the shortest time frame possible within a linear rhythm and without abruptness.
Training variations
Once the horse operates from light aids, the next step is to train variations – variations within the gaits (longer walk / shorter walk etc) and then finally more extreme variations from gait to gait (e.g. walk / canter and canter / walk). These should also occur in three beats. Their training involves pressure release of the rein and leg aids to ensure the correct timing. One of the most common problems that I encounter in my clinics is that many horses do not show variations in responses that correspond with variations in the aids. Instead when a slightly stronger aid is used the horse frequently gives an ‘opposing’ response. An example is that a stronger rein aid makes the horse go faster, or a stronger leg slows the horse. Opposing responses must be very confusing for horses because they correlate highly with the worst behaviour problems such as rearing, bucking, bolting and shying. In the early stages of development, opposing responses also show up as erratic ‘out of the blue’ behaviour. The horse surprises you because quite suddenly and quite unprovoked, it leaps, runs, bucks, shies or rears.
To train variations you need to ensure that there are clear differences between the aids that you use for gait changes and the aids that you use for length of stride variations. Too often riders use the same aids and then it is small wonder that the horse jogs when asked to do a free walk on a long rein. In terms of rein and leg aids, the aid for gait transitions (into and out of walk, trot canter and gallop) are best trained as more prolonged aids (for three beats). On the other hand, the aids for variations within the gaits such as lengthening and shortening the walk, trot and canter are brief (for a single beat only). Accompanying these aids are differences in seat aids. The seat aid for lengthening/shortening is a longer/shorter sweep of the seat whereas the seat aid for a gait change is a more prolonged forward driving (upward transition) or bracing seat aid (downward transition). If riders are consistent, horses have no difficulty perceiving these combinations. Being clear with these aids is essential for the sanity of horses: retraining them in both rider and horse often has a huge effect in transforming a tense horse into a relaxed one.
Focus on leg and rein aids first
Now we are faced with the human learning dilemma. How best to teach people to use both seat and leg aids? It is whole minefield of problems teaching people to do more than one thing at a time. The answer should always be based on the horse’s learning abilities. Therefore if there has to be a priority in training, the first priority is to train the leg and rein aids in all their proportions and variations because only they can ensure the correct timing of the transitions which is essential for the horse’s obedience. Once relatively consolidated in both the rider’s and the horse’s repertoire final improvements are made through concentrating on the use to the seat and positional aids that complement the leg and rein aids. Training responses in this order is the best way to avoid confusions in the horse by achieving consistent outcomes from responses early on in the piece.
Rider position
And then there’s the balance problem – it’s hard to be consistent with the aids without miscuing or unbalancing the horse through the rider’s losses of balance. That’s why, if you’re attempting to train or retrain a horse, you need to have a high level of core stability in your position that is best achieved on the lunge or on a horse that doesn’t pull or isn’t too lazy. ‘Strong’ horses are particularly bad for a rider’s position and especially bad for children if they want to learn correct equestrian skill. Through constant tension on the reins riders don’t learn to ride the horse forward. Instead the horse runs away (making the rider think it’s forward) and the rider ‘water skis’ on its mouth.
Don’t rely on seat aids only
It is not sufficient to rely on seat aids alone, because on their own they cannot maintain responses in three beats of the rhythm. After a while the transitions from the seat alone may stretch out to take five or six beats and the horse loses impulsion and can’t lower the hindquarters. Try for example going from walk to halt counting the beats it takes to achieve it without the rein becoming heavier or the jaw opening. In addition, if leg and rein aids are abandoned entirely, there is a greater risk of lowering the horse’s response level. At the conference I attended in Glasgow last month, evidence was presented that showed that if you train an animal to respond to 2 signals (like rein and seat) for one response, then using only one of them lowers responding in the animal. In the best case scenario, the optimal solution for the horse’s learning efficiency is to shrink rein and leg pressures to light aids first, and after this transformation is achieved, accompany these imperceptible leg and rein aids with correct seat and position aids.
Dealing with resistances
In training and retraining, pressures should be proportional to the amount of resistance offered by the horse. Only the motivation pressure should be used, but in saying that, it MUST be used. For example if you use the legs for ‘go’ and the horse stalls or fails to go at all the pressure of the go aids should be increased to the level that motivates him to go and not a whisker more. That is the art of good training and is a major characteristic of successful trainers – they know how much pressure to use. If you use too much you run the risk of creating fear and lowering the horse’s inclination to ‘try’ offering responses. If you use too little you run the risk of the horse habituating to that level of pressure and having to subsequently use greater pressure than had you used the correct motivating pressure in the first place, and gradually dulling the horse to greater pressure resulting in what is known as ‘learned helplessness’. If the horse offers the completely opposite response such as going backwards you then increase the leg pressure a lot more until he trials the correct response. This is the way to tell the horse “that is definitely not the answer – try again”. Similarly the amount of rein pressure used to slow the horse if he mildly accelerates is far less than if he suddenly bolts or bucks.
The advantages of being sharp to the aids
Horses that take longer than three beats to move from gait to gait or to achieve variations within the gaits correlate highly with behaviour problems. Transitions that take too long result in the horse enduring and perhaps habituating to long periods of pressure. They lose their responses and in the case of the rein aids they may lean on the bit resulting in mouth opening, jaw crossing, tongue problems, and general body tension. Horses that take too long to respond to the leg aids become dull, tend to be nagged by the rider and may kick out to the leg aids. Horses that are dull and slow to respond to both rein and leg aids may rear or even self-mutilate in some cases. Maintaining proportions of light aids and their corresponding responses is important in maintaining good behaviour. Training horses to be quick and light to respond to the aids is good for the horse’s well-being – it enables the horse to ‘read’ you and is thus a major component of gaining ‘trust’. It also trains the horse to be quicker with his hindlegs, to ‘sit’ and lower his hindquarters.

FEAR PRINCIPLE
Article published in the horse magazine, February 2005 – Author: Andrew Mc Lean.
Fear is quickly learned, not easily forgotten and is strongly associated with the movement of the horse’s legs. It is important to learn to identify the range of fear responses in horses and to avoid and diminish them.
What is fear?
The fear response is the horse trainer’s greatest adversary. Fear in animals such as horses expresses itself as the flight response – the horse’s attempt to flee from threatening situations. Fear is the activation of the flight response. The flight response involves the animal’s entire body. Behavioural scientists describe all levels of fear as the HPA axis (the hypothalamic-pituitary-adrenal axis). This unwieldy name suggests the origin of the flight response – the brain and the adrenal glands. A structure deep inside the brain called the amygdala, sorts out stimuli as to whether they are fearful or not. Fearful stimuli receive special recognition by the brain in terms of remembering – unlike other information, once learned fearful responses are not forgotten. You can layer new responses on top, so they become less easily retrieved, but forever after, fearful responses need careful training to keep the lid on them.
Once the brain has perceived a fearful stimulus, alertness is raised and the adrenal glands give the heart a kick start. Other, less important stimuli are ignored. That’s why a horse in a full blown flight response can gallop into fences, cars and can collide with trees and other obstacles. Even if the horse manages to jump a fence, its jumping response is diminished to the extent that its legs drag over the wires, perhaps taking out the top couple of wires. A flat hollow jump characterises the flight response and is not uncommonly seen in not so well trained eventing horses in cross-country. The greater the amount of flight response, the more it is inclined to accelerate and the more it is tuned out to almost everything else, including the aids.
The flight response is extremely variable. It’s like a dimmer switch on a light – it can be fully on or partly on. The flight response shows up in various behavioural ways too. For example, bolting, bucking, rearing, shying, tension, running, hurrying, jogging, rushing, hollow back, high ‘upside down’ head carriage, teeth grinding, tail swishing, tail clamping. In all of the above responses, the legs lose their smooth rhythm and become quick and jerky. Bolting is the strongest expression of the flight response. It is a defence mechanism allowing the horse to run away from threatening situations. Few animals on earth are as fleet as the horse, especially over a longer distance. Bucking is also a defence mechanism. It is a movement evolved to remove predators from the horse’s back. Rearing is an aggressive/defensive move that is not only about predator removal but also part of stallion to stallion rivalry. Shying is a small component of the bolting reaction where a sudden swerve assists in avoiding capture. Bucking, bolting and shying are reinforced (rewarded and thus repeated) by the loss of grip of the predator. Under saddle and in hand if the rider or handler loses contact during these hard-to-control manoeuvres, they are similarly rewarded through loss of contact.
Do all horses show flight response in the same way?
Not all horses run away from their fears. Running away is most prevalent in thoroughbreds, Arabians and racing-bred quarter horses. The running away genes that these animals possess in varying amounts are derived from hot adapted ancestors whose principal predators were members of the big cat family. Running away is a great solution because cats are not long distance runners. They rely on short bursts of speed, and only one member of the cat family, the lion, is cooperative. Cooperative hunting increases the chasing distance by a few hundred metres. But with a head start, fleet animals such as horses and antelopes can out run them. Cooperative hunting is the most efficient form of hunting, yet even cooperatively hunting lions have a success rate of only one kill in six attempts. With the dog family, it is a different matter altogether. Cooperatively hunting dogs such as wolves and the African hunting dog don’t tire and give up so easily, once they have singled out their prey. The main canine predators of the ancestors of domestic horses were wolves and while few animals on earth can beat a horse over a couple of miles, a pack of cooperatively hunting wolves could soon catch up. Therefore, these cold adapted horses of central Eurasia that were preyed upon mainly by wolves tended not to run but to strike. While zebras won’t defend their young against lions, they run for it, they will stand their ground with hunting dogs and hyenas and are deadly with their hooves. Most of our domestic horses are mixtures of the cold adapted striking strain and the hot adapted running strain. You may have noticed that some domestic horses will run away while others might stand their ground and strike when threatened.
One trial learning
While most things we try to train the horse to do involve a number of repetitions, unfortunately the flight response can be learned in just one experience. Usually it takes a couple of repetitions but even so, that is a very short time for acquisition. You can imagine why fear responses would need to be remembered and repeated. Patterns of escape that result in surviving a predatory attack need to be instantly recorded for later use – there’s little room for trial and error when you are lunch for a lion. It is for this reason that during training, when it comes to fear behaviours the best solution is to delete the fear and give it the least chance of practise. This is what error-free training is about and I will describe it later.
What rewards the flight response?
The flight response is confirmed when any running away behaviour results in escaping the object of fear. In other words by increasing the amount of distance between the horse and the scary object. This reinforcement is not just about large distances of many metres that are made between the animal and its fear, but even over centimetres. For example if a horse is fearful of the whip or is headshy, moving its stepping one step away from the whip or raising its head from your hand confirm the flight response and in very few repetitions. If a horse is afraid of the farrier, it is confirmed when its stepping away increased distance between itself and the farrier. So the farrier should not step away if at all possible. What he should do is attempt to make contact with horse and repeat the advance/ touch retreat session a few times.
Identifying fear
It is important that as horse trainers we learn to identify the flight response for what it is. Universally horsemen get this wrong at all levels of equestrian skill. It has long been central to classical dressage and is seen in the modern German training scale that the horse should maintain his own speed until requested otherwise. This is what rhythm is about. If a horse cannot go in self-carriage he is either running away (accelerating) or slowing down. If the horse is running away he will be showing some degree of flight response. A typical example is a horse that is said to be too bold into his jumping obstacles. These horses accelerate when faced with an obstacle, and even at pony club level the dangerous behaviour of these horses is explained away as ‘keenness’. This is completely wrong. Such behaviours are almost always learned where, in the first place, the horse runs away from obstacles (the rider has not controlled the rhythm) and soon he associates the obstacle with the acceleration and the obstacle itself becomes the cue that elicits the manic acceleration. When this happens, the slowing effect of the reins are progressively lost and eventually need retraining, or a stronger bit is used. The horse develops a hard mouth which is a switching-off behaviour rather than an actual loss of feeling. In this instance the horse’s blood profile has the same signature of fear, chemical wise, as a horse that is running for its life escaping a pack of wolves. Jumping horses as well as riders need to be trained about rhythm, where it is clearly understood that the horse must be trained to keep his speed himself and the jump must never elicit any more acceleration than a soft and quiet drawing effect towards the obstacle. It is not only a matter of horse welfare – it is a matter of rider safety. In dressage and all other areas of equestrian pursuit we should recognise tension as fear.
No fast movements
In most equestrian work the horse’s legs should not be quick. In dressage, for example, changes in the body speed of the horse are effected by keeping the speed (Activity) of the legs the same but lengthening the stride. The ‘great masters’ of the past centuries who are responsible for what dressage is today knew much more than we give them credit for. They knew that fast legs lead the horse down the track of the flight response and it is often a one way street. They knew that a hollow back is tense and fearful and can feed increasing tension. They realised that increases in speed were best arranged by keeping the legs at the same speed of revolution, but within that revolution a longer stride means more speed. The fast jerky leg movements of shying and jogging feed the flight response and keep it well oiled for increased use. If a horse shies at a certain place it should be ridden there more slowly and the rider should be ready to use the reins and decelerate the horse immediately it begins to shy. If the object that elicits the shy is on the right, it will be the horse’s right foreleg that pushes the forehand away in panic, so the rider needs to be ready to slow the right foreleg with the right rein more so than the left. This should be repeated until the horse maintains his rhythm past the scary object. However, if the shies are random it is a strong hint of conflict behaviour – it means that the horse is confused about the aids and that it is heavy and delayed to either the stop, go or turn signals.
Any acceleration or deviation from line should result in the immediate application of the stopping or turning aids so that the fast movements are not incorporated into the animal’s repertoire and even worse that they are not further developed. This means we need to train in an error free way and when the horse shows a flight response we must prevent his legs from expressing it as much as possible. Error-free means delete the behaviour during its expression (not after it) and then immediately ask the same request again. This means slow the legs then ask for ‘go’ again. This often requires initial tuning up of the stop response in hand. If bucking is dealt with by just kicking on forward, the buck pattern may elaborate before it stops, and thus it may become incorporated into the horse’s repertoire of behaviour from the ‘go’ aid. Of course if the horse is only doing a minor pig-root, (a single kick up of the hindlegs) applying the go might be all it takes to achieve the correct ‘go’. If it isn’t fixed this way, then it needs to be trained error-free. Any sudden quickening is most effectively dealt with using the reins to immediately slow the stride, and the amount and strength of the slowing is governed by the severity of the horse’s behaviour. Whether the horse is shying, swerving, accelerating, shooting backwards or bucking, it seems that the faster the legs move the more indelibly it is remembered.
Is any amount of flight response useful?
An important aspect of horse behaviour is that increasing amounts of flight response or adrenaline are necessary for increases in speed. So not all aspects of the flight response are detrimental. Galloping would not be possible without an increase in heart rate. So eventing and the various codes of racing require some of the internal mechanisms that are associated with the flight response. The big problem is how much is too much. Anyone who has had the misfortune to ride a bolting horse knows that they don’t slow or turn. Yet a properly trained racehorse going at the same speed is still able to be slowed and turned. The bolting horse is clearly in a much firmer grip of the flight response than the well trained racehorse. When the flight response is involved in the forward response more than the minimum necessary amount to maintain a particular speed, the animal is running away. This again raises the question of self-carriage. A key feature of self-carriage is that the horse is in cruise control. Ridden and led horses whose speed is held by the hands are expressing a minor form of bolting. Confused horses also tend to run away and are held in speed and rhythm by the rider. The horse is unable to escape and his back is further hollowed, his steps tense and choppy.
Spontaneous recovery
How much experience with tension and running away can we safely allow our horses? None. Because behaviours that are associated with the flight response can be remembered with just one episode, fearful experiences lie there in the archives of the brain in storage, waiting. Fear responses are subject to what behavioural scientists call ‘spontaneous recovery’ – the tendency to suddenly reappear in the behaviour of the animal at the original response strength. The greater the amount of the flight response that the animal has experienced, the greater its likelihood to show spontaneous recovery. So ignoring a reasonably serious bolt or buck or a shy can result it coming back to haunt you when you least expect it. Usually the behaviour returns during periods when the animal is challenged and stress levels are a little higher – i.e. during the acquisition of new behaviours. Chasing fearful horses in round yards can also have the same effect in spontaneous recovery. If the horse is running around with all the signs of tension – high head, hollow back, short choppy strides, problems could be brewing. It’s bad for the horse’s mental well-being and bad for his associations with humans. Basically the horse is practising and storing the flight response for later. What’s more the horse is storing an association of fear and humans. All of the eminent ethologists I know are in agreement here. If a horse is being chased around a round pen with a hollow back, a high head carriage and with fast legs, then despite the immediate short term benefits proclaimed by the advocates of round pen work, it can be a recipe for further and sometimes more severe expressions of the fear response, and for rifts in horse human bonds. Humanistic interpretations aside, you should try to put yourself in the horse’s shoes. Eons of being high on the menu of predators has meant that the horse is particularly vulnerable to interpret whatever fits with being chased. The best you can do for your horse is to avoid chasing it if tension is likely to appear. On the other hand there is nothing wrong with correct lunging, provided the horse is relaxed. If a horse goes around the round pen or the lunging yard in cruise control and not hollow, there can be great training benefits there. Any sudden quickening can be dealt with through downward transitions via the lunge rein.
Control the horse’s legs
An American ethologist, by the name of Temple Grandin, showed a few years ago that ‘holding therapy’ works with horses. She observed American cowboys putting wild mustangs in crates with only their heads protruding and then filling the crate full of wheat via an overhead silo. Then they were subjected to bags etc swinging toward their faces. The horses were unable to express their fear responses because their legs were immobilised. When horses emerged from this contraption they were far quieter and easier to control; their flight response was dulled for some time afterwards. For many years Australian breakers and horse whisperers have been hog-tying horse’s legs and throwing them to the ground or hobbling them. All of these techniques temporarily subdue the flight response, although they are mostly misinterpreted as producing ‘respect’ and ‘submission’. What is actually happening is that fearful stimuli are disconnected from the flight response. However doing these sorts of things are nowadays mostly seen as ethically unsound practises.
The best and easiest way to control the horse’s feet on a more permanent basis is to do very effective groundwork on a regular basis. Correct groundwork provides complete control over the horse’s legs. In the AEBC system of groundwork we condition the horse to move only from a lead rein signal, and that the lead rein signal should be trained thoroughly so that the horse can be stepped forward and backward immediately from a very light lead signal and will continue doing so until signalled otherwise, maintaining a straight line and a wither-height head carriage. The horse also is required to ‘park’ until signalled to move. Other trainers have similar techniques, however the common denominator of them all is that the legs of the horse are under control and no random movements are allowed, especially no fast random movements. It is well recognised that the more the horse practises fast random movements, the more he is prone to do so. Similarly under saddle, complete control over the horse’s mobility is the solution for prevention of dangerous behaviours as well as for their rehabilitation. As I have mentioned earlier in this series, the various pressures of rein and leg place boundaries around the animal’s mobility, by achieving complete control over the horse’s feet in terms of acceleration, deceleration and direction. The transformation of these pressures to light aids adds relaxation to obedience because the light aids are unobtrusive and predictable.
Conflict behaviour
When animals experience the flight response regularly over a long time, they develop higher levels of certain stress chemicals such as cortisol. In behaviour studies, cortisol is a fairly reliable indicator of stress and over a long term has damaging effects on an animal’s physiology. Long term tension can also result in conflict behaviours that include separation anxiety, aggression, and even self-mutilation.
When a horse becomes confused, its first reaction is usually tension. This tension generally makes the horse inclined to run away from the stressful situation. The more confused the horse becomes, the greater the tendency to run away, leap away or shy away. Opposing responses predispose the horse to high levels of flight response. Opposing responses to aids involve reactions such as slowing from the leg aids, accelerating from the rein aids, turning left from the right rein or right from the left rein (as in falling-in or falling-out) or leg-yielding into the leg rather than away from the leg. In horse training however, the greatest amount of tension arises from the blocking effects of rein and leg at the same time. Only a small amount of horses show no clinical signs of tension under these circumstances. Animals simply can’t accelerate and decelerate simultaneously so the horse learns that aids are only ‘aids’ when they occur from pressures above the tight-pressured contact. Such a training regime means that sharp rowelled spurs and double bridles with crank-up nosebands become mandatory items of training yet common sense would dictate that higher standards in training should require less rather than more weaponry.
Identifying and treating fearful behaviour is one very essential part of horsemanship. For the sake of ours and our children’s safety and we have to throw away the myths that the horse that is rushing toward the jumps is displaying ‘keenness’ and knows what he is doing because he is basically willing to please. If horse trainers learned to correctly identify the range of fear responses that horses exhibit during training, and learned the value of not incorporating fear patterns of movement in all equestrian disciplines, horse riding and training would be far safer for both horse and rider. It is heartening to see that the equine science universities in the UK and Australia are embracing this understanding which will ultimately filter out to the rest of the equestrian world.

PAVLOV’S PRINCIPLE
Article published in the horse magazine, September 2004 – Author: Andrew Mc Lean.
Relaxation and attentiveness can only occur if the horse responds to light signals. During training the horse learns to respond from light aids if they are offered just before and overlapping stronger motivating pressure. W
hen training a new signal, the new signal should happen just before and during the light aid.
Pavlov’s principle is all about training the horse to operate from light aids, including seat, weight and positional cues. There is a definite science about training horses and other animals to operate from previously neutral signals, and Ivan Pavlov (1849 – 1936) was the first to describe it. He was a Russian scientist and in fact wasn’t searching for any behavioural principles when he discovered and revealed the process of acquiring signals. This process is now known as Classical or Pavlovian conditioning. Pavlov was doing some rather gory experiments on a dog with a glass plate sewn over a large hole cut right through its ribcage to its stomach so he could see the digestive process first hand. He gave the dog a meat extract so he could see what goes on in the animal’s stomach during salivation and digestion. During the course of the experiments however, he soon noticed that the dog began to salivate earlier on in each session – the dog was beginning to ‘anticipate’ the food. Now most of us would be happy to explain the dog’s anticipation as simply that, but Pavlov was determined to delve deeper. He wanted to know what ‘anticipation’ actually was – to uncover the mechanistic principle behind anticipation. In humans and perhaps in some animals as well it can involve some kind of mental visualisation of the anticipated event, but is this always the case? And does it need to be so? Pavlov found that there were some strict rules that govern the way an animal learns to associate a previously neutral stimulus with a particular response. He found that the timing of when the light signal appears in relation to the already known stimulus is critical.
TIMING OF ASSOCIATIONS
Pavlov showed that new cues must be given just before or during an inborn or previously learned signal or aid. For example, if the rider wishes to train the voice aid “whoa”, the word should occur just before and overlapping the application of the rein signal for ‘stop’. The further the word occurs after the rein aid, the less the horse learns the voice aid. The rider must also remember that as the horse does not actually understand what “whoa” means, but rather learns it as a cue, it must always be delivered with the same tone and pitch. Shouting “whoa” won’t make the horse stop more quickly, it is only the learned version of the voice aid that is meaningful to the horse. In dressage voice aids are not used in competition. Instead, as the horse learns to respond from lighter rein and/or leg aids, the horse becomes increasingly aware of the associations of seat and weight that naturally occur with rein and/or leg aids if the rider’s position is correct. These responses are learned through classical conditioning as the seat and weight aids occur just before and during the rein and /or leg aids. Similarly during training the horse to lunge, the horse learns to respond to voice aids. However the fact that the trainer needs to keep the lunge whip in his hand is testimony to the fact that classical conditioning is but a thin veneer in training. Voice, seat, weight and position associations are easily forgotten and need reminding with the primary aids of rein and/or leg and in the case of lunging, the whip.
Pavlov’s work suggested that Classical conditioning doesn’t need any kind of visualisation or comprehension in the animal of an anticipated event in order to work – it simply needs the correct order of presentation. That’s why Classical conditioning can be seen in worms and houseflies as well as horses and humans. If the sound of running water makes you want to go to the toilet, that’s classical conditioning. As you respond to traffic lights and other road signals yet you aren’t consciously aware of what you are doing, you just do it – that’s Classical conditioning. The life of all animals is full of associations that have formed and will form between various signals and events. Acquiring signals that predict events makes life predictable and controllable for animals. It evolved to improve the efficiency of the animal’s interaction with its environment. Any environmental event that coincides with a known signal will quickly become incorporated as a new cue. So, the sound of rustling bushes which precedes the appearance of a predator (and triggers the flight response in the horse) quickly becomes a cue for running away.
PREDICTABILITY
Horse training relates to this notion of predictability in a very definite way. The reason we want to place all of the horse’s trained responses under the control of light aids isn’t just for our convenience and laziness – it is for the horse’s mental well being. The horse needs unobtrusive, pain free signals for all its movements in hand and under saddle. Good coaches and trainers have long known the importance of lightness of the aids as well as the fact that if the horse needs stronger pressure to motivate him to do something, then these pressures must always be preceded by light aids. But it was the writings of a man called Piet Wiepkema, a Dutch cognitive scientist, which first brought me to understand the relationship between an animal’s well-being and the nature and consistency of the signals that it encounters in its life. Take a moment to contemplate this – any animal’s existence involves giving and receiving signals and/or ‘pressures’ from its environment. The signals/’pressures’ it issues to its environment in order to procure benefits for itself are either inborn ones or learned ones, and the ones it receives from its environment are either from the physical or the behavioural world (including signals from its rider or handler). Animals have evolved the ability to offer and learn to respond to mild unobtrusive signals so that they don’t have to endure a life of painful or unpredictable events such as the sudden attack by another horse during a squabble over resources such as food or mates as well as to predict predatory attacks. For example, horses soon learn that before another horse attacks, it lays its ears back.
CONSISTENCY
Animals are thus able to learn signals that surround all events that not only predict nasty things but also nice ones too, such as the arrival of the person carrying a bucket – it means food. Wiepkema showed that how often a particular signal consistently predicts a particular response is directly proportional to the amount stress in an animal. If the signal always leads to the same response, the animal is relaxed in its response to the signal. Think of your own life. What makes you calm (or not) as an adult is that you have (or have not) found ways, generally using language, to control your response to others and to control the behaviour of others. All organisms need to be able to make their behavioural world predictable. The less predictable and controllable their world is, the more stress and tension they show.
In horse training, predictability comes through the horse learning to respond in the same way from a light aid for each response (stop, go, turn and leg-yield). Responding in the same way means responding:
• immediately to the light aid,
• in a self-maintained rhythm and tempo,
• with self-maintained straightness,
• with self-maintained contact and outline,
• with impulsion,
• with all of the above properties everywhere and every time.
So when you look at the above qualities of the rein and leg aids, you will appreciate that each response requires the development of many properties. These properties need to be trained one by one as you will see in a later article.
This is why correct horse training has always focussed on producing a consistent set of responses each time an aid is given rather than a random assortment of various incorrect responses. The German training scale is the best known of mankind’s attempts to train consistency of outcome in horse training. What is not well known in any equitation discipline is that problem horses are a result of defects in consistency of outcome from the aids. Instead, horsepeople describe a horse’s training in terms of its ‘will to please’ rather than its reaction to the aids. Horses are frequently described as ‘naughty’, ‘dirty’, ‘dumb’ or ‘hot’ rather than using terms that describe what the horse’s legs do or do not do in response to the aids.
SIGNAL PRIORITY
It is important in horse training to recognise that there is a priority in training signals. At the very earliest stages in horse training, the horse learns to respond from pressures, such as lead rein pressure for leading, and under saddle pressure from both legs means go forward while pressure from the reins means slow. However, good trainers ensure that at the very beginning of each rein or leg pressure, that there is a light version of that particular pressure. This has been known for centuries and is described at length in classical training literature. This light aid therefore is the very first cue that the horse learns in-hand and under-saddle for go, stop, turn and leg-yield. The horse learns through Pavlov’s principle, (Classical conditioning) to respond from those light versions of the pressures.
Furthermore, during this training the horse also learns, again through Pavlov’s principle to respond from associated seat, weight and position cues because they occur just before and during the light rein and leg aids. Horses learn these aids readily and unfortunately sometimes well before the horse has thoroughly learned about the pressures that actually enforce responses. Therefore, learning to respond from pressures and light aids should always precede any reliance on seat and position cues. Too many people rely on seat and position aids and forget to either establish or maintain the underlying foundations of rein and leg signals. When the response to the seat and position aids begin to fail or even take too long to work and the horse no longer responds as he should, he soon forgets these aids entirely, as Pavlov predicted. Pavlov found that a conditioned response will be repressed if the stimulus proves “wrong” too often. If the seat does not produce a reliable response, the horse will stop responding to it. The same is true for the leg and rein aids – if they don’t work, the stronger motivating pressure should follow. It’s as if the horse is saying: “Please don’t use a force 6 pressure, I’ll do it from the light aid.’’ Using the right amount of pressure is a vital skill in horse training – not too much and not too little. Problems also occur if the rider maintains the mild pressure of the light aid when the horse has already responded. The horse desensitises to the light aid.
LOSSES OF PREDICTABILITY
However the problem with the horse that has become desensitised to the aids for whatever reason is not just that he loses his response to light signals. There is a big price that is often paid for this and it is called conflict behaviour. Conflict behaviour incudes flight response behaviours (i.e. fast ones) such as shying, bolting, bucking, rearing and leaping. It also accompanies associated health and welfare issues that include worsening colic attacks, immune suppression, hormonal changes and poor and ‘stringy’ body condition. Conflict behaviour arises from the stress that occurs due to losses, from the horse’s viewpoint, of predictability and controllability of its behavioural world. The horse is trying to run away from the stressful situation.
Conflict behaviour may also arise when the trainer does not regularly target a consistent set of responses from an aid. When all of the properties of each response (rhythm, straightness etc) are automatic from each light aid, the horse becomes relaxed in its body because the aid predicts a precise response. The horse’s world is now predictable. The horse’s general life is calmer too – things like separation anxiety disappear as well as other nervous tendencies. This is because, unlike before when responses were more random and less precise, the horse is now able to ‘read’ humans. More than anything else it is responsible for establishing what are known as rapport and trust between horses and humans. The horse is no longer insecure and whinnying for its mates shouting: “Help, I can’t read humans, I can only read horses, is there anybody out there?” Think about this. Does a small squeeze of the legs result in the right response but a bigger kick result in the opposite response, i.e. slowing or showing ‘piggy’ behaviour?
Obedient, well trained horses are like obedient, well trained dogs – they just don’t call out or become controlled by their environment. They are ‘on the aids’. Of course young horses going out for the first few times can be expected to be more nervous, but after five or so outings they should become unfazed by new surroundings if they are on the aids and their responses are consistent.

POSITIVE REINFORCEMENT
There are many associations that we train into the horse’s repertoire of signals. One of the most important is the acquisition of verbal praise such as ‘Good Boy’ for reward. Few people consider how the horse acquires this as a positive reinforcer, and consequently few horses adequately respond to it. We assume the horse knows what we mean, as if the horse has some kind of pre-programmed English vocab in its head. Because verbal commands have to be learned, they are called secondary reinforcers. To be effectively learned they have to be associated with a primary reinforcer, such as food or scratching/caressing the horse at the base of the withers (a proven site where French researchers showed lowered heart rate more than any other site). Because the base of the withers is so close to the hands of the rider, scratching/caressing is the most useful primary reinforcer. To train the horse to respond to ‘Good Boy’, the words should occur just before and during the scratching. The words and tone should be the same each time. Soon the words come to evoke the relaxation that results from scratching at the base of the withers. The words should be re-associated with the wither scratching from time to time.
PRECISE TIMING
The light aid should be attached to the stronger aid that comes after it. It should not be isolated by a gap in time before the stronger aid. In horse training, the time gap between the light aid and the stronger pressure should be the same as the time gap in between footfalls in the rhythm of the gait – all responses should have occurred by the count of 3. In other words the stronger pressure comes very swiftly after the light aid. Training horses effectively therefore requires skill and speed in decision making and action. In a fraction of a second you have to decide if the horse responded adequately to the light aid, and if not back it up with stronger pressure which is subsequently released the instant the horse gives the correct response. This way the horse optimally learns the light aid, and it rapidly evokes the correct response without any increase in pressure of the aid. This is the aim of all horse training – to transform the pressure-release training rapidly to lighter versions of the pressure, and then later to transform those aids into seat, weight and position aids. Through careful repetitive training, the horse eventually ‘rote learns’ his responses to the light aids so that he can avoid stronger pressures altogether.

SHAPING PRINCIPLE
Article published in the horse magazine, November 2004 – Author: Andrew Mc Lean.
Responses should be progressively improved toward the final outcome.
Shaping is a term used in behavioural psychology and understood by animal trainers of many different species. It is about targeting and rewarding responses, then step by step adding more refinement towards the ultimate desired response. A performing dolphin, for example, is progressively trained to not only leap out of the water, but also to add a couple of somersaults and in tandem with other dolphins doing the same thing. This is impossible without shaping. In my interpretation of shaping as it applies to horse training you should first achieve control of the horse’s legs in terms of obedience (immediate and from a light aid) then train rhythm and then straightness and finally the outline or head carriage. In the end the important thing is the consistency of the responses that arise from the aids. It doesn’t matter whether you train Western, Australian Stock horse or dressage – a well trained horse has consistent outcomes from the aids. This occurs through breaking down all aspects of training to single trainable units then building on them. Each one has to be consolidated on its own. That means repeat and repeat until the horse offers the same response to the aid each time. Then you move up the ladder and train the next quality, consolidate that one and so on and so forth. Eventually you end up with the final outcome.
In a trained horse, it isn’t enough that when you squeeze your legs that the horse goes forward any way he chooses. You have to gradually mould his behaviour by training one aspect of a response at a time. In the earliest stage of training, a horse might go forward with various delays and from only heavy aids. He might be heavy in the hands and running; he might be crooked, with his head high and back hollow, and with a kick out or two and some tail swishing. So the task is to prioritise all the qualities of each response we want and then add them on top of each other, one by one. Step by step training is essential so that the horse himself can learn to repeat the correct responses through many repetitions. When horses give wrong responses, you cannot expect them to know what is right. Only you know that. Training too many things at once places the horse in a dilemma as to what response to offer at a given moment. Sticking to one isolated aspect of a response allows the horse to quickly get the hang of the right answer. It is also essential that we train things in a particular order. Any old order just won’t do. The order we train things is so that one aspect acts as a building block for the establishment of the next.
Gustav Steinbrecht (1808-1885), one of the great luminaries in the German equestrian tradition was adamant about the importance of shaping: He declared that training exercises should not be hurried and should “…all follow one another in such a way that the preceding exercise always constitutes a secure basis for the next one. Violations of this rule will always exert payment later on; not only by a triple loss of time but very frequently by resistances, which for a long time if not forever interfere with the relationship between horse and rider”. Perhaps you should read this a second time. Steinbrecht did not write this as a throw away line. He was absolutely emphatic about this critical aspect of shaping and every behavioural scientist in the world would support his warning. Yet not enough trainers build on training in any logical way. These days, the first thing most of us want to do is to pull the horse’s head in and make it round. This makes no sense when the legs of the horse are not yet under control. Furthermore, forcing lowering of the neck and roundness of the outline is like painting a smile on the face of a miserably depressed person. A horse’s outline should reflect his contentment. When a horse is in true self-carriage in terms of rhythm, straightness contact and impulsion, it tends to become round all by itself. I can still hear Michel Henriquet’s words “The neck and head of the horse are consequences of his legs – it cannot be otherwise”.
In the twentieth century, a fellow by the name of Haungk developed the German training scale. It evolved from the teachings of the Italian master, Caprilli, the French master de la Guérinière, the traditions of the school of Hanover and the teachings of the German masters von Weyrother, Seegar, Seidler and Steinbrecht. The German training scale is a progressive training scale that involves the following steps:
1. Rhythm
2. Looseness, 
3. Contact and acceptance of the bit, 
4. Impulsion, 
5. Straightness and 
6. Collection.
The German training scale is a step forward of major significance in the practical and theoretical development of horse training. After it was finalised in the early twentieth century, the Germans experienced unparalleled Olympic success in dressage and jumping, and a major part of this success must be a result of their systematic approach to training.
Well before the German training scale was published, the Frenchman, Francois Baucher developed his own training scale, which was integral to his “second method”. Unfortunately he had already been to Germany, on invitation, where his first method (a bit of a fizzer compared to his second) was soundly rejected. Louis Seegar and other noted German trainers were not impressed with the great master Baucher. The Germans criticised Baucher’s constant use of the aids, especially the spurs, which they attributed to his loose rein connection. What’s more his horses were too much on the forehand. One of the great steps forward of the evolving German training system was the raising of the horse’s poll which made the movement ‘springy’ especially when combined and developed through half-halts and transitions. Baucher also insisted that all half-halts should involve the rider’s leg before the rein, however Seegar, (Steinbrecht’s instructor) disagreed. When the horse is already forward and the rein aids are trained so as to cause the horse to ‘sit’ then the hand can be used to initiate a half-halt before the leg. However there was another ingredient in the Germans rejection of Baucher. In those days, horse training was largely a practice of the military and the wealthy. Baucher was neither, he came from a working class background and worse still, the circus.
Baucher meanwhile had a very nasty accident while riding in the manège. A giant chandelier fell on him injuring him so severely that he could never ride again in public. He took years to recover. However his injury had a legacy. It gave him time to reflect and experiment with pupils, and sometime later he came up with his second method. This one was far more worthy of a great master, and dealt with the earliest stages of training. However, Baucher never published his second method, and possibly the only written material that provides an accurate description of that method was the description published in 1891 by one of Baucher’s pupils, Francois Faverot de Kerbrech. De Kerbrech described Baucher as a ‘master scientist’ owing to the attention Baucher paid to observation and experimentation. Baucher probably learned some important lessons from his interactions with other great trainers such as Seegar, and certainly his second method bore little resemblance to his first. Baucher adhered to the maxim ‘hands without legs, legs without hands’ and thus avoided the confounding affect of the combination that destroys so many horses today. In addition Baucher seemed to understand the processes of negative reinforcement and the subsequent importance of the release of pressure. He insisted on the importance of in-hand training with the same qualities as under saddle, again something that is rarely seen in today’s dressage trainer’s tool-box. De Kerbrech’s writings suggest that Baucher’s second method incorporated ‘shaping’ responses progressively though adhering to a set of requirements that are arranged in the order of a training scale. These are as follows:
1. To train and adhere to lightness
2. To obtain obedience to the legs
3. To obtain straightness
4. To get the horse used to working without help from the aids
5. To collect and engage the horse.
In the system we have developed that largely arose from experience in retraining, we follow the following shaping programme in foundation training, training and re training:
1. Basic Attempt – the horse is rewarded for any good try that resembles the right response. This applies to horses that do not know or do not offer even a crudely correct response from the aid.
2. Obedience – the horse is made more ‘sharp’ i.e. the response is initiated immediately and completed in three beats of the rhythm of the gait. This results in the transformation of signals from pressure to light aids. Losses of obedience occur at all levels and are associated with most riding behaviour problems.
3. Rhythm – the horse moves in and out of transitions with evenly spaced footfalls in the three beats. Rhythm is self-maintained (i.e. cruise control) and the horse is able to lengthen and shorten the stride in all gaits.
4. Straightness – is essentially a deeper aspect of rhythm. A crooked horse is one where the horse’s legs have unequal drive – i.e. they are not in equal rhythm and drive. A crooked horse therefore tends to drift one way or the other depending on whether it is falling out or falling in, unless it is held on line by the rider. The horse should learn to hold his own straightness.
5. Contact – while the horse is already on a contact all the way through training, he is now in a position where it can be further refined as his legs are now fully under control. This is where final aspects of the outline are developed, depending on the training stage of the horse. In the earlier stages the horse learns to lengthen his neck as his stride lengthens (longitudinal flexion); he then learns to turn with lateral flexion and later learns vertical flexion through the action of ‘inside leg to outside rein’.
6. Engagement – through upward and downward transitions and half transitions the horse learns to lower the hindquarters (sit). If these are maintained in three beats of the rhythm then the horse develops impulsion and power and over time stronger musculature.
7. Proof – This means that responses with all of the above qualities occur anywhere, any time the horse is given the aid. Of course proof is happening all the time in that each training day conditions change. However it is important to note that challenging environments should only be tackled after consolidating good work at home. How the horse copes with the different environments is a direct reflection of the quality and consolidation of the work at home.
In-hand work
Shaping of course doesn’t only apply to work under saddle – it is essential for in-hand training also. From my experience, a horse that is good under saddle but not so good in-hand is a time bomb. Naturally confusions and contradictions in one area of training will eventually infect the other. Ideally, in-hand work should also follow the same training scale as under saddle. A properly trained horse should lead without strong pressure on the lead rein but from a light aid, without rushing or stalling, without crowding the handler (i.e. straight) and with a correct carriage i.e. poll just above the withers. It should also step backwards with the same qualities. It should remain immobile when halted. Some trainers drive horses in long reins to improve various aspects of training. Vince Corvi is one such Australian trainer whose driving skills are highly developed and effective. Driving horses correctly is a real skill and unfortunately most people that do it allow incorrect behaviour and tension to be incorporated into their work.
In-hand training was seen as essential by the nineteenth century German master, E.F. Seidler. Seidler specialised in the rehabilitation and training of the rather wild Polish horses that were used by the German cavalry at Schwedt and later in Hanover. He used in-hand work to correct “spoilt malicious horses who endanger the rider by rearing, bucking, dangerous leaps and other obnoxious tactics……for experience teaches that he who has thoroughly mastered the work in-hand leads a horse within a few months to a higher level of activity than he could by riding even in a longer time period.”
Let the horse make mistakes
Because horse training involves use of the bridle and driving aids, it is tempting to prevent the horse from making mistakes during training. However the making of mistakes is how an animal learns, through reinforcement, what is the right answer and what is not. As I mentioned earlier, training is not and should not be about holding the horse in some kind of wrestling match between the hand and leg, but training him to go on his own. In-hand many horses do not stand still when requested. People then often resort to all sorts of gadgets. Yet all you need to do is to loosen the lead, let him make the mistake of moving and correct him – put him immediately back to where he was, then loosen the lead again. The reason for this is partly that people do not let the horse make mistakes and learn what he should and should not do. Instead they permanently hold the lead rein firmly.
Training is about rewarding ‘every good try’. When training lengthening at walk or trot, people are often afraid to let the horse quicken his tempo, because lengthening is about maintaining the rhythm yet increasing the stride length. The longer strides increase the horse’s body speed without increasing leg speed. Many horses will offer quickening of the legs instead of or as well as lengthening of the stride. At least quickening is half right in that the horse has increased his body speed. If the horse is allowed to quicken yet still sent more forward, he will soon express a longer stride. Then the aids must cease until he loses that longer stride and reapplied to achieve it again. Length will always evolve from speed because fast legs are inefficient in all quadrupeds. It is far easier for an animal to achieve a faster body speed through longer strides than faster ones. Obedient transitions in and out of longer and shorter strides create rhythm.
Why consistency or uniformity?
When training is complete, you want the horse to perform the movement the same way each time you press the button i.e. you want all the elements of the correct response obedience, rhythm, straightness and a consistent outline and with impulsion. All of these things cover complete control of the horse’s entire body. In other words there isn’t a body part left that can do its own thing. Consistency you see, is not only what we as riders desire, it’s good for the horse’s state of mind too. Professor Piet Wiepkema of the Netherlands described consistent outcomes from stimuli as critical to an animal’s mental well being. All animals including humans have evolved to decrease stress when responses to stimuli are consistent, and to increase stress when they are not. Real trust comes about when one animal can ‘read’ another – when a response to a stimulus is predictable. This gives animals (and humans) control and certainty about their environment and resources. In evolutionary terms, it’s a way of weeding out maladapted individuals that develop chronic stress. There’s nothing worse than unpredictability in others to raise your stress levels. Not surprisingly, the more consistent an aid results in a uniform response, the greater the calmness in horses. On the other hand, losses of consistency and uniformity in animals (and people!) result in one or more of the following three states: Aggression, tension or dullness. Aggressive and tense behaviours include increased aggression towards humans and other horses, shying, bucking, rearing and bolting. Chronic conflict states also deeply affect the horse’s physiology and immune status and can result in ulcers, colic, ‘catabolic’ condition (stringy looking poor-doers) and even self mutilation (biting themselves). Good training is good for the horse; bad training can be a death sentence.

SELF CARRIAGE PRINCIPLE
Article published in the horse magazine, January 2005- Author: Andrew Mc Lean.
The horse must travel in-hand and under saddle free of any constant rein or leg pressure, otherwise he will switch off to them at first, the concept of self-carriage seems simple enough. It means that the horse self-maintains his own rhythm, tempo, stride length, straightness, outline and rein and leg contact and engagement. It therefore implies that he mustn’t occasionally or constantly quicken, slow, drift raise or lower his head, lengthen or shorten his neck, lean or drop the bit, squirm away from the rider’s leg contact or fall onto the forehand. For the horse to truly carry himself, it is not just about his outline as most riders imagine. And neither is it about the rider constantly maintaining the horse in all the qualities required – it’s about the horse being trained to maintain them himself. Self-maintenance of the horse’s own responses to the aids is a centuries old requirement of equitation that is central to classical and academic riding. Above all, it is also central to the horse’s mental well-being. In today’s dressage it tends to be more of a dream than a reality, because there is little agreement about lightness and the extent to which the horse should carry himself. Yet self-carriage is fundamental to successful performance in most equestrian disciplines. Even in horse racing, particularly over distance, it is always better if the horse self-maintains his own speed and line, rather then being constantly wrestled to stay in cruise control or being constantly hauled on one rein with a lugging bit.
Contact
Where dressage differs from practically all other equestrian disciplines is in the constant contact of hands and legs to the horse’s mouth and body. This contact is necessary to maintain direct connection for subtle changes in mobility and has a relaxing effect if trained correctly because rein and leg are not suddenly applied in a surprise attack. Instead the flow of signals allows for movements within the natural quadrupedal rhythm of the animal, and always begins with a light increase in pressure (the light aid). 
How much is too much?
How much contact is too much? To explore this we need to see it from the horse’s point of view. Mouths are very sensitive organs, and even more so for a discriminative grazer such as the horse. Because the rein and leg aids are learned in an entirely different way from the seat and weight aids (the former by negative reinforcement and the latter by classical conditioning) for very important reasons it is critical that the process of negative reinforcement or pressure release is learned correctly in the first place. It is not a problem that brief moments of stronger pressure are used in the early stages of training the rein and leg responses, but it is critical that these are released instantly the horse gives the correct response. These processes of pressure release with rein and leg responses are central to training self-carriage. For example if the horse quickens it is slowed and the rein pressure is reduced to the level of contact when the horse is at the correct speed. The same process trains straightness and outline. However if mistakes are made during training and the horse is left maintaining a stronger contact, or if the reins and legs are maintained together in too strong a contact, both stop and go deteriorate and the horse is left in a state of constant pain, from bit and leg (spur). Conflict behaviour
Constant pain in animals, as opposed to mild discomfort, is never tolerated without a price being paid somewhere in the horse’s behaviour, mental wellbeing and even in his physiology. The horse begins to express what are known as conflict behaviours. In short-term conflicts the horse may become tense and/or show defensive behaviours such as rearing and bucking. It may begin to shy or show other behaviour that riders mistakenly perceive as naughty. However when the pain is long-term, serious assaults on the horse’s health occur. The animal’s digestive system may be challenged and ulcers and colic are more common in performance horses than trail horses. What is rarely understood is that the price of constant pain can be expressed in behaviour totally out of its original context. The horse may begin walking its fence line (trying to flee the stressful situation) or showing increasing separation anxiety (insecurity). It might even self-mutilate by biting its sides or shoulders or it may bite objects. All of these can occur because the horse is ‘worried’ by its training at a deeper level than the conscious.
Putting up with pain
In animals there is always a ‘grey area’ where mild discomfort merges into increasing pain. In the early stages of training, contact is mildly uncomfortable but soon the horse habituates to the feel of the bit in the mouth and the rider’s legs on its sides. There are no negative welfare consequences associated with accepting contact at the correct level of pressure. The same is true for girth pressure – the horse soon gets over it. Pain is a different matter altogether and cannot be habituated to without continued stress. This state is known as ‘learned helplessness’ and studies show that affected animals withdraw into themselves. They give up trying to offer new responses in training. Horses with constant mouth pressure from severe bits, and those tolerating constant spurring are in clear states of learned helplessness. In training, therefore, it is therefore a matter of vital importance that horses are not expected to become used to pain. Contact of rein and leg (including spur) should therefore be defined as lower than an animal’s pain threshold.
True enough, that what one animal may perceive as pain, another might perceive as mild discomfort – there are differences between individual animals according to their sensitivity. However the difference is probably not as far ranging as most people would imagine. Any horse that is enduring constant pain will most likely be expressing some dysfunction in its behaviour pattern that will involve raised anxiety levels. For this reason judges must be trained to be acutely aware of signs of stress and anxiety including tail swishing and teeth grinding. There ought to be precise objective deductions for losses of relaxation. We need to be aware that as the sport of dressage evolves, (and nowadays movement receives higher rewards than training) that we do not become increasingly blind to and tolerant of tension in the horse. In fact the FEI codes of conduct explicitly state that the horse’s welfare is paramount. Loose swinging tails, soft mobile and attentive ears and physical looseness are clear signs of relaxation.
How much weight?
So when does contact become painful? There is little hard data on the amount of rein pressure the horse endures during riding and even less on the amount of leg or spur pressure. Strain gauges are being developed in various universities throughout the world by equine scientists to investigate this question. Commonsense however would dictate that the ideal amount of rein contact is when the bit has contact with the lips and tongue of the horse and perhaps a light communication with the skin that covers the jaw (but surely the jaw itself). This results in the weight of the feel of the reins ranging up to about 200 grams of weight including the weight of the reins. Anymore than this constitutes the onset of an aid and the horse loses some amount of his response to that rein and/or leg aid. The question of how much weight constitutes correct rein contact must be decided in dressage. The French (and Baroque) view of lightness is derived from the academic principles of 18th century riding and researchers, Professor Frank Ödberg and Dr Marie- France Bouissou commenting on the high wastage rates of performance horses called for a return to these principles because of the disappearance of lightness. There are simply no grounds for opposition to this view that have substantial merit.
Short necks
Another problematic aspect of contact concerns the tendency of many horses to shorten their necks because they find the pain of the bit so aversive, yet they remain light. The riders are duped into thinking that there is no contact problem because the horse is light. Shortened necks are a particularly enduring problem in dressage that judges and trainers alike are concerned about. When necks are shortened to avoid bit pain, the neck also suffers some neck pain – the neck kinks or ‘breaks’ the C3 joint. The break can be so sharp that the neck loses its gentle curve and instead has a peak. The mane of the horse may, as the horse shortens its neck suddenly twang to one side. Bony changes occur at the C3 junction itself and frequently the pain is chronic.
The correct amount neck length can be easily determined even at the advanced stages of collection: the distance from the bit to the rider’s hand should never be shorter than the distance from the horse’s ear to the rider’s hand. The correct amount of contact is also important in maintaining the clarity of the aids and responses. This clarity is also essential in the horse’s mental well-being. If you think of contact as being a neutral stimulus, then anything beyond it is an aid. If contact is too much on and off or too invasive into the area where the amount of pressure would normally be an aid, then the horse begins to develop conflict behaviours. So when rein and leg pressures are inconsistent or applied together, the horse not only becomes confused but the stop and go signals are dulled. This is why, to keep it clear for the horse, the rein and leg signals should not be used for responses that do not include their original purpose – i.e. decelerating and accelerating.
There are no naughty horses, just confused ones
Through my articles in this magazine over the years I have been trying to convey that there are no naughty, bad, mean or dirty horses. None. There are only horses in various stages of confusion. Naturally, genetics determines that some horses will be more trainable than others, but the end result is entirely in your hands. We have a huge responsibility in using animals in sport for our personal gratification, and at the very least we owe it to them to apply the ‘innocent till proven guilty’ law to their behaviour. We should accept that maybe we have trained the wrong response sometimes. We all do our best, but loading the horse with responsibility for his own behaviour sends us down the wrong track in fixing problems. The ‘respect’ argument has also been taken much too far. The horse that walks all over you isn’t being dominant (I used to think otherwise) or lacking respect. He is simply demonstrating that hasn’t been trained to lead straight, and nor does he stand still. Thinking in terms of ‘respect’ is not only scientifically incorrect, (of the 20 or so equine ethologists I know around the world, not one supports it) it also encourages corrective, punitive measures that are out of the context of the original expression of the problem.
It is a positive step that Australia has now adopted in some dressage tests the proof of self-carriage through the rider releasing the reins for a couple of strides. In fact at any level and during any movement the reins and legs should be able to be released for a couple of strides or steps to demonstrate self-carriage. Self-carriage is like peace: you can’t have a bit of it – either you have it or you don’t. Facing up to the true meaning of self-carriage is the biggest hurdle judges, trainers and riders have before them. The stakes are high: improved mental and physical health of the horse, far less behaviour problems and improved safety for riders.

MENTALITY PRINCIPLE
Article published in the horse magazine, March 2005 – Author: Andrew Mc Lean.
Appreciating the similarities and differences in mental ability between horses and humans is crucial to effective and humane training. We humans are a collectively insecure lot. We are determined, it seems, to prove that we are not alone when it comes to being smart. We search for intelligence in outer space and here on earth we’re desperate to show that many other animals, perhaps all, are just like us, but going about their lives a bit differently.
So important was the horse to Western civilisation in the last two millennia that all European cities are adorned with statues of the horse. The horse fought our wars, it toiled for us; it helped build much of the New World. Nowadays it fulfils our dreams, and still fires our imaginations and inspires wonder in those who occasionally pause to reflect. Horses are not just pleasure vehicles – much is expected of them. A horse may be our best friend, our only friend, our child, our partner or other bizarre roles. So powerful is the horse in the human psyche that Carl Jung, the famous Swiss psychologist believed that the image of a horse evokes our deepest primal drives. The horse has always been a paradox. How could such a big, powerful beast be typically so gentle, so forgiving? Were humans so powerful one might speculate that at this stage there would be no planet left to call home (At least there’s a bit left).
Similarities In some ways we’re not unlike horses. The similarities between horses and humans probably helped to bring us together in the first place. Like us, the horse is a highly social being. That’s why horses kept in isolation are more inclined to develop behaviours like windsucking and many other problems compared to group housed horses. Anyone who has witnessed separation anxiety also knows how much friends are important to horses. So strong is the instinct for togetherness that grooming and stroking horses in the area just in front of the withers has evolved to lower heart rates – it strengthens bonds. It’s the best place to positively reinforce a horse.
The horse also has an excellent memory although in some respects theirs is much better than ours. While our memory is affected by our recall and reasoning abilities, the memory of the horse is more stable, probably because it is unclouded by reflection. Equine scientists Anja Wolf and Martine Hausberger showed that horses can remember reactions without practise at least for many years, and this probably extends to a lifetime. Thinking, analysing and reflecting however, corrupts memory. We humans are always reflecting on our memories, dragging them up out of storage when we think or tell a story, then afterwards we re-store them again. Only this time they are stored a little differently than before. They may be altered by the contexts in which we reflect (physical, emotional, perceptual aspects of the moments of reflection). On the contrary, the horse only retrieves memories of events and places when it is confronted with the original or similar stimuli. This makes for a much clearer and more accurate memory. Every horse person is aware of the fact that the horse knows if there is something slightly different in its environment. You could say the horse has a photographic memory. Yet most of you wouldn’t be able to recall hardly anything of the design of say a ten dollar note, (to the joy of counterfeiters!) despite the fact that you see them constantly. To the detriment of training, the horse remembers far more than you do of what happened where. During schooling you may notice that the horse goes better on one quarter of the circle than elsewhere, and gradually, if what you are doing is right, the good area increases. On the downside, the horse remembers tension and fear better than anything else.
Horses are mammals and so their learning mechanisms are similar to those of humans. Like us they are swift at trial and error learning (learning the right reaction through reward), excellent at classical conditioning (i.e. learning associations, cues or aids) and masters at habituation (getting used to things). They can also learn to generalise to stimuli, (alterations in aids) and they can even learn categories of things (based on similar physical characteristics). However according to perhaps the most eminent researcher in this field, Professor Christine Nicol of Bristol University, experiments indicate that “there is no evidence that they can develop abstract concepts”. So while there are some mental similarities that horses share with humans, there are also some important differences. Understanding these differences is central to achieving a high level of success with all horses rather than just a few.
Differences During my PhD, I wanted to investigate ‘understanding’ in horses. I wanted to see if the horse had a facility similar to our prefrontal cortex (front of the brain) where it could imagine, ‘see with the mind’s eye’, where it could ponder on past events or think of the future. I decided that I would use the horse’s well-known ability to be cued to the delivery of food to either one of two feed goals in a test arena. One by one, each horse was held by a handler in the middle of the arena facing the feed goals. There was a feed goal to the right, and a feed goal to the left, and a person sitting beside each feed goal. The person sitting beside one of the feed goals would stand up and pour feed into the feed goal. The horse would see this and immediately released. Over 40 trials the horses soon learned that when they saw food being poured, that’s where the food would be, so they would go to the correct feed bin. But as soon as we separated the pouring of the feed and the release of the horse by ten seconds, the horse’s success rate plummeted to 50% – in other words it became random. They couldn’t remember where the food was actually being poured after ten seconds. While individual horses occasionally seemed as if they could manage the ten seconds, again their results would drop. Statistical analysis showed that horses collectively or individually could not recall the correct goal in a two choice situation where each goal was equally rewarded. Interesting things happened to when the horse’s discovered they had failed. A couple of ponies and warmbloods would lay their ears back and make a bee-line for the correct goal, while some thoroughbreds decided to give up altogether and leave. This paper was peer reviewed and published in the journal Applied Animal Behaviour Science. The experiment reminds us that correct timing in training is essential, that unlike us, there is no stream of consciousness that accompanies instinctive behaviours and that there are differences in short-term memory in horses compared to humans. It means that we must keep training as simple as possible to be sure it is digestible and to be sure our training methods are not so difficult that only a handful of horses succeed. Sometimes the complexity of our training suggests that we are always inclined to over-estimate mental abilities in horses.
Observational learning of novel behaviour (copying a novel act) has long been considered to be indicative of some abilities of reasoning. If you think about it, it’s not hard to guess why this is so. Observational learning requires an animal to see and remember the behaviour sequence, see themselves perform it in their mind and then perform it. Notice that I say ‘novel act’ – that’s important because there is a phenomenon in all animals where they are able to copy a behaviour that is already ‘wired’ into their brains. This contagious mimicking of instinctive behaviour is adaptive. So when one animal eats, others are compelled to do so, when one lies down others may do also. For social animals synchronising behaviour is sensible. Contagious behaviour is not learned but is more of an instinctive triggering device. Like when you see someone yawn you are inclined to yawn too. Horse people often believe that wind-sucking is copied. As Dr Paul McGreevy pointed out in THM (Feb), this is not accurate. Observational learning in horses has been thoroughly researched in horses and all published experimental investigations have yielded negative results. Unlike cooperative predators, horses are also slow to learn ‘rules’ that govern where food might be found if food is switched from one place to another. Unlike Chimps, gorillas and dolphins they cannot recognise themselves in a mirror – they only see another horse. They are also poor at seeing a detour to a goal if the opening requires going further away from the goal first. Once they’ve achieved it though, they are quick to remember the path. Horses are unable to do these things because these abilities were not required in the millions of years of the evolution of their behaviours on the open grasslands.
Eminent equine researchers agree on one thing and that is that the horse is not capable of reasoning. Any abilities in higher mental processing are, if present at all, poorly developed. On the other hand, reasoning abilities are to be found in predators, and are most highly developed in co-operative predators with diverse diets such as chimps and dolphins. Dogs also rate highly, according to some researchers, as might lions. Even birds that face challenges in food procurement (seed, fruit and carrion eating birds and also fruit bats) might also rate as having some development of higher mental abilities. Such animals have to remember the location and amount of remaining food to save energy on wasted foraging journeys. Of course, if you think about it why would horses need reasoning abilities? You need a great memory to be a grazer but no deductive powers. As Stephen Budiansky points out, grass unlike mice, doesn’t hide. Such powers require extra brain tissue which, as a researcher in 1980 by the name of Deacon showed is ten times more expensive energy wise (glucose and oxygen) than any other tissue in the body.
What people erroneously consider to be examples of reasoning in their horse generally turn out to be excellent examples of trial and error learning. The pony that fiddles with the gate latch and learns to open it is a typical example. It’s clever, but it isn’t reasoning. It’s the same process by which horses learn equitation. Horses learn to avoid pressure form the reins and legs by giving a correct response that was initially learned by trial and error. Then they learn associated cues such as seat and weight aids.
Why do these differences matter?
That the horse is not a reasoning creature matters a great deal. Overestimating an animal’s mental ability leads to all sorts of assumptions that have bad consequences for horses. That the horse doesn’t reason means he is an entirely innocent partner in the training process. The horse cannot be blamed for misdemeanours or poor performance – these are due largely riding or training (or health) problems. When a horse behaves in ways that don’t suit us it is wrong to say “He knows what he did wrong” or “He understands”. There is no understanding in the horse – he simply reacts to situations, events, aids etc. His behaviour at any one time is a snapshot into the sum total of all his training. If he behaves badly at an event compared to home it means one of two things – either he is not established in his work at home or else his work at home is flawed with at least some confusions. Tension is a good indicator. Does he grind his teeth because he is working hard, really ‘putting in’ or because he is a little confused – perhaps there are conflicting aids or too many aids on at once…. We owe it to our horses to consider all these matters.
Therefore……
It makes the world of difference to know that our best chance of getting through to horses in training is to keep everything as simple as possible. That’s what makes trainers like Kyra Kirkland so inspiring. Her training scheme embraces simplicity and progressively adds one thing to another. Over the past ten months I have described the 8 Principles of training that arise from a scientific enquiry into the mental abilities of horses. These are (unsurprisingly) compatible with the 18th century principles of academic riding, but not always compatible with what many people practise today. All of these 8 principles owe their existence to the concept of keeping everything simple, and this last principle, mentality, is central to them all. The Pressure-Release Principle was about the importance of ensuring the timing of release during trial and error learning. The Pavlovian Principle was about the importance of attaching an unobtrusive cue (a light aid) to each response for the sake of the horse’s mental well-being. The Exclusivity Principle concerned not allowing aids to clash (one at a time) and the Shaping Principle was about perfecting responses progressively, one at a time. The Proportional Principle involved training aids to be proportional to responses. The Self-carriage Principle deems that the horse should travel along without aids relentlessly on so that the horse self-maintains his rhythm, straightness and contact. The Fear Principle described the importance of not allowing fear reactions to incorporated into the horse’s repertoire.
If the horse ‘understood’ his training then maybe we wouldn’t need to be so simplistic, so consistent, so precise. On the other hand if he were so smart as to be able to comprehend training, then perhaps he would not be so rideable. Maybe it would be unethical to ride horses if they were capable of reflection, because then they would be suffering, given that they would rather eat grass and be with friends…. But the horse is unstressed by good habits whether they are under-saddle or wherever. However, bad habits, inconsistency and confusion have very negative welfare implications for horses.
It is a step in the right direction that the Global dressage forum in the Netherlands centred on the topic “The Happy Athlete”. However, apart from one apparently excellent presentation from a well qualified physiologist, there were no other research contributions. Not one behavioural scientist or ethologist was invited to speak, yet this topic is along the lines of what many of them spend their life researching. There is a good deal of ethological data on stress, welfare, husbandry, learning and the natural behaviour of the horse. Amazingly, The Netherlands has more than its fair share of superbly qualified equine ethologists and behavioural scientists such as Dr Kathalijne Visser, Dr Machteld van Dierendonck and nearby in Denmark, Professor Jan Ladewig. Holland also boasts respected specialists in animal stress such as Francien de Jonge and Jeroen van Rooijen as well as animal ethicists such as Bob Bermond, Susanne Lijmbach, Monica Meijsing, Wim van der Steen, Jan Borstenbosch and others. Dedicated judges who truly love horses and care for their welfare need to hear what these people have to say. The Global forum is a great idea but if it’s serious, it needs to probe deeper into the heart of the matter of “The Happy Athlete”.
Mankind’s responsibility to horses
Because the horse is an innocent partner in equitation, we have a special responsibility there. As time passes and the material needs of the developed world are fewer, more thought is devoted to welfare and ethical issues. Fox-hunting and steeple-chasing are now banned in many places because society increasingly deems these to be unethical practices. The cross-hairs have already swung toward the use of the horse in sport, and the only ethical defence of horses in sport emerges from studies on ethics, stress and welfare. That’s why “The Happy Athlete” is hot on the agenda. I’m confident that there is no problem with correct training, but there are issues that need addressing. Short necks, tension and conflict behaviours can no longer be brushed off as the horse’s fault or personality. Judges need to clear and certain about signs of tension. The signs of tension need reviewing and predetermined penalties ought to be issued for the various signs and levels of tension. Judges should recognise that they are ultimately custodians of the performance horse because the rewards they issue give direction to horse sports. They should have clear perceptions about how they might judge a flash moving but tense horse as opposed to a more average moving ‘happy’ one. Otherwise the sport of dressage becomes more of a meat market than a competition of training.
Our greatest responsibility is never forgetting that the horse’s welfare is paramount. Every horse trainer should always have an open mind about possible limitations and confusions in their training. Like all sports and performing arts, egos can get in the way, and ways of understanding can be severely hampered by closed mindsets. But when it comes to doing sports that involve animals, egos should count for nothing. It is a privilege to ride horses and remarkable that nature has evolved the possibility. Not for one moment should that be forgotten.

Traduzione italiana degli articoli del dott. Andrew McLean, dal sito www.aebc.com.au. Introduzione in corsivo di Franco Belmonte.
(Di alex Brollo dal sito originale: ringrazio l’autore per il permesso di riprodurre e di tradurre i suoi articoli e ringrazio particolarmente Rita Wing (Barcellona)  per avermeli segnalati).

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I would like to explain to the reader my opinion. Thanks to an introduction that I wrote for an exhibition of old pictures regarding the animals and the story of the WWI. I made a comparison, writing about the training of the animals at the time of the WWI.  Messner and his way to climb the mountain vs barefoot riding and driving. The same approach to the many even if different difficulties.

“The barefoot movement, when not totally iron free, is itself, limping. To be totally iron free provides evidence revealing the truth regarding the skills, knowledge, and sportsmanship of the owner.
Messner was free-climbing searching for his personal limits and for the continuous improvement of his performance. In the same way, genuine horsemen and horsewomen are able to find true satisfaction in the “naked” ability that comes from athletic fitness, adaptedness to the terrain, horse-human relationship and ability to manoeuvre. Naked means with no tools at all. Perhaps a manoeuvre may appear less refined to certain eyes, but merits a fundamentally valid appreciation.
For me and Reinhold, it is not so important to reach the summit or a very clean maneuver but the journey and the attempt, itself, and both the quality and manner of travel.

“The journey and the attempt and how we face it.”

Our journey begins thanks to an awareness that the term “domestic animal” is an excuse for us to keep animals in situations prioritising our conveniennce.
The box stall, the restriction of movement, the blankets, blinders, meals, rich food are in opposition with the nature of the roaming animal. Shoes and bits are the equivalent of the “artificial progression” that Messner refused.
Returning to the exhibition about animals and the WWI those accessories appear more anachronistic and reckless in times of peace”.

Dr. Franco Belmonte
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Il principio della pressione

Il principio della pressione è quello veramente fondamentale nell’addestramento dei cavalli sportivi.

Il principio dell’esclusività  

Questo basilare principio che prescrive la somministrazione di un segnale alla volta è noto agli addestratori professionali di animali ma solo raramente applicato dagli addestratori di cavalli…
Il principio della proporzionalità
L’aumento della pressione degli aiuti dovrebbe corrispondere ad un aumento del livello della risposta…

Il principio della paura

La paura si impara velocemente, non è facile da dimenticare ed è fortemente associata al movimento delle gambe del cavallo. È importante imparare a riconoscere lo spettro delle risposte alla paura nei cavalli e a evitarle o diminuirle.

Il principio di Pavlov

Il principio di Pavlov è il fondamento dell’addestramento del cavallo a rispondere ad aiuti leggeri, inclusi l’assetto, il peso e le variazioni di posizione…

Il principio del modellamento

“Modellamento” (shaping) è un termine usato in psicologia comportamentistica e compreso da molti addestratori di animali di diversa specie. Riguarda le risposte conseguenti alla focalizzazione (targeting) e alle ricompense…

Il principio del Self Carriage

All’inizio, il concetto del self carriage sembra abbastanza semplice. Significa che il cavallo mantiene autonomamente il suo ritmo, il suo tempo, la lunghezza dell’andatura, il profilo, il contatto di redini e di gamba, e l’ingaggio….

Il principio della mentalità

Capire le somiglianze e le differenze nelle abilità mentali dei cavalli e degli uomini è fondamentale per un addestramento efficace ed umano.

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IL PRINCIPIO DELLA PRESSIONE
Articolo pubblicato su The Horse Magazine, agosto 2004 – Autore: Andrew Mc Lean.
Il rilascio di una pressione fisica o di una scomodità rinforza (premia) qualsiasi comportamento che precede il momento della rimozione (azioni di gambe, redini, speroni, frustino, capezza).
Il principio della pressione è veramente quello fondamentale nell’addestramento dei cavalli sportivi. Il morso nella bocca del cavallo e le nostre gambe sui suoi fianchi esercitano varie pressioni sul suo corpo. Il nostro scopo è quello di trasformare queste pressioni in aiuti di invisibile leggerezza, ma anche nell’ambito di aiuti leggeri esiste un intervallo di variazioni nelle pressioni leggere. Il cavallo sportivo riceve continuamente delle variazioni leggere, o non tanto leggere, nelle pressioni che suppone si debbano trasformare in movimento. Quindi, addestrare il cavallo al modo giusto di rispondere alle pressioni è una parte essenziale dell’addestramento del cavallo.
Le corrette risposte alle pressioni sono apprese attraverso rinforzi negativi (la rimozione della pressione) e poi, quando le pressioni sono trasformate in aiuti più leggeri, sono mantenute con rinforzi positivi (premi).  Quando riflettete sulla pressione/rilascio pensate alla perla di saggezza di Tom Robert, quando poneva agli ascoltatori la seguente domanda: “Quando sedete su una puntina, perchè vi alzate?” La maggior parte delle persone rispondono “Perchè fa male” ma Tom li correggeva dicendo: “No, vi alzate perchè così smette di fare male”. Per molti questo fornisce un messaggio  potentemente chiaro su come le redini e le gambe producono una risposta nei cavalli. (quindi dovrei fare del male o promettere un male per addestrare?)

ADDESTRARE ALLA PRESSIONE IN MODO APPROFONDITO
Uno dei punti più importanti da sottolineare a questo punto è che dobbiamo addestrare attraverso la pressione/rilascio in modo approfondito, piuttosto che confidare troppo presto in fragili associazioni.  Un buon esempio è l’addestramento al cavallo ad essere guidato alla longhina. I cavalli sono capacissimi di imparare a evitare la pressione sulla capezza semplicemente imitando le vostre azioni. Basta muoversi quando vi muovete, e fermarsi quando vi fermate. Semplice. Ad eccezione di quando decidete di portarlo in qualche posto dove lui non vuole andare, come su un fosso o nella corrente. Allora si spalancano le porte dell’inferno. Un cavallo gentile si trasforma in un mostro e il mostro impara presto che si tratta di uno spartiacque facile da superare. Come fa l’adorabile dottor Jekyll a trasformarsi nel diabolico  Mr Hyde? Perchè il nostro dottor Jekyll equino ha imparato che la pressione sparisce quando si infuria. È esattamente in questo modo che vengono imparati tutti i cosiddetti vizi. Si impenna – e la pressione delle redini e delle gambe sparisce; smontona – e sparisce l’intero problema (il cavaliere); scarta – e il cavaliere perde l’equilibrio e il controllo. La verità è che qualsiasi sia il comportamento che precede immediatamente la rimozione della pressione, il cavallo impara che è proprio quello che ha rimosso la pressione. Più la risposta è immediata, più rapidamente il cavallo la impara.
Quindi dobbiamo mettere delle palizzate attorno al comportamento del cavallo, e questo avviene con l’uso delle redini e con gli aiuti delle gambe. L’uso delle gambe per controllare il cavallo è stato abbastanza ovvio per i nostri antenati che per primi tentavano di controllarli. Ma cosa dire dei morsi?
I cavalieri hanno concepito l’idea di mettere un morso nella bocca dei cavalli molto tempo fa. Sembra che i Numidi controllassero i cavalli con le sole gambe, ma non è stato un metodo di lunga durata. Nessuno, eccetto alcuni cavalieri New-age con la testa vuota e il segno del dollaro sulle pupille si è preoccupato di reinventare e di predicare questa apocalisse.

(McNeal, sei superbo  e bacchettone in questo caso. Magari ti da fastidio chi dimostra di saper andare a cavallo diversamente da te?)

L’ Institute for Ancient equestrian studies segnala che il progresso nel controllo della decelerazione è arrivata presto; è stata rilevata un’evidenza di abrasione da morso sui denti dei cavalli in Ucraina, dal 4000 AC; che parti laterali in corno di imboccature erano usate come punto di inserzione di corde, e che imboccature di cuoio o  di nervo sono state recuperate nei dintorni del Mar Nero. Si pensa che le imboccature metalliche siano state utilizzate per la prima volta  intorno al 1500 AC. Sembra che abbiamo capito molto rapidamente la dura verità che mettere un morso nella bocca di un cavallo rende il cavalcare meno simile a una lotteria, e più sicuro, di quanto sarebbe altrimenti.

PERCHÈ STABILIRE PER PRIMA COSA LA PRESSIONE/RILASCIO?
Ci sono molte ragioni per dare la priorità all’apprendimento dei comportamenti correlati alla pressione/rilascio. Forse la più importante è che uno corretto addestramento alla pressione/rilascio pone solidi confini al comportamento. Questo è essenziale per un animale montato che può galoppare alla velocità di 70 km/ora, che pesa 500 kg circa e che può calciare con una forza corrispondente a 1.8 volte il suo peso e tuttavia non comprende le conseguenze delle sue azioni, ma piuttosto impara attraverso un percorso piuttosto pericoloso di tentativi ed errori! Con una certa preoccupazione, occorre ricordare che la mortalità conseguente è di circa una persona per milione per anno nella popolazione occidentale. La conclusione è che dovete tenere questo animale sotto controllo. Con risposte alle redini correttamente apprese, avete una probabilità di fermare un cavallo che si imbizzarrisce maggiore che con qualsiasi altro mezzo. Attraverso risposte correttamente apprese alle gambe o alla corda, avete la più alta probabilità di fargli attraversare un fossato o di farlo entrare in un ruscello quando non si vuole muovere. Attraverso l’addestramento alle risposte pressione/rilascio ci si assicura che un piano B sia pronto nel momento in cui il piano A fallisce.
In secondo luogo, l’uso corretto della pressione/rilascio è efficiente. Induce rapidamente il comportamento desiderato come risposta. Per esempio, noi vogliamo che il cavallo faccia un passo laterale battendo la frusta sul suo posteriore. Aumentiamo la velocità della stimolazione finché si muove. Se si muove verso la frusta piuttosto che allontanandosene possiamo aumentare ulteriormente la velocità. Possiamo giocare a “acqua-fuoco-trovato!” con la pressione/rilascio, e ottenere rapidamente risultati, abbreviando quindi il numero di ripetizioni non corrette.
Un altro vantaggio della pressione/rilascio rispetto alle semplici associazioni è che l’addestramento operante (tentativo ed errore, rinforzo negativo e positivo) è più stabile delle richieste di tipo associativo non correlate alle risposte. Chiunque muova i cavalli alla corda si rende conto che i cavalli imparano  rapidamente ad avanzare e a rallentare con comandi vocali. Tuttavia dovete tenere a portata di mano la frusta lunga, perchè di quando in quando i comandi vocali falliscono. Meno una richiesta è analoga alla risposta pressione/rilascio, più facilmente viene dimenticata. Così, l’immagine visiva della frusta lunga sotto il vostro braccio è più efficace della voce, ma è anche meno efficace che l’uso della frusta stessa.
Infine quando l’addestramento alla pressione/rilascio è corretto, comincia a produrre una risposta affidabile in circa 5 ripetizioni. Si tratta di una velocità superiore a qualsiasi altra forma di addestramento. Gli addestratori più abili di giovani cavalli capiscono esattamente cosa sto dicendo. Quando un cavallo impara per la prima volta a fermarsi con la pressione delle redini, ci vogliono solo cinque ripetizioni e da allora la pressione richiesta raggiunge la leggerezza quasi perfetta. La parte difficile della cosa è di dare le pressioni giuste. Non ci sono istituzioni nazionali riconosciute che insegnino a usare correttamente la pressione/rilascio. È una di quelle cose che si ritiene sia un’arte, un dono, per cui la gran parte della gente si muove a tentoni, non sapendo come usare le pressioni correttamente, per cui evitano le situazioni in cui potrebbero averne bisogno, ed il cavallo impara rapidamente ad imporre le sue pressioni. Il cavallo addestra il cavaliere a non usare le redini, le gambe o la frusta. I cavalli “focosi” sono dei maestri nel convincere i cavalieri a non usare le gambe. I cavalli sono animali magnifici, e creano grandi addestratori.
NON TUTTI I CAVALLI SONO UGUALI
I cavalli variano tremendamente nelle loro risposte alla pressione. Ciò è correlato alla loro sensibilità, e precisamente a quanto sentono fastidiosa quella particolare pressione. Alcuni cavalli hanno bisogno di un aumento di pressione molto scarso, e tendono a dare la risposta corretta quasi al primo tentativo. Altri hanno bisogno di una pressione maggiore  prima di tentare una risposta, e altri rispondono ma offrono tutte le risposte sbagliate immaginabili, mentre esplorano mentalmente l’intero insieme delle possibilità per trovare quella giusta. I cavalli che impiegano un bel po’ di tempo per trovare la risposta giusta o per fornire una risposta qualsiasi sono spesso ritenuti stupidi. Tuttavia, quando usate il cibo come premio come ho fatto io nel corso di alcuni esperimenti sulle capacità mentali dei cavalli, quei cavalli che sembrano stupidi con le pressioni sono frequentemente degli Einstein quando si tratta di un addestramento che comporta dei premi in cibo. Questo dimostra che quello che stiamo spesso misurando quando usiamo le pressioni non è l’intelligenza ma la motivazione.
LA VELOCITÀ DI RILASCIO
I cavalli hanno enormi difficoltà a imparare qualcosa quando il premio dista troppi secondi dal comportamento. In effetti, l’apprendimento ottimale si realizza quando il rinforzo o il premio segue immediatamente il comportamento corretto. Dovete essere veloci. Questa è anche una delle ragioni per cui dare a un cavallo una buona legnata è un’idea  geniale come quella di pisciare controvento!  Vi è la concreta possibilità che questo improvviso e drammatico aumento di pressione che risulta dalla punizione possa causare un’esplosione di risposte errate, premiate dall’interruzione della punizione. A questo punto avete insegnato concretamente a fare la cosa sbagliata. Alcuni anni fa, i ricercatori  Haag, Rudman e Houpt hanno dimostrato che le punizioni diminuiscono la capacità dei cavalli  di offrire nuovi comportamenti per risolvere un problema. Analogamente Daniel Mills, forse il più eminente etologo equino vivente, puntualizza che la punizione nel corso dell’addestramento è problematica perchè insegna al cavallo cosa non fare, non cosa fare. Ha anche dimostrato che la punizione ha la potenzialità di desensibilizzare l’animale allo stimolo utilizzato per punire, se l’intensità della punizione non è corretta. Mills sottolinea inoltre i rischi di alterazioni emotive che possono interferire con l’attenzione e con l’apprendimento, e il fatto che la punizione può essere associata dall’animale con la persona che la somministra. Conclude che la punizione è un campo minato disseminato di problemi che confinano con il maltrattamento, e che è meglio evitarla.
PRESSIONE MOTIVANTE
L’uso accurato della pressione è cosa del tutto diversa. Immaginando la pressione in una scala da 0 a 10, riuscite a capire l’uso corretto del rinforzo negativo. Il livello 0 è un contatto nullo – ad esempio, una redine rilasciata o una gamba che non tocca il cavallo. Il livello 1 è il contatto. Il cavallo deve abituarsi a questo livello “neutro” di pressione. I livelli 2 e 3 sono gli aiuti leggeri, e alla fine questi saranno sufficienti a produrre tutte le risposte. I livelli da 4 a 10 costituiscono delle pressioni crescenti. Il modo in cui la pressione dovrebbe essere utilizzata per qualsiasi risposta, sia di redini che di gamba, dipende dal fatto che il comportamento richiesto sia nuovo o no. Se per il cavallo è nuovo, la pressione dovrebbe crescere con ragionevole rapidità dall’aiuto leggero alle pressioni più elevate per essere rilasciata nell’istante stesso che il cavallo fornisce il comportamento voluto. Quando avete stabilito che un determinato livello di pressione funziona, allora cominciate con un il livello dell’aiuto leggero, ma SALTATE la “pressione motivante”[motivating pressure]. Così, i livelli delle pressioni che usate potrebbero essere 1, 2, 6, 0, 1. Questo significa contatto/aiuto leggero/pressione motivante/rilascio/contatto.
TEMPISTICA
L’addestramento ottimale implica anche che le pressioni siano sincrone con le battute del passo  del cavallo,  e comprese all’interno della sequenza dell’andatura. In altre parole, il passo è composto da quattro battute, AS, PD, AD, e PS. Questo è il modo di dare gli aiuti cominciando e terminando con il contatto: 1, 2AS, 6PD, 0AD, e 1PS. Questa tempistica è preferibile al somministrare gli aiuti in modo che si sovrappongano a varie fasi del passo. È importante notare che questo è il modo con cui i cavalli imparano a rispondere agli aiuti leggeri, piuttosto di aver sempre bisogno di pressioni più forti. È la stretta vicinanza dell’aiuto leggero al rilascio della pressione che permette ai cavalli la massima sensibilità e prontezza nella risposta agli aiuti leggeri.
Una interessante ricerca di  Amanda Warren-Smith (University of Sydney) mostra che è ottimale ottenere la risposta entro tre battiti del ritmo. Questo non significa che il cavallo non possa imparare in nessun altro modo, significa solo che in questo modo possono imparare di più, e che questo metodo è più efficiente  e durevole. Insegnando a puledri non addestrati ad essere condotti alla longhina, Amanda ha dimostrato che completare le interazioni pressione/rilascio entro il momento in cui  si è mosso anche il secondo anteriore è il metodo ottimale per insegnare questo esercizio. Anche se non ancora provato sperimentalmente, ho notato che lo stesso principio si applica al trotto, al canter e al galoppo. Il punto è quello di tentare di usare il corretto livello di pressione e rilascio nel momento in cui entrambi i lati del cavallo si sono mossi. Io ritengo che questo sia il principale motivo per cui i galoppatori hanno dei morsi molti severi – le interazioni pressione-rilascio sono troppo lente, si sovrappongono a troppe battute, e il rilascio non è abbastanza veloce.
CONFLITTO
Una carenza in un chiaro addestramento alla pressione/rilascio produce comportamenti conflittuali. Quindi, il modo con cui gli addestratori e i cavalieri utilizzano la pressione determina in larga proporzione il futuro del cavallo. Quando ottenete un corretto meccanismo di pressione-rilascio, ponete delle fondamenta molto solide per l’addestramento; quando usate pressioni errate, il cavallo diventa confuso, può sviluppare cattive abitudini se la confusione persiste e possono nascere i problemi. È per questo che i buoni addestratori hanno l’obiettivo di ottenere in ogni caso dei risultati precisi. Sono pignoli, e con buone ragioni, altrimenti premierete ogni volta dei risultati diversi e il cavallo non ha modo di capire cosa volete.
Di per sè la pressione è fastidiosa e spiacevole per il cavallo – il suo scopo è di farla sparire. Più spiacevole è la pressione, più il cavallo può diventare nevrotico se non trova un modo, o piuttosto se non individua un comportamento che fa sparire la pressione. La pressione senza rilascio come un contatto continuo e pesante o delle gambe che non danno pace causano una desensibilizzazione del cavallo alla pressione. Alcuni cavalli possono convivere con questa situazione, altri no. Comportamenti conflittuali come lo sgroppare, lo scartare e il deviare di scatto  sono corretti nel miglior modo possibile con transizioni verso il basso, e poi riparandone le  cause come la risposta ad avanzare con la pressione/rilascio,  riducendole a unità singole, indivisibili, e tali da poter essere insegnate. Per esempio, si può insegnare l’immediatezza alla risposta di muoversi o di fermarsi, con il risultato che il cavallo impara l’aiuto leggero, poi si può lavorare sul fatto di procedere diritti, poi sulla postura, piuttosto che su tutto insieme a casaccio. Questo va fatto con la sola pressione di redini piuttosto che con una combinazione di aiuti di assetto e di redini. Costruite ognuno dei risultati, uno alla volta, e solo in seguito aggiungerete gli aiuti di assetto, quando i segnali primari saranno stati appresi. La maggior parte delle volte vedrete che gli aiuti associativi come l’assetto funzionano perfettamente quando gli aiuti di redine e di gamba sono ridiventati completamente efficienti.
Prevenire è sempre meglio che curare. Questo è particolarmente vero quando si  tratta di comportamenti che coinvolgono i recessi più antiche e più oscuri del cervello, il sistema limbico. È là che risiedono in attesa le risposte alla paura. Una volta scatenate sono imparate molto più profondamente e con molto meno esercizio di tutte le buone cose che cerchiamo di insegnare ai nostri cavalli. E una volta che sono emerse, sono soggette a quello che  nella scienza comportamentistica è noto come “ripresa spontanea”. Possono riemergere a ossessionarci nel momento in cui le richieste di addestramento sono pesanti e la pazienza vacilla. La nostra speranza è di insegnare al cavallo non solo di accelerare o decelerare in base alla pressione della corda, ma anche di  sostenere e mantenere il suo ritmo, di accorciare o allungare il suo passo, di procedere diritto e di procedere con una posizione dell’incollatura costante e rilassata. Di essere guidati in pozzanghere e macchie scure. Di entrare e uscire dai ruscelli tranquillamente senza perdere il ritmo. Dalla sella il nostro scopo è quello di ottenere gli stessi risultati solo con le redini e le gambe: di procedere e di rallentare, di aumentare o ridurre la lunghezza del passo senza cambiamenti del ritmo o del tempo, di andare diritto e di stare sul morso e di andare dovunque sia puntato il naso. Dobbiamo fare attenzione a non cadere nella trappola di tentare di controllare questi comportamenti con l’assetto o con il peso prima che il cavallo abbia capito la scala delle pressioni, e la loro trasformazione in aiuti leggeri di redini e di gambe. Più avanti nell’addestramento, quando controlleremo il cavallo con sottigliezze come l’assetto ed il peso, quando le cose andranno male avremo un piano di riserva che funzionerà immediatamente, limitando  la quantità di esperienze scorrette e confondenti. Se il nostro obiettivo è quello di far compiere un esercizio al cavallo semplicemente spostando il nostro peso e cambiando assetto invece che usando redini, gambe, morsi non dovremmo far precedere il segnale debole a quello forte o che utilizza accessori?

IL PRINCIPIO DI ESCLUSIVITÀ
Articolo pubblicato in The Horse Magazine, Ottobre 2004 – Autore:  Andrew Mc Lean.
Ogni risposta dovrebbe essere insegnata e ottenuta separatamente (non tirare le redini, segnale di stop, e battere con le gambe, segnale di vai, nello stesso tempo). Le donne, sembra, possono parlare al cellulare, truccarsi e guidare una macchina allo stesso tempo. Non è un comportamento terribilmente sicuro, ma lo possono fare. Non hanno bisogno di spegnere la TV quando suona il telefono. Se un uomo si sta radendo e voi gli parlate è probabile che lui si tagli. Le donne, sembra, sono una rarità nel mondo naturale, perchè possono fare contemporaneamente più cose. In genere, gli uomini non lo possono fare né lo possono fare i cavalli. I cervelli delle donne hanno più fibre di connessione fra i due emisferi cerebrali, gli uomini ne hanno meno. I cervelli degli uomini sono più compartimentalizzati, ed è questo il motivo per cui trovano generalmente più facile distinguere la destra dalla sinistra. Bene, i cervelli dei cavalli hanno una connessione fra emisfero destro e sinistro ancora minore, e non possono assolutamente fare due cose nello stesso tempo! Quando comunicate con i cavalli (o gli uomini!) dovete dare un comando alla volta, altrimenti entrambi i comandi produrranno una risposta indebolita. Questo basilare principio psicologico che prescrive un comando alla volta è ben conosciuto dagli addestratori professionisti di vari animali, ma poco noto agli addestratori di cavalli. Per onestà verso gli addestratori di cavalli bisogna riconoscere che questo deriva in gran parte dal fatto che agli altri animali si chiedono raramente due risposte contemporanee. Mentre l’addestramento di base di un cavallo è focalizzato a risposte singole (vai, ferma, gira e cedi di gamba), l’addestramento a livello elementare comincia a voler ottenere delle risposte combinate fra loro. Per esempio, la spalla in dentro, il travers, e poi in seguito il mezzo passo, la piroetta, e ancora più avanti il piaffe e il passage comportano tutti delle combinazioni delle risposte elementari. In realtà, questi aiuti non dovrebbero essere somministrati nello stesso momento, ma in sequenza, per evitare confusione. Più un cavallo ha consolidato gli esercizi di base, più gli aiuti possono essere ravvicinati. Quando uso il termine consolidato intendo che la risposta all’aiuto è automatica, ossia  appresa in profondità attraverso molte ripetizioni; in altre parole, attraverso un numero di transizioni interminabile. Alcuni addestratori hanno capito da molto tempo che gli aiuti non devono cozzare fra loro. Ricordo di aver letto un eccellente articolo di Michelle Strapp che descriveva la convinzione di George Morris sul fatto che gli aiuti non devono mai cozzare uno con l’altro, ma che, in un cavallo esperto, possono essere molto ravvicinati fra loro.
QUANTO VICINI POSSONO ESSERE?
In un cavallo inesperto gli aiuti dovrebbero essere separati al punto che una risposta sia completata prima che ne venga chiesta un’altra (almeno 3 secondi). Man mano che l’addestramento del cavallo si consolida, le risposte possono essere avvicinate una all’altra, perchè in questo stadio saranno controllate immediatamente con aiuti leggeri e saranno diventate abitudini automatiche. Nei cavalli con esperienza consolidata, gli aiuti possono essere ravvicinati fino alla distanza di una singola battuta dell’andatura corrente. Prendete come esempio la spalla in dentro. Gli aiuti di redine e di gamba non dovrebbero essere simultanei ma consecutivi uno all’altro, secondo il ritmo dell’andatura. La prima parte riguarda la rotazione della spalla di un passo verso l’interno. La seconda è l’aiuto in avanti della gamba interna. Se il cavallo è addestrato a mantenere autonomamente nel tempo entrambe le risposte gira e vai avanti, allora il cavallo risponde all’aiuto di ruotare e mantiene gli anteriori all’interno, poi giungono gli aiuti di gamba verso l’avanti e il cavallo mantiene la postura fino che non riceve un segnale diverso. Tuttavia avviene spesso che durante l’addestramento di questi movimenti gli aiuti non siano indipendenti.
MA ALCUNI CAVALLI SEMBRANO NON ESSERE INFASTIDITI DA DUE AIUTI ALLA VOLTA…
Quello che succede quando due aiuti opposti sono presentati nello stesso tempo varia da cavallo a cavallo. Alcuni cavalli sembrano sopportare queste confusioni e tutto quello che succede è che diventano meno sensibili sia all’aiuto in avanti, che all’aiuto di fermata. Il cavallo perde la risposta immediata agli aiuti go e stop e l’aiuto leggero si trasforma a poco a poco in un aiuto più pesante. Altri cavalli tuttavia possono reagire violentemente all’applicazione simultanea di aiuti opposti, e possono tentare di sfuggire, andare in panico, sgroppare, impennarsi, smontonare o imbizzarrirsi. (è il caso degli attacchi quando alla pressione ad avanzare si contrappone l’azione del finimento a tirare). Altri possono esprimere vari livelli di comportamento conflittuale in situazioni diverse da quella del maneggio, come la manifestazione di ansietà da separazione, difficoltà a essere preso, difficoltà a terra o in viaggio. Questi comportamenti conflittuali fuori contesto sono i più difficili da diagnosticare per gli addestratori e per i cavalieri. Il fatto è che i cavalli possono sviluppare questi comportamenti perchè sono preoccupati a causa del loro addestramento che li confonde. I cani e altri animali certamente manifestano gli effetti di un addestramento confuso con ansietà da separazione. In Gran Bretagna, il dott Daniel Mills ha condotto un approfondito studio sull’obbedienza dei cani e le sue relazioni con comportamenti da stress come l’ansia da separazione e l’abbaiare continuo. ha scoperto che mentre i proprietari valutavano l’obbedienza dei loro cani molto più alta di quanto dimostravano test indipendenti , c’era anche una correlazione positiva fra scarsi risultati ai comandi “siedi” e “fermo” e espressione di comportamenti neurotici da stress. Che anche la maggior parte degli addestratori di cavalli scoprano i vantaggi di queste osservazioni, è solo questione di tempo. I cavalli non sono cattivi,  maligni, maliziosi o malevoli, sono semplicemente confusi e la colpa ricade per gran parte sulle nostre spalle. Abbiamo la responsabilità morale di addestrare meglio che possiamo.
IL PUNTO DI VISTA DEL CAVALLO
Dobbiamo ricordare che il cavallo non conosce o non si preoccupa degli obiettivi del nostro addestramento. Dovreste provare a vedere i problemi dell’addestramento dal punto di vista del cavallo. Il dott.  Paul McGreevy, un noto comportamentista equino e canino e docente all’Università di Sydney, comprende l’imbarazzo dei cavalli e dei cani davanti all’addestramento. Per insegnare agli studenti di veterinaria a capire questo imbarazzo, li fa giocare al “gioco dell’addestramento”. Uno studente lascia l’aula e gli altri decidono un compito che vogliono che lo studente esegua. Ad esempio,  stare con il piede sinistro sul ginocchio destro e con la mano destra sulla testa. Poi lo studente rientra e comincia il suo “addestramento” a eseguire un compito di cui non ha la minima comprensione. Sono premiate solo le successive approssimazioni della risposta corretta, finché lo studente esegue il compito correttamente. Gli studenti capiscono di colpo quanta frustrazione deriva dal fatto di non sapere qual’è una risposta corretta e quale non lo è.
CHIAREZZA
Come addestratori, dovete essere chiari nel ricompensare ogni volta la stessa risposta. Inoltre, dovete accertarvi che gli obiettivi di ogni richiesta siano sufficientemente diversi. Ad esempio, dovete chiarire molto bene che il rilascio delle redini non significa “vai”. Questo potrebbe confondere molto il cavallo, perchè lo stesso stimolo (le redini) richiedono due risposte opposte. Circa un secolo fa, Pavlov dimostrò cosa accade quando le risposte giusta e sbagliata cominciano a fondersi e diventano troppo simili. Aveva addestrato dei cani a discriminare fra un cerchio e un ovale e una forma era punita, mentre l’altra era premiata. Gradualmente ha rese simili le due forme fino al punto in cui il cane non poteva più distinguerle. In alcuni cani questa situazione provocava tensione e aggressione; altri rispondevano a qualsiasi stimolo a caso, a prescindere dalla forma, e altri semplicemente cadevano addormentati.  La gran parte dei cani non erano più capaci di partecipare all’esperimento.
Un altro scienziato,  Masserman, ha addestrato gatti ad aprire una scatola quando un segnale luminoso si accendeva, per ottenere un premio in cibo. Più tardi, quando la scatola si apriva i gatti ricevevano un forte getto d’aria sul muso. In questa situazione, i gatti diventavano fortemente disturbati. Alcuni diventavano molto iperattivi ed aggressivi, altri diventavano apatici q quasi tutti mostravano segni di stress acuto, con elevata pressione sanguigna e disturbi gastrici.
Chiari aiuti leggeri che portano a chiare, costanti risposte hanno come risultato naturale la calma, perchè consentono agli animali la controllabilità e la prevedibilità all’interno del loro universo comportamentale. L’importanza della chiarezza è conosciuta da secoli nell’addestramento dei cavalli. Nell’equitazione classica accademica del XVIII secolo, una massima fondamentale era nota come “l’indipendenza degli aiuti”.  Francois Baucher fu il primo ad approfondire questo concetto giungendo al suo principio  “Jambes sans mains, mains sans jambes” (gamba senza redine, e redine senza gamba”. In altre parole, evitare l’uso contemporaneo di aiuti contrapposti.  Nel 1977, il professor  Frank Ödberg e Dr Marie-France Bouissou sottolinearono la grande percentuale di insuccesso nel cavalli sportivi in una presentazione al simposio di  Waltham. Questi ricercatori esposero che uno studio dimostrava che il  66.4% dei cavalli mandati al macello lo era per motivi comportamentali, e che erano fra i 2 e i 7 anni di età. In un altro studio mostrarono che di 2970 cavalli mandati al macello di Monaco, tra il 25% e il 50% lo erano per ragioni diverse da problemi medici, e che la gran parte era sotto i 3 anni di età. Sulla base di questi risultati, Ödberg e Bouissou raccomandavano un ritorno ai principi dell’equitazione classica del XVIII secolo. In particolare, sottolineavano l’importanza di principi come quello “gamba senza redine, e redine senza gamba”. Gli aiuti possono essere ravvicinati, ma se cozzano uno con l’altro è cattiva equitazione, soprattutto se questo avviene per un tempo prolungato.
Le richieste dell’addestramento dei cavalli sono complesse. Mentre è possibile e desiderabile addestrare a più di un segnale per una risposta, è importante capire che nell’addestramento ci sono priorità. La principale priorità è di addestrare alla pressione/rilascio in modo che i primi aiuti leggeri che il cavallo impara siano la versione leggera degli aiuti che comportano pressione, come la tensione leggera delle redini per fermarsi e la pressione leggera delle gambe per  avanzare. Il cavallo trasferisce naturalmente questi aiuti ai segnali secondari: quelli di assetto e di peso. Una volta che gli aiuti sono consolidati alcuni addestratori usano la voce per vari comandi. Questo pone un problema, perchè il cavallo è capace di discriminare fra molti segnali, ma è importante che il segnale sia sempre collegato alla stessa risposta, e che non vengano richieste allo stesso tempo risposte contrapposte. Se il vostro cavallo mostra una qualche forma di resistenza o di tentativo di fuga, prendete la responsabilità su di voi e chiedetevi cos’avete fatto per provocare questo comportamento conflittuale. Onestamente è la migliore strategia, ma nell’addestramento dei cavalli è anche la più sicura e la più gentile.

IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ
Articolo pubblicato in The Horse Magazine, Dicembre 2004 – Autore:  Andrew Mc Lean.
L’aumento della pressione degli aiuti dovrebbe corrispondere a un aumento del livello della risposta, ad es. un piccolo aiuto di gambe dovrebbe corrispondere a una reazione in avanti leggera, mentre un aiuto più grande dovrebbe produrre una risposta più forte.
Rispetto ad altre forme di addestramento dei cavalli, quello dei cavalli sportivi richiede variazioni molto più ampie in termini di velocità e di potenza. Per esempio, se il vostro scopo è solo di divertirvi con le escursioni a cavallo, allora il compito dell’addestramento è molto più semplice di quello per ottenere un cavallo adatto a competizioni di dressage. Quello di cui avete veramente bisogno è solo un buon acceleratore e un buon freno, e un cavallo che sa mantenere la sua andatura. Nei precetti dell’equitazione escursionistica, talora l’addestramento è considerato meno importante della possibilità di avere un cavallo tranquillo più motivato a seguire gli altri cavalli del gruppo piuttosto che a essere guidato dalle pressioni casuali di un cavaliere del tutto inesperto.
Un aspetto obbligatorio dell’addestramento dei cavalli sportivi è che la loro velocità sia molto regolabile, in modo che l’accelerazione e la decelerazione si possano ottenere con rapidità da un estremo all’altro, o che possa passare gradualmente e con precisione da un livello a quello successivo. Per esempio un cavallo deve essere capace di accelerare rapidamente fra un ostacolo di un percorso di cross e il successivo, per poi poter essere rallentato in un tempo minimo. Quelli troppo lenti nell’accelerare o nel decelerare vanno incontro a penalizzazioni di tempo. La stessa abilità è richiesta  nelle fasi a tempo del salto ostacoli. I cavalli da dressage devono essere in grado di eseguire una transizione dal galoppo esteso al galoppo raccolto e viceversa in tre battute del ritmo. All’inizio dell’addestramento del cavallo, queste variazioni provengono da variazioni nella forza della pressione, e ben presto le pressioni “si riflettono” nelle risposte. Poi si va incontro a naturali trasformazioni attraverso le quali il cavallo impara a  fornire le stesse variazioni di velocità dopo sottili variazioni degli aiuti leggeri, perchè il cavallo apprende che l’aiuto leggero precede sempre quello più forte, e quindi è predittivo di quest’ultimo.
Il livello di pressione “motivante”
Per addestrare un cavallo a rispondere alle variazioni degli aiuti, il cavallo dev’essere innanzitutto reso capace di eseguire delle transizioni di andatura (dal passo al trotto, ecc) che avvengano senza ritardi. Questo significa naturalmente che il cavaliere deve usare le pressioni che funzionano. Immaginate che il range di pressioni di redini o di gamba possano disporsi in una scala da 0 a 10 (vedi anche “Il principio della pressione”). Si chiama “pressione motivante” quel livello che fa in modo che il cavallo offra il comportamento richiesto dal cavaliere. Nel corso dell’addestramento iniziale, scopriamo qual’è il livello che funziona, e il lavoro successivo è quello di abbreviare l’intervallo di tempo in cui il cavallo riceve la pressione, in modo che le  transizioni si completino nell’arco di tre battute del ritmo dell’andatura.  Questo significa che dobbiamo saltare tutte le pressioni intermedie e arrivare direttamente alla pressione che funziona. L’aiuto leggero è il primo segnale che il cavallo avverte, immediatamente seguito dalla più forte pressione motivante (il livello che certamente funziona), seguito dal rilascio.
Queste tre componenti, l’aiuto leggero, la pressione motivante e il rilascio, devono coincidere esattamente con tre battute del ritmo dell’andatura in corso. Presto il cavallo impara a rispondere al solo aiuto leggero, ma ancora la risposta deve avvenire entro tre battute del ritmo. A questo stadio non c’è bisogno di rilascio, e il contatto rimane lo stesso durante l’intera transizione. Le tre battute permettono di gestire la forza d’inerzia di una massa di 500 kg nel più breve tempo possibile entro un ritmo costante e senza scosse.
Addestrare alle variazioni
Quando il cavallo risponde agli aiuti leggeri, il passo successivo è di addestrarlo alle variazioni – variazioni all’interno dell’andatura (ad es. passo più lungo – passo più corto) e poi alla fine a variazioni più estreme da un’andatura all’altra (ad es. dal passo al canter e dal canter al passo). Anche queste devono avvenire entro tre battute. Il loro insegnamento richiede pressioni/rilasci degli aiuti di redini e di gambe per permettere una corretta tempistica. Uno dei problemi più comuni che incontro nei miei stage è che molti cavalli non mostrano variazioni nelle loro risposte corrispondenti alle variazioni negli aiuti. Al contrario, quando viene usato un aiuto leggermente più forte, il cavallo dà frequentemente una risposta “di opposizione”. Un esempio è quello costituito dal cavallo che dopo un aiuto di redine più forte accelera, o che dopo un forte aiuto di gambe rallenta. Le risposte di opposizione possono essere molto confondenti per un cavallo perchè si correlano fortemente con i peggiori problemi comportamentali come le impennate, le sgroppate, le smontonate e l’imbizzirrimento. Nei primi stadi di sviluppo, le risposte di opposizione possono anche manifestarsi come imprevedibili “uscite di testa”. Il cavallo vi sorprende perchè improvvisamente e senza essere provocato scarta, scappa, smontona, si imbizzarrisce o si impenna.
Per insegnare le variazioni dovete accertarvi che ci siano chiare differenze fra gli aiuti che usate per i cambiamenti di andatura e gli aiuti che usate per variare la lunghezza dell’andatura. Molto spesso i cavalieri usano gli stessi aiuti e poi non meraviglia che il cavallo vada al piccolo trotto quando è richiesto andare al passo a redini lunghe. In termini di aiuti di redine e di gamba, gli aiuti per  le transizioni fra le andature (entrata e uscita dal passo, trotto e galoppo) sono insegnate meglio come aiuti più prolungati (della durata di tre battute). Al contrario, gli aiuti per le variazioni all’interno di un’andatura come l’allungamento e l’accorciamento del passo, del trotto e del galoppo sono brevi (durano una sola battuta). Questi aiuti sono accompagnati da differenti aiuti di assetto. L’aiuto di assetto per l’allungamento/accorciamento consiste in uno scivolamento più lungo/più corto sulla sella, mentre l’aiuto di assetto per un cambiamento di andatura è una spinta in avanti più prolungata (per le transizioni verso l’alto) o un aiuto di entrata nella sella (per le transizioni verso il basso). Se i cavalieri sono costanti, i cavalli non hanno difficoltà a percepire queste combinazioni. Essere chiari con gli aiuti è essenziale per l’equilibrio mentale del cavallo: il riaddestramento specifico sia del cavallo che del cavaliere ha un grande effetto nel trasformare un cavallo teso in un cavallo rilassato.
Concentrarsi prima sugli aiuti di redini e di gambe
A questo punto siamo di fronte al problema dell’apprendimento umano. Come insegnare alle persone nel modo migliore l’aiuto contemporaneo di gamba e di assetto? Insegnare alle persone a fare più di una cosa alla volta significa entrare in un vasto campo minato. La risposta dovrebbe sempre basarsi sulle capacità di imparare del cavallo. Quindi, se nell’addestramento ci dev’essere una priorità, allora la priorità assoluta è di addestrare agli aiuti di gamba e di redine in tutte le proporzioni e variazioni, perchè solo loro possono assicurare la tempistica delle transizioni che è essenziale per l’obbedienza del cavallo. Una volta che si sono abbastanza consolidate nel repertorio sia del cavaliere che del cavallo, allora possono essere introdotti dei miglioramenti finali concentrandosi sull’uso degli aiuti di assetto e di posizione, complementari agli aiuti di redine e di gamba. Insegnare le risposte in questo ordine è il modo migliore di evitare confusione al cavallo, ottenendo risultati stabili fin dall’inizio.
Posizione del cavaliere
A questo punto c’è il problema dell’equilibrio – è difficile essere costanti con gli aiuti senza confondere o sbilanciare il cavallo a causa della perdita d’equilibrio del cavaliere. Questo è il motivo per cui – se state tentando di addestrare o riaddestrare un cavallo – avete bisogno di un alto livello di stabilità nella vostra posizione, ottenibile meglio con il lavoro alla corda o su un cavallo che non tira né è troppo pigro. I cavalli “forti” sono particolarmente difficili per la posizione del cavaliere e vanno particolarmente male per i bambini, se volete che sviluppino capacità equestri corrette. Con la tensione costante delle redini, il cavaliere non impara  a cavalcare il cavallo in avanti. Piuttosto il cavallo fugge via (facendo pensare al cavaliere che è in avanti) e il cavaliere “fa lo sci d’acqua” sulla sua bocca.
Non basatevi solo sugli aiuti di assetto
Non è sufficiente basarsi solo sugli aiuti di assetto, perchè da soli non possono mantenere la risposta entro tre battute del ritmo. Dopo un certo tempo, le transizioni con i soli aiuti di assetto si allungano fino a richiedere cinque o sei battute e  il cavallo perde l’impulso e non mette sotto i posteriori. Tentate per esempio di andare dal passo all’alt contando le battute che servono per ottenere lo stop senza che le redini diventino più pesanti o che il cavallo apra la bocca. Inoltre, se le gambe e le redini sono completamente abbandonate, c’è il rischio ancora più grande   di abbassare il livello di risposta del cavallo. Al congresso di Glasgow, a cui ho partecipato, è stato documentato che se addestrate un animale a rispondere a 2 segnali (come redini e assetto) per ottenere una risposta, poi l’uso di un solo segnale diminuisce la risposta dell’animale. La migliore soluzione in base alle capacità di apprendimento del cavallo  è quindi quella di ridurre le pressioni di redini e di gambe ad aiuti leggeri per prima cosa, e dopo che questa trasformazione è stata raggiunta, di accompagnare quegli impercettibili aiuti di gamba e di redine con i corretti aiuti di assetto e di posizione.

Affrontare le resistenze.
Nell’addestramento e riaddestramento, le pressioni dovrebbero essere proporzionali alla resistenza offerta dal cavallo. Dovrebbe essere usata solo la pressione motivante, ma quella DEVE essere usata. Per esempio, se usate le gambe per il “vai avanti” e il cavallo si rifiuta o non procede affatto, allora la pressione dovrebbe essere aumentata fino al livello che lo convince ad andare avanti e non un minimo di più. È questa l’arte di un buon addestratore, e una caratteristica specifica dei migliori addestratori – sanno quanta pressione usare. Se ne usate troppa, rischiate di causare paura  e di abbassare la tendenza del cavallo a “provare” [try] a offrire risposte. Se ne usate troppo poca correte i rischio che il cavallo si abitui a quel livello di pressione, e di rendere progressivamente insensibile il cavallo a pressioni crescenti, fino a raggiungere quella che è chiamata “rassegnazione appresa”. Se il cavallo offre una risposta completamente opposta come indietreggiare, allora aumentate molto la pressione delle gambe finché tenta la risposta corretta. Questo è il modo di dire al cavallo “questa non è assolutamente la risposta giusta – tenta di nuovo”. Analogamente, l’entità della pressione di redini usata per rallentare un cavallo è molto minore di quella usata se improvvisamente si imbizzarrisce.
I vantaggi dell’essere decisi negli aiuti
I cavalli che impiegano più di tre battute a completare una transizione o ad attuare variazioni all’interno dell’andatura tendono a manifestare con molta maggiore frequenza dei problemi comportamentali. Le transizioni che richiedono troppo tempo portano a un cavallo che sopporta e talora si abitua a lunghi periodi di pressione. Perdono le loro risposte e nel caso degli aiuti di redine possono pesare sul morso con la conseguenza dell’apertura della bocca, dell’incrocio della mandibola, di problemi alla lingua, e di tensione generale di tutto il corpo. I cavalli che rispondono lentamente alle gambe tendono a essere assillati dal cavaliere e possono calciare come risposta all’aiuto di gamba. I cavalli tardi e lenti a rispondere sia agli aiuti di redine che di gamba possono impennarsi o perfino automutilarsi in qualche caso. Mantenere una buona proporzione fra aiuti leggeri e corrispondenti risposte è un bene per il benessere del cavallo – lo rende capace di “leggervi” e quindi è una componente molto importante della “fiducia”. Insegna anche al cavallo ad essere più veloce con i suoi posteriori, a “sedersi” e ad abbassare i suoi posteriori.

IL PRINCIPIO DELLA PAURA
Articolo pubblicato in The Horse Magazine, Febbraio 2005 – Autore:  Andrew Mc Lean.
La paura è appresa rapidamente, non è dimenticata facilmente e fortemente associata al movimento delle gambe. È importante identificare lo spettro delle risposte alla paura nei cavalli e evitarle o diminuirle.
Cos’è la paura?
La risposta alla paura è il più grande avversario dell’addestratore. La paura negli animali come i cavalli si esprime come risposta di fuga – il cavallo tenta di sfuggire alle situazioni che lo spaventano. La paura è l’attivazione della risposta di fuga. La risposta di fuga coinvolge l’intero corpo dell’animale. Gli scienziati del comportamento descrivono tutti i livelli della paura come asse HPA (asse ipotalamico-ipofisario-surrenalico [hypothalamic-pituitary-adrenal axis]). Questo nome poco maneggevole suggerisce l’origine della risposta di fuga – il cervello e le ghiandole surrenali. Una struttura situata profondamente nel cervello, l’amigdala, distingue gli stimoli come paurosi o no. Gli stimoli paurosi sono trattati in modo speciale dal cervello in termini di memorizzazione – al contrario delle altre informazioni, gli stimoli paurosi, una volta appresi, non sono dimenticati. È possibile stratificarvi sopra nuove reazioni, in modo che siano meno facilmente richiamati, ma in seguito e per sempre le risposte alla paura richiedono un accurato addestramento per tenerle coperte.
Una volta che il cervello ha percepito uno stimolo pauroso, l’attenzione viene aumentata e le ghiandole surrenali danno al cuore un segnale di accelerazione. Altri stimoli meno importanti vengono ignorati. È per questo che un cavallo in un attacco completo di paura può galoppare contro recinti o automobili o può urtare contro alberi o altri ostacoli. Anche se il cavallo tenta di saltare sopra un recinto, il meccanismo del suo salto è ridotto al punto che le sue gambe sono trascinate sopra l’ostacolo,  magari strappando via i fili più alti. Un salto piatto è caratteristico della risposta alla paura ed è osservato non raramente in cavalli non perfettamente addestrati nella fase di cross del completo. Più elevato è il livello della risposta alla paura, più il cavallo tende ad accelerare e meno è sensibile a qualsiasi altra cosa, compresi gli aiuti.
La risposta alla paura è estremamente variabile. È come un interruttore progressivo della luce – può essere attivato completamente o no. Può anche manifestarsi con vari pattern di comportamento. Per esempio, lo scarto, la sgroppata, l’impennata, l’imbizzarrimento, la tensione, la fuga, l’andatura affrettata, il trottignare, il precipitarsi, l’inarcamento della schiena, la posizione alta della testa “a cervo”, il digrignare dei denti, l’agitare la coda o il tenerla fra le gambe. In tutte le risposte elencate, le gambe perdono il loro ritmo regolare e iniziano a  muoversi veloci ed a scatti. Lo scatto in avanti è la più forte espressione della risposta alla paura. È un meccanismo di difesa che permette al cavallo di sfuggire dalle situazioni pericolose.  Pochi animali sulla terra sono veloci come il cavallo, specialmente su lunghe distanze. La sgroppata è anche un meccanismo di difesa. Si tratta di un  movimento che si è evoluto per scrollare via un predatore dalla schiena del cavallo. L’impennata è un movimento aggressivo/difensivo che non è solo usato nel liberarsi da un predatore ma anche nella lotta fra stalloni. Lo scarto è una componente minore dello scatto, quando una brusca deviazione contribuisce a evitare la cattura. La sgroppata, lo scatto e lo scarto sono rinforzati (premiati e quindi ripetuti) dalla perdita di contatto del predatore. Sotto la sella e a mano, se il cavaliere perde il contatto durante queste manovre difficili da controllare, sono analogamente premiate dalla perdita di contatto.
I cavalli mostrano la risposta di fuga allo stesso modo?
Non tutti i cavalli scappano lontano da ciò che li spaventa. La fuga prevale nei purosangue, negli arabi e nei quarter da corsa. I geni della reazione di fuga che questi animali possiedono in varia misura derivano dai loro progenitori adattati ai climi caldi i cui principali predatori erano i grandi felini. La fuga era una buona soluzione perchè i felini non sono dei corridori sulle lunghe distanze. Si affidano a brevi esplosioni di velocità, e solo uno dei membri del gruppo dei felini, il leone, caccia in gruppo. La caccia in gruppo aumenta la distanza di cattura di alcune centinaia di metri. Ma dopo un allarme, gli animali veloci come i cavalli e le antilopi possono sfuggirgli. La caccia cooperativa è la forma di caccia più efficiente, eppure anche i leoni cooperativi hanno un tasso di successo di un attacco su sei. Con i predatori del gruppo dei cani, le cose sono diverse. La caccia cooperativa dei canidi come i lupi e i licaoni non si esaurisce tanto rapidamente, una volta che hanno isolato una preda. I maggiori predatori degli antenati dei cavalli domestici erano i lupi, e mentre pochi animali sulla terra possono battere un cavallo nello spazio di un paio di miglia, un branco di lupi che caccia in modo cooperativo può catturarli con facilità. Quindi, questi cavalli adattati al freddo, dell’Eurasia centrale, che sono predati principalmente dai lupi, non tendono a sfuggire ma a colpire. Mentre le zebre non difendono i loro piccoli dai leoni, loro accorrono, tengono testa ai licaoni e alle iene e sono letali con i loro zoccoli. La gran parte dei cavalli domestici sono una miscela delle razze adattate al freddo, che colpiscono, e delle razze adattate al caldo, che fuggono. Avrete forse notato che alcuni cavalli domestici tendono a sfuggire mentre altri si fermano e calciano quando sono minacciati.
Apprendimento al primo tentativo
Mentre la maggior parte delle cose che tentiamo per addestrare un cavallo richiede molte ripetizioni, sfortunatamente la risposta di fuga può essere appresa al primo tentativo. In genere ci vogliono un paio di ripetizioni, ma anche in questo caso si tratta di un tempo di apprendimento molto rapido. Potete immaginare il motivo per cui è necessario che le risposte di fuga sono apprese e ripetute così rapidamente. Le tecniche di fuga che sono risultate efficaci per sfuggire a un predatore devono essere memorizzate istantaneamente per essere riutilizzate in seguito – non c’è grande spazio per tentativi ed errori quando state per diventare il pranzo di un leone. È per questa ragione che durante l’addestramento quando si affacciano comportamenti di paura la migliore soluzione è quella di eliminare la paura e di consentirle la minima possibilità di essere sperimentata. In questo consiste l’addestramento senza errori, di cui parlerò in seguito.
Cosa rinforza la risposta di fuga?
La risposta di fuga viene confermata quando la fuga permette di sfuggire dall’oggetto della paura. In altre parole, ad aumentare la distanza fra il cavallo e l’oggetto pauroso. Questo rinforzo non consiste solo in una distanza di molti metri messi fra il cavallo e quello che teme; talora si tratta di centimetri. Per esempio, se un cavallo è spaventato dalla frusta o è sensibile sulla testa, lo spostarsi di un passo dalla frusta o il sollevare la testa fuori della portata delle vostre mani conferma la risposta di fuga in un numero di ripetizioni molto basso. Se un cavallo ha paura del fabbro, è rinforzato quando riesce ad allontanarsi di un passo dal maniscalco. Per cui il maniscalco non dovrebbe allontanarsi affatto, se possibile. Dovrebbe tentare di restare a contatto con il cavallo e di ripetere alcune volte le sequenze di “toccata e fuga”.
Identificare la paura
Come addestratori di cavalli è importante che impariamo a identificare la risposta alla paura per quello che è. Dovunque, gli uomini di cavalli su questo punto sbagliano a tutti i livelli di abilità equestre. Per molto tempo nel dressage classico è stato fondamentale che il cavallo mantenga la sua velocità, se non gli viene chiesto altrimenti, e questo è ancora compreso nella scala di addestramento moderna in Germania. In questo consiste il ritmo. Se un cavallo non sa mantenersi nel ritmo, allora significa che sta accelerando (sfuggendo) o rallentando. Se il cavallo sta sfuggendo, mostrerà un qualche grado di risposta alla paura. Un esempio classico è il cavallo che si dirige troppo focoso nell’affrontare gli ostacoli.   Questi cavalli accelerano di fronte a un ostacolo, e anche nei pony club questo comportamento pericoloso è spiegato in termini di “competitività”. È un’idea completamente errata. Questi comportamenti sono quasi sempre appresi quando, le prime volte, il cavallo sfugge via dagli ostacoli, (il cavaliere non ha controllato il ritmo), e presto associa l’ostacolo con l’accelerazione e l’ostacolo stesso diventa la chiave che elicita questa accelerazione maniacale. Quando succede, l’effetto di rallentamento delle redini viene progressivamente perduto e alla fine la cosa richiede un riaddestramento, oppure viene usata un’imboccatura più severa.  Il cavallo sviluppa una bocca insensibile, che è un comportamento di rimozione, piuttosto che una vera riduzione di sensibilità. In queste circostanze il profilo della composizione del sangue ha gli stessi marcatori della paura, dal punto di vista chimico, di quelli di un cavallo che sta scappando per salvarsi la vita da un branco di lupi. I cavalli da salto, come i cavalieri, devono  essere addestrati riguardo al ritmo, intendendo con ciò che il cavallo deve saper mantenere da sè la sua velocità e che il salto non deve elicitare mai un’accelerazione superiore a quella necessaria per un morbido e tranquillo effetto di trazione attraverso l’ostacolo. Non  è solo una questione di benessere del cavallo –  è anche una questione di sicurezza del cavaliere. Nel dressage e in tutte le altre attività equestri dobbiamo riconoscere la paura nella tensione.
Niente movimenti veloci
Nella gran parte del lavoro di equitazione le gambe del cavallo non dovrebbero muoversi velocemente. Nel dressage, ad esempio, i cambiamenti di velocità del corpo del cavallo sono ottenuti mantenendo la velocità delle gambe del cavallo costante ma allungando il passo. I “grandi maestri” dei secoli passati, a cui va il merito di quello che il dressage è oggi, sapevano molto di più di quello che oggi gli viene riconosciuto. Sapevano che il movimento veloce delle gambe porta il cavallo verso la risposta alla paura e che si tratta spesso di una strada senza uscita. Sapevano che un dorso incavato manifesta tensione e paura e  può alimentare la tensione. Avevano capito che l’aumento della velocità si ottiene al meglio mantenendo la stessa velocità di rotazione, ma che all’interno di quella velocità di rotazione un passo più lungo significa una maggiore velocità. I movimenti veloci ed a scatti degli scarti e del trottignare alimentano la risposta alla paura e la tengono sempre pronta per un uso crescente. Se un cavallo scarta in un certo punto, dovrebbe essere cavalcato in quella direzione più lentamente e il cavaliere dovrebbe tenersi pronto a usare le redini e a rallentare il cavallo immediatamente non appena inizia a scartare. Se l’oggetto che produce lo scarto è a destra, sarà l’anteriore destro che spinge le spalle a destra con un gesto di panico, e quindi il cavaliere dev’essere pronto a rallentare l’anteriore destro agendo con la redine destra più che con la sinistra. Questo dovrebbe essere ripetuto finché il cavallo mantiene il suo ritmo fino a sorpassare l’oggetto che gli fa paura. Tuttavia, se gli scarti sono casuali, questo è un forte indizio di comportamento conflittuale – significa che il cavallo è confuso con gli aiuti e che è pesante e lento ai segnali di stop, di vai o di girata.
Ogni accelerazione o deviazione dal percorso dovrebbe essere accompagnato dall’applicazione immediata degli aiuti di fermata o di girata in modo che i movimenti veloci non siano incorporati nel repertorio del cavallo o, peggio ancora, non si sviluppino ulteriormente. Questo significa che dobbiamo addestrare con uno stile “error free” (senza errori), e che quando il cavallo mostra una risposta di fuga dobbiamo impedire, quanto più possibile,  che le sue gambe lo esprimano. Lo stile error free significa eliminare il comportamento durante la sua espressione (non dopo), ripetendo immediatamente la richiesta. Questo significa rallentare le gambe e poi chiedere di nuovo il “vai”. La cosa richiede spesso  di affinare inizialmente la risposta di stop con le redini. Se la richiesta di procedere in avanti provoca la sgroppata, il pattern motorio della sgroppata può essere elaborata dal cavallo prima di essere bloccato, e quindi può venire incorporato nel repertorio di  comportamento connesso all’aiuto “vai”.
Naturalmente, se il cavallo fa solo un “pig-root” (scalcia con un solo posteriore), ripetere il comando vai basta ad ottenere una risposta vai corretta. Se il problema non viene risolto in questo modo, allora occorre applicare la tecnica “error-free”. Ogni accelerazione improvvisa dev’essere gestita usando le redini per rallentare immediatamente l’andatura, e l’intensità e la forza del rallentamento è determinata dalla gravità del comportamento del cavallo. Se un cavallo scarta, devia bruscamente, accelera, indietreggia rapidamente o sgroppa, sembra che più è veloce il movimento delle gambe, più indelebilmente il movimento viene ricordato.
Un certo grado di risposta di fuga può essere utile?
Un aspetto importante del comportamento del cavallo è che quote crescenti di risposta di fuga o di adrenalina sono necessarie per l’aumento della velocità. Quindi, non tutti gli aspetti della risposta di fuga sono dannosi. Il galoppo teso non sarebbe possibile senza un aumento della frequenza cardiaca. Analogamente il completo e alcuni tipi di competizione richiedono alcuni dei meccanismi che sono associati alla risposta di fuga. Il problema è capire quando si supera il limite. Chiunque ha avuto la sfortuna di montare un cavallo che prende la mano sa che questi cavalli non rallentano e non girano. Tuttavia un cavallo da corsa ben addestrato che corre alla stessa velocità può essere rallentato e girato. Il cavallo che ha preso la mano è chiaramente in preda alla risposta di fuga molto più profondamente del cavallo da corsa. Quando la risposta di fuga è collegata alla risposta in avanti più del minimo necessario per mantenere quella velocità, il cavallo sta fuggendo. Questo solleva il problema del self-carriage. Una caratteristica fondamentale del self-carriage è che la velocità del cavallo è sotto controllo. I cavalli montati e condotti, la cui velocità è controllata dalle mani, esprimono una forma minore di fuga. Anche i cavalli confusi tendono a fuggire e il ritmo e la velocità vengono controllati dal cavaliere. Il cavallo non è in grado di sfuggire e il suo dorso è ulteriormente incavato, il suo passo è rigido e saltellante.
Recupero spontaneo
Quante esperienze di tensione e di fuga possiamo consentire ai nostri cavalli? Nessuna. Siccome i comportamenti che sono associati con le risposte di fuga sono ricordate dopo un singolo episodio, le esperienze paurose stanno in attesa nei magazzini del cervello. Le risposte alla paura sono soggette a quello che gli scienziati chiamano “recupero spontaneo” – la tendenza a riapparire nell’animale con la stessa energia della volta precedente. Più grande è stata l’esperienza di paura che l’animale ha provato, più è alta la probabilità di in recupero spontaneo. Per cui, ignorare un episodio ragionevolmente serio di fuga o di sgroppata o di scarto può comportare che possa riapparire quando meno ve lo aspettate. In genere il comportamento riappare in periodi in cui l’animale è preoccupato e i livelli di stress sono un po’ più alti – per esempio, quando gli viene insegnato qualcosa di nuovo. Inseguire cavalli paurosi in tondino può anche avere un effetto analogo nel recupero spontaneo. Se il cavallo sta correndo con tutti i segni della tensione (testa alta, schiena incavata, piccoli passi saltellanti) , stanno maturando problemi. È un pessima idea, sia per lo stato mentale del cavallo, che per le sue relazioni con l’uomo. In sostanza, il cavallo sta apprendendo e immagazzinando la risposta alla paura per usarla più tardi. Ma soprattutto quello che il cavallo sta apprendendo è l’associazione fra paura e esseri umani. Tutti gli eminenti etologi che conosco sono d’accordo su questo punto. Se un cavallo viene inseguito in un tondino e mostra la schiena incavata, la testa alta e gambe che si muovono veloci, allora, nonostante ai benefici immediati a breve termine proclamati dai sostenitori del lavoro nel tondino, questo tipo di lavoro può essere la ricetta per ulteriori, e talora più gravi, espressioni di paura, e per creare crepe nel legame fra uomo e cavallo. A parte le interpretazioni umanizzanti, dovete provare a mettervi nei panni del cavallo. Essendo stati per milioni di anni in cima al menu dei predatori, ha reso il cavallo particolarmente sensibile a qualsiasi cosa possa corrispondere all’essere rincorso. Se sta nascendo tensione fra uomo e cavallo, la miglior cosa che possiate fare è di evitare di rincorrere il cavallo. D’altra parte non c’è niente di male in un lavoro alla corda lunga, svolto correttamente, purché il cavallo sia rilassato. Se il cavallo gira in tondino e con la  corda lunga a velocità controllata e senza schiena arcuata, possono esserci grandi benefici nell’addestramento. Ogni accelerazione brusca dev’essere corretta con una transizione verso il basso attraverso la longe.
Controllo delle gambe del cavallo
Un etologo americano, Temple Grandin, ha dimostrato alcuni anni fa che la “terapia della contenzione” funziona, con i cavalli. Ha osservato cowboy americani mettere mustang selvaggi in cassoni, con la sola testa sporgente, e riempire poi i cassoni con grano da un silos. Poi vicino alla testa venivano agitati sacchetti ecc. I cavalli non erano in grado di esprimere fisicamente la loro risposta alla paura perchè le gambe erano immobilizzate. Quando i cavalli emergevano da quello stato di costrizione, erano molto più tranquilli e facili da controllare; la risposta alla paura era attutita per qualche tempo. Per molto tempo che domava cavalli in Australia e i sussurratori hanno legato le zampe dei cavalli bloccandoli a terra o immobilizzandoli. Tutte queste tecniche temporaneamente controllano la risposta di fuga, nonostante venga erroneamente attribuito a queste tecniche la capacità di produrre “rispetto” e “sottomissione”. Quello che in realtà avviene è che gli stimoli che producono paura sono scollegati dalla risposta di fuga. Tuttavia questo genere di pratiche sono viste per lo più come pratiche eticamente scorrette.
Il modo migliore e più efficace di controllare il movimento delle gambe dei cavalli con un risultato durevole è quello di fare un efficace lavoro a terra in modo regolare. Un lavoro a terra corretto offre  un pieno controllo sul movimenti delle gambe del cavallo. Nel metodo di lavoro a terra  AEBC noi condizioniamo il cavallo a muoversi solo in base al segnale fornito con la longhina, e che il segnale della longhina dev’essere insegnato scrupolosamente in modo che il cavallo possa essere fatto immediatamente procedere o indietreggiare con un segnale molto leggero, e che continui nel movimento finché non riceve un diverso segnale, mantenendo una direzione diritta e tenendo la testa all’altezza del garrese. Il cavallo dev’essere anche capace di restare “parcheggiato” finché non gli viene chiesto di muoversi. Altri addestratori usano tecniche leggermente diverse, tuttavia il comune denominatore di tutte è che le gambe del cavallo devono essere sotto controllo  e che non sono consentiti movimenti casuali, e specialmente non lo sono i movimenti casuali rapidi. È ben noto che più il cavallo usa movimenti rapidi casuali, più tende a utilizzarli. Analogamente sotto la sella un completo controllo del movimento degli arti è la soluzione sia per prevenire comportamenti pericolosi che per la riabilitazione da questi comportamenti. Come ho ricordato in un precedente articolo di questa serie, le varie pressioni delle redini e delle gambe pongono confini attorno al comportamento del cavallo, ottenendo il controllo completo dei suoi piedi in termini di accelerazione, decelerazione e direzione. La trasformazione di queste pressioni in aiuti leggeri  aggiunge  rilassamento all’obbedienza perchè gli aiuti leggeri non sono invadenti e sono prevedibili.
Comportamento conflittuale
Quando gli animali sperimentano regolarmente per molto tempo la risposta di fuga, la loro concentrazione ematica di sostanze chimiche correlate allo stress, come il cortisolo, aumenta. Negli studi del comportamento, il cortisolo è risultato un indicatore molto affidabile dello stress e nel lungo periodo ha effetti dannosi sulla fisiologia dell’animale. Una tensione al lungo termine può anche sfociare in comportamenti conflittuali come l’ansietà, l’aggressività, perfino automutilazione.
Quando un cavallo diventa confuso, la prima reazione è generalmente la tensione. Questa tensione generalmente rende il cavallo propenso a sfuggire dalle situazioni stressanti. Più il cavallo diventa confuso, maggiore diventa la tendenza a scappare, a scattare via o a scartare. Le richieste opposte predispongono il cavallo ad alti livelli della risposta di fuga. Le risposte opposte agli aiuti comprendono reazioni come quella di rallentare dopo un aiuto di gamba, di accelerare dopo un aiuto di redine, di girare a sinistra dopo un’azione di redine destra o a destra dopo un’azione di redine sinistra (come nella caduta di spalla all’interno o all’esterno). Tuttavia, nell’addestramento del cavallo, i più alti livelli di tensione insorgono dall’effetto bloccante dell’uso contemporaneo delle redini e delle gambe. Solo un piccolo numero di cavalli non mostra segni clinici di tensione in queste circostanze. Gli animali semplicemente non possono accelerare e decelerare contemporaneamente per cui il cavallo impara che gli aiuti sono “aiuti” solo quando il loro livello supera un contatto pesante. Uno stile di addestramento di questo tipo significa che degli speroni a rotella appuntiti e redini doppie con aste a leva diventano attrezzi indispensabili, tuttavia il buon senso dovrebbe suggerire che standard più alti di addestramento dovrebbero richiedere meno ferramenta, piuttosto che una quantità maggiore.
L’identificazione ed il trattamento del comportamento da paura è una parte assolutamente essenziale delle capacità equestri.  Per il nostro bene e per la sicurezza dei nostri bambini dobbiamo sbarazzarci del mito che il cavallo che si affretta verso gli ostacoli sta manifestando  “competitività” e che si rende conto di quanto sta facendo perchè sostanzialmente vuole lusingarci. Se gli addestratori di cavalli imparassero a identificare correttamente la varietà delle risposte alla paura che i cavalli manifestano durante l’addestramento, e apprendessero l’importanza di non includere pattern di movimento da paura in tutte le discipline equestri, cavalcare e addestrare diventerebbero molto più sicure sia per i cavalieri che per gli addestratori. È confortante vedere che le università di studi equestri in Gran Bretagna e in Australia stanno abbracciando questa consapevolezza, che alla fine si diffonderà nel resto del mondo equestre.

IL PRINCIPIO DI PAVLOV
Articolo pubblicato in The Horse Magazine, Settembre 2004 – Autore: Andrew Mc Lean.
Il rilassamento e l’attenzione possono avvenire
solo se il cavallo risponde ad aiuti leggeri. Durante l’addestramento il cavallo impara a rispondere ad aiuti leggeri se sono dati immediatamente prima di pressioni motivanti più forti. Quando si insegna un nuovo segnale, il nuovo segnale deve apparire appena prima e durante l’aiuto leggero.
Il principio di Pavlov copre tutto quello che riguarda l’addestramento del cavallo a rispondere agli aiuti leggeri, compresi quelli di assetto, di peso e di posizione. Esiste una scienza consolidata sull’addestramento di cavalli e altri animali ad agire in base a segnali precedentemente neutri, e Ivan Pavlov (1849 – 1936) con una piastra di vetro applicata a una larga apertura della gabbia toracica fino allo stomaco, in modo da permettergli di osservare in prima persona il processo digestivo. Dava al cane un estratto di carne in modo di osservare cosa succedeva nello stomaco durate la salivazione e la digestione. Tuttavia nel corso dell’esperimento notò che il cane iniziava a salivare sempre prima in ogni sessione – il cane cominciava ad “anticipare” il cibo. Ora, la maggioranza di noi si accontenterebbe di spiegare questa anticipazione con sè stessa, ma Pavlov era determinato a scavare più a fondo. Voleva capire cosa fosse in realtà questa “anticipazione” – svelare il meccanismo deterministico dietro questa “anticipazione”. Negli umani e forse anche in qualche specie animale poteva coinvolgere una qualche forma di visualizzazione mentale dell’evento atteso, ma si trattava sempre di questo? Ed era necessario che fosse così? Pavlov scoprì che c’erano alcune precise regole che governavano il modo con cui gli animali imparano ad associare uno stimolo precedentemente neutro con una particolare risposta. Scoprì che le relazioni temporali che intercorrevano fra il segnale luminoso e lo stimolo già noto era critico.
RELAZIONI TEMPORALI DELLE ASSOCIAZIONI
Pavlov scoprì che nuovi segnali devono essere somministrati appena prima o contemporaneamente a un segnale innato o precedentemente appreso. Per esempio, se un cavaliere desidera addestrare il proprio cavallo all’aiuto vocale “whoa”, la parola dovrebbe essere pronunciata immediatamente prima e contemporaneamente l’applicazione del segnale di redine “ferma”. Più la parola segue l’aiuto di redine, meno il cavalo impara l’aiuto verbale. Il cavaliere deve anche ricordare che poiché il cavallo non capisce cosa significa la parola “whoa”, ma la impara come segnale, dev’essere sempre pronunciata con lo stesso tono ed altezza. Gridare “whoa” non farà fermare il cavallo più velocemente, è solo il tono appreso che ha un significato per il cavallo. Nel dressage gli aiuti vocali non sono utilizzati. Piuttosto, quando il cavallo ha imparato a rispondere ad aiuti di redine e/o di gamba più leggeri, diventano più consapevoli delle associazioni con variazioni di assetto e di peso che naturalmente avvengono insieme agli aiuti di redine e di gamba se la posizione del cavaliere è corretta. Queste risposte sono apprese attraverso il condizionamento classico poiché gli aiuti di assetto e di peso cadono appena prima e contemporaneamente agli aiuti di redine e di gamba. Analogamente durante l’addestramento del cavallo alla longe, il cavallo impara a rispondere agli aiuti vocali. Tuttavia il fatto che l’addestratore abbia bisogno di tenere la frusta lunga in mano testimonia il fatto che il condizionamento classico ha un effetto piuttosto fragile. L’associazione degli aiuti di voce, di assetto e di peso è facilmente dimenticata e richiede di essere rinfrescata con gli aiuti primari di redini e di gambe e, nel caso del lavoro alla longe, della frusta.
Il lavoro di Pavlov ha suggerito che il condizionamento classico non richiede nell’animale alcun tipo di visualizzazione o di comprensione di u evento futuro per funzionare – semplicemente richiede che l’ordine di presentazione sia quello giusto. È questo il motivo per cui il condizionamento classico può essere documentato  altrettanto bene nei vermi o nelle mosche e nell’uomo. Se il rumore dell’acqua che scorre vi fa venire voglia di andare al bagno, quello è condizionamento classico. Se rispondete ai semafori e agli altri segnali stradali in modo inconsapevole, semplicemente facendolo –  è condizionamento classico. La vita degli animali è piena di associazioni che si sono formate e che si stanno formando fra vari segnali ed eventi. L’acquisizione di segnali che predicono gli eventi rende la vita prevedibile e controllabile dagli animali. Il meccanismo si è evoluto per aumentare l’efficienza dell’interazione fra l’animale e l’ambiente. Ogni  evento ambientale che coincide con un segnale noto sarà rapidamente tesaurizzato come nuovo segnale. Quindi, il rumore di cespugli che frusciano che precede l’apparizione di un predatore  (e che scatena la reazione di fuga in un cavallo) diventa rapidamente un segnale che indica di scappare via.
PREVEDIBILITÀ
L’addestramento dei cavalli si collega a questa nozione di prevedibilità in un modo molto ben definito. La ragione per cui vogliamo porre tutte le reazioni di un cavallo addestrato sotto il controllo di aiuti leggeri non è solo la nostra convenienza e pigrizia –  è il benessere mentale del cavallo. Il cavallo ha bisogno di segnali non invadenti, privi di dolore per tutti i suoi movimenti sia che sia portato a mano o sia cavalcato. I buoni allenatori e addestratori conoscono da lungo tempo sia l’importanza della leggerezza degli aiuti, che il fatto che se il cavallo ha bisogno di pressioni più forti per motivarlo a fare qualcosa, tuttavia queste pressioni più energiche devono essere sempre precedute da aiuti leggeri. Ma sono stati gli scritti di Piet Wiepkema, scienziato cognitivista olandese, che mi hanno fatto capire per la prima volta il rapporto fra il benessere animale e la natura e la costanza dei segnali che incontra nella sua vita. Pensateci per un po’: l’esistenza di ogni animale implica la trasmissione e la ricezione di segnali e/o di “pressioni” dal suo ambiente. I segnali o “pressioni” che hanno significato in relazione con l’ambiente al fine di raggiungere benefici per sè sono innati o appresi, e quelli che riceve dall’ambiente provengono dal mondo fisico o da quello comportamentale (compresi i segnali che provengono dal cavaliere o dal conducente). Negli animali si è evoluta la capacità di offrire e di imparare risposte a segnali leggeri e non opprimenti in modo da non dover sopportare un’intera vita di eventi dolorosi o imprevedibili come un attacco improvviso da un altro cavallo durante un battibecco per il cibo o per le femmine o anche per prevedere l’attacco di un predatore.  Per esempio, i cavalli imparano presto che prima di attaccare un cavallo porta indietro le orecchie.  [NDT:  pensate al significato di “comprendere” (prendere insieme) e di “understand” (stare sotto)!]
LA REGOLARITÀ
Gli animali sono quindi capaci di imparare i segnali che circondano tutti gli eventi che non solo anticipano cose spiacevoli ma anche fatti gradevoli, come l’arrivo di una persona con la carriola – significa cibo in arrivo.  Wiepkema dimostrò che la misura della frequenza con cui uno specifico segnale anticipa un particolare evento è indirettamente proporzionale al livello di stress nell’animale. Se il segnale anticipa sempre lo stesso evento, l’animale è rilassato nella sua riposta al segnale. Pensate alla vostra vita quotidiana. Quello che vi tranquillizza (o no) come adulto è il fatto di aver trovato (o no) modi, generalmente usando il linguaggio, di controllare le vostre risposte agli altri e di controllare il comportamento degli altri. Tutti gli organismi hanno bisogno di rendere il proprio ambiente prevedibile. Meno il mondo è prevedibile e controllabile, più mostreranno stress e tensione. Nell’addestramento dei cavalli, la prevedibilità si ottiene insegnando al cavallo a rispondere nella stessa maniera a un aiuto leggero per ciascuna risposta (fermo,avanti, gira e cedi di gamba). Rispondere allo stesso modo significa rispondere:
• immediatamente a un aiuto leggero,
• mantenendo autonomamente ritmo e tempo,
• mantenendo autonomamente la direzione,
• mantenendo autonomamente il contatto e la postura,
• con impulso,
• con tutte le precedenti caratteristiche dovunque e sempre.
Quindi, quando esaminate le qualità sopra elencate degli aiuti di redine e di gamba, dovete rendervi conto che ogni risposta richiede lo sviluppo di molte proprietà. Queste proprietà devono essere insegnate ad una ad una come vedremo in un articolo successivo.
Questo è il motivo per cui un addestramento corretto del cavallo è sempre finalizzato alla produzione di un insieme costante di risposte ogni volta che viene dato un aiuto, invece di ottenere un insieme casuale di varie risposte scorrette. La scala di addestramento tedesca è il tentativo umano meglio conosciuto di insegnare la costanza del risultato nell’addestramento equestre. Quello che non è ben conosciuto in alcuna disciplina equestre è che i cavalli problematici sono il risultato di difetti di costanza nella risposta agli aiuti. Piuttosto, chi si occupa dei cavalli descrive  l’addestramento in termini di “desiderio di far  piacere” piuttosto che di risposte agli aiuti.  I cavalli sono frequentemente descritti come “dispettosi”, “cattivi”, “stupidi” o “focosi” piuttosto che usando dei termini che descrivono cosa le gambe fanno o non fanno in risposta agli aiuti.
PRIORITÀ DEI SEGNALI
Nell’addestramento dei cavalli è importante rendersi conto che i segnali anno una priorità. negli stadi veramente iniziali dell’addestramento, il cavallo impara a rispondere alle pressioni, come la pressione della longhina nel condurlo a mano, e la pressione con entrambe le gambe sotto la sella significa di andare avanti mentre la pressione applicata attraverso le  redini significa di rallentare. Tuttavia, i buoni addestratori garantiscono che nel momento iniziale di ogni pressione di redini o  di gamba, vi sia una pressione molto leggera di quel particolare aiuto. Questo accorgimento è conosciuto da secoli ed è descritto minutamente nella letteratura di addestramento classica. Questo aiuto leggero è quindi il primo segnale che il cavallo impara nel lavoro a terra e nel lavoro montato per le azioni di avanti, ferma, gira e cedi la gamba. Il cavallo apprende attraverso il principio Pavloviano (il condizionamento classico) a rispondere alla versione leggera degli aiuti.
Inoltre, durante questo addestramento il cavallo  impara anche, nuovamente attraverso il principio di Pavlov, a rispondere ai segnali di assetto, di peso e di posizione, associati agli aiuti leggeri di mano e di gamba. I cavalli imparano questi aiuti  con facilità , e talora sfortunatamente molto prima di aver imparato a fondo le pressioni che in effetti obbligano alla risposta. Troppe persone si affidano agli aiuti di assetto o di posizione e dimenticano di approfondire o di mantenere i segnali fondamentali di redine e di gamba. Quindi, imparare a rispondere alle pressioni e agli aiuti leggeri dovrebbe sempre precedere ogni confidenza negli aiuti di assetto o  di posizione. Quando la risposta agli aiuti di assetto e di posizione comincia a mancare o  semplicemente richiede troppo tempo per funzionare e il cavallo non risponde più come dovrebbe, rapidamente dimentica totalmente questi aiuti, come Pavlov aveva previsto.  Pavlov ha scoperto che una riposta condizionata viene soppressa se lo stimolo si dimostra “falso” troppe volte. Se l’aiuto di assetto non produce una risposta affidabile, il cavallo smetterà di rispondere a quell’aiuto. Lo stesso vale per gli aiuti di gamba e di mano – se non funzionano, deve immediatamente essere utilizzata la pressione motivante. È come se il cavallo dicesse: “per favore, non usare una pressione di livello 6, lo farò con un aiuto leggero”. Usare il livello giusto di pressione è un’abilità essenziale nell’addestramento dei cavalli – non troppo e non troppo poco.  Sorgono problemi anche quando il cavaliere mantiene la piccola pressione dell’aiuto leggero quando il cavallo ha già risposto. Il cavallo si desensibilizza all’aiuto leggero.
PERDITE DI PREVEDIBILITÀ
Tuttavia, il problema con il cavallo che si è desensibilizzato agli aiuti per qualsiasi ragione non è solo che perde la sua risposta ai segnali leggeri. C’è un alto prezzo che spesso va pagato per questo, e si chiama comportamento conflittuale. Il conflitto comprende comportamenti di fuga (ossia veloci) come lo scarto, la fuga, lo sgroppare, l’impennarsi e il sobbalzo. Accompagna anche questioni di benessere e di salute che comprendono il peggioramento degli attacchi di colica, la soppressione immunitaria, alterazioni ormonali e una condizione fisica scadente. Il comportamento conflittuale nasce dallo stress che avviene alle perdite, secondo il punto di vista del cavallo, della prevedibilità e della controllabilità del suo universo comportamentale. Il cavallo tenta di sfuggire alla situazione stressante.
Il comportamento conflittuale può anche sorgere quando l’addestratore non si pone con coerenza lo stesso obiettivo come risposta ad un aiuto. Quando tutte le caratteristiche di ogni risposta (ritmo, direzione ecc) risultano automatiche per ogni aiuto leggero, il cavallo si rilassa perchè l’aiuto predice una risposta precisa. Il mondo del cavallo diventa a questo punto prevedibile. Anche la vita generale del cavallo diventa più calma – manifestazioni come l’ansietà da separazione spariscono come altre tendenze al nervosismo. Questo dipende dal fatto che, contrariamente a quando le risposte sono più casuali e meno precise, il cavallo è a questo punto in grado di “leggere” gli uomini. Questo permette, più di qualsiasi altra cosa,  di stabilire quello che viene chiamato rapporto e fiducia fra i cavalli e gli uomini. Il cavallo non è più insicuro, nitrendo ai suoi compagni come per gridare: “Aiuto, non capisco gli umani, c’è qualcuno laggiù?”. Pensateci. Vi capita mai che una piccola pressione con le gambe provochi una riposta corretta mentre una sgambata produce una risposta opposta, per esempio un rallentamento o un comportamento “piggy”?
I cavalli obbedienti, ben addestrati, sono come i cani obbedienti, ben addestrati – semplicemente non  sfuggono e non si lasciano controllare dall’ambiente. Sono “negli aiuti”. Naturalmente ci si può aspettare che i cavalli giovani che escono per le primissime volte siano nervosi, ma dopo circa cinque volte dovrebbero diventare indifferenti a nuovi ambienti se sono negli aiuti e se le loro risposte sono costanti.

RINFORZO POSITIVO
Ci sono molte associazioni che introduciamo nel repertorio di segnali del cavallo. Uno dei più importanti è l’acquisizione di un  premio verbale come “Bravo” [in inglese si usa il Good boy=Bravo ragazzo] . Pochi riflettono a come il cavallo acquisisce questo segnale come un rinforzo positivo, e quindi pochi cavalli rispondono a questo rinforzo in  modo adeguato. Riteniamo che il cavallo capisca cosa intendiamo, come se il cavallo avesse qualche tipo di vocabolario inglese innato nella sua testa.
Poiché i comandi verbali devono essere appresi, devono essere associati a un rinforzo positivo, come cibo o una grattatina o una carezza alla base del garrese (un’area che ricercatori francesi hanno dimostrato essere in grado di rallentare la frequenza cardiaca più di ogni altra). Siccome la base del garrese è così vicina alle mani del cavaliere, una grattatina/una carezza in questa zona è il rinforzo positivo più utile. Per insegnare al cavallo a rispondere al “Bravo” la parola dev’essere pronunciata immediatamente prima e contemporaneamente al contatto. La parola e il tono dovrebbero essere sempre gli stessi. Presto la parola diventa capace di evocare lo stesso rilassamento che proviene dal contatto alla base del garrese. Di tanto in tanto la parola dovrebbe essere ri-associata al contatto fisico.
TEMPISTICA PRECISA
L’aiuto leggero dovrebbe essere strettamente collegato all’aiuto più forte che lo segue. Non dovrebbe essere separato dal momento in cui arriva il secondo da un intervallo di tempo. Nell’addestramento del cavallo, l’intervallo fra l’aiuto leggero e la pressione più forte dovrebbe essere lo stesso dell’intervallo fra una battuta e l’altra del ritmo dell’andatura – tutte le risposte dovrebbero essere fornite nell’arco di tre tempi. In altre parole la pressione più forte arriva molto rapidamente dopo l’aiuto leggero. In una frazione di secondo dovete decidere se il cavallo ha risposto in modo soddisfacente all’aiuto leggero, e se non l’ha fatto farlo seguire dalla pressione più forte che è successivamente rilasciata nell’istante in cui il cavallo fornisce la risposta corretta. Questo è il modo in cui il cavallo impara in modo ottimale l’aiuto leggero, e quest’ultimo rapidamente evoca la risposta corretta senza alcun incremento nella pressione dell’aiuto. Si tratta dello scopo dell’intero addestramento del cavallo – trasformare rapidamente  l’addestramento basato sulla pressione-rilascio  nell’uso della versione più leggera della pressione, e successivamente di trasformare questi aiuti in aiuti di assetto, di peso e di posizione. Attraverso un accurato addestramento ripetitivo, alla fine il cavallo impara profondamente le sue risposte agli aiuti leggeri in modo da poter evitare completamente le pressioni più forti.

IL PRINCIPIO DEL MODELLAMENTO
Articolo pubblicato su The Horse Magazine , Novembre 2004 – Autore: Andrew Mc Lean.

Le risposte devono essere progressivamente perfezionate fino ad arrivare al risultato finale.
“Modellamento” è un termine usato in psicologia comportamentale e compreso dagli addestratori di animali di varie specie. Riguarda la focalizzazione e il premio alle risposte, seguito dall’aggiunta passo passo di perfezionamenti fino alla risposta finale desiderata. Un delfino da spettacolo, per esempio, è addestrato progressivamente non solo a saltare fuori dall’acqua, ma anche ad aggiungere un paio di di capriole e di farlo contemporaneamente ad altri delfini che fanno la stessa cosa. Senza modellamento questo è impossibile. Nella mia interpretazione del modellamento per quanto riguarda l’addestramento dei cavalli, dovreste prima ottenere il controllo degli arti in termini di obbedienza (una risposta immediata e conseguente a un aiuto leggero), poi insegnare il ritmo, poi la direzione ed infine il portamento o la posizione della testa. In conclusione, la cosa importante è la regolarità delle risposte che derivano dagli aiuti. Non ha importanza che voi state addestrando western, monta da lavoro australiana o dressage – un cavallo ben addestrato fornisce risultati regolare dopo l’applicazione di aiuti. Questo si attua spezzettando tutti gli elementi dell’addestramento in unità di apprendimento singole e successivamente costruendo su di esse. Ognuna dev’essere consolidata per conto suo. Questo significa ripetere e ripetere finché il cavallo offre la stessa risposta allo stesso aiuto ogni volta. Poi ci si sposta al successivo gradino e si insegna l’unità di addestramento successiva, la si consolida e così di seguito. Alla fine otterrete il risultato finale.
In un cavallo addestrato, non è sufficiente che quando premete le gambe vada avanti nel modo che preferisce. Dovete gradualmente modellare il suo comportamento insegnando un aspetto della risposta alla volta. Nelle fasi più iniziali dell’addestramento, un cavallo potrebbe andare avanti con un ritardo variabile e solo dopo un aiuto pesante. Potrebbe essere pesante sulle mani e tendere ad accelerare; potrebbe essere storto,  con la testa alta e la schiena incavata, potrebbe tirare uno o due calci e scuotere la coda. Quindi il discorso è quello di creare una scala di priorità in tutte le caratteristiche fini di ognuna delle risposte che volgiamo, e di aggiungerle a una a una. L’addestramento passo passo è essenziale perchè il cavallo stesso impari a ripetere le risposte corrette attraverso molte ripetizioni. Quando i cavalli danno una riposta errata, non possiamo pretendere che sappiano qual’è quella giusta. Solo voi lo sapete. Insegnare troppe cose allo stesso tempo mette il cavallo nell’incertezza su quale risposta fornire in un determinato momento.  Concentrarsi su un aspetto isolato di una risposta permette al cavallo di afferrare rapidamente qual’è la riposta giusta. È  anche essenziale che noi insegniamo le cose in un determinato ordine. L’ordine in cui insegniamo le cose è tale per cui un elemento costituisce il fondamento per la costruzione del successivo.
Gustav Steinbrecht (1808-1885), una delle massime autorità della tradizione equestre tedesca, era di una assoluta chiarezza riguardo all’importanza del modellamento. Affermava che l’insegnamento degli esercizi non deve essere affrettata e che dovrebbe “procedere da un passo al successivo in modo che l’esercizio precedente sia sempre un fondamento solido per il successivo. Le violazioni a questa regola  presenteranno sempre il conto in seguito; non solo con la perdita di un tempo tre volte maggiore, ma molto frequentemente con l’insorgenza di resistenze, che per molto tempo, se non per sempre, interferiranno nel rapporto fra cavallo e cavaliere”.  Fareste forse bene a rileggere questa frase una seconda volta. Steinbrecht non ha scritto questo come una frase usa e getta. Sottolineava con forza questo aspetto critico del modellamento e ogni scienziato comportamentista sottoscriverebbe il suo avvertimento. Tuttavia un numero insufficiente di addestratori costruiscono l’addestramento su una qualsivoglia base logica. Ai giorni nostri, la prima cosa che la maggior parte di noi desidera è abbassare la testa del cavallo e arrotondarlo. Questo non ha senso finché le gambe del cavallo non sono sotto controllo. Inoltre, forzare l’abbassamento del collo e l’arrotondamento del profilo è come disegnare un sorriso sul volto di una persona miserevolmente depressa. Il profilo di un cavallo rispecchia il suo stato d’animo.  Quando un cavallo è in un vero “self-carriage” in termini di ritmo, contatto e impulso, tende ad arrotondarsi da solo. Sento ancora le parole di  Michel Henriquet: “Il collo e la testa del cavallo sono una conseguenza delle sue gambe – non può essere altrimenti”.
Nel ventesimo secolo, un tale di nome  Haungk ha sviluppato la scala di addestramento tedesca.  Si è evoluta dagli insegnamenti del maestro italiano Caprilli, dal maestro francese  de la Guérinière, dalle tradizioni della scuola di  Hanover e dagli insegnamenti dei maestri tedesci  von Weyrother, Seegar, Seidler e Steinbrecht. La scala di addestramento tedesca è una scala progressiva che comprende questi gradini:
1. Ritmo,
2. Scioltezza,
3. Contatto e accettazione dell’imboccatura,
4. Impulso, 
5. Direzione,
6. Riunione.
La scala di addestramento tedesca è un passo avanti di grandissimo significato nello sviluppo pratico e torico dell’addestramento dei cavalli. Dopo che era stato teorizzata all’inizio del ventesimo secolo, i tedeschi hanno ottenuto impareggiabili successi olimpici sia nel dressage che nel salto ostacoli, e una parte preponderante di questo successo dev’essere un risultato del loro approccio sistematico all’addestramento.
Ben prima che fosse pubblicata la scala di addestramento tedesca, il francese Francois Baucher aveva sviluppato la sua propria scala di addestramento, parte integrale del suo “secondo metodo”. Sfortunatamente era stato già invitato in Germania, dove il suo primo metodo (un po’ fallimentare confrontato al secondo) era stato sonoramente rifiutato.  Louis Seegar e altri noti addestratori tedeschi non furono ben impressionati dal grande maestro Baucher. I tedeschi criticavano l’uso costante degli aiuti di Baucher, soprattutto degli speroni, che attribuivano al contatto di redini troppo scarso. La cosa peggiore era che i suoi cavalli erano troppo sugli anteriori.  Uno dei grandi passi avanti nell’evoluzione del sistema di addestramento tedesco era l’innalzamento della nuca del cavallo che rendeva il movimento “elastico”, soprattutto quando combinato con le mezze fermate e le transizioni. Baucher insisteva anche sul punto che le mezze fermate dovevano coinvolgere le gambe del cavaliere prima delle redini, tuttavia  Seegar (l’istruttore di Steinbrecht), non era d’accordo. Quando il cavallo è già in avanti ed è addestrato all’aiuto di redini in modo che queste possano farlo “sedere” allora le redini possono essere utilizzate per iniziare una mezza fermata prima delle gambe. Tuttavia c’era un altro motivo nel rifiuto di Baucher da parte tedesca.  In quei giorni, l’addestramento equestre era in gran parte una pratica di militari e del ceto ricco.  Baucher non era nessuna delle due cose, proveniva da una classe che lavorava e, cosa ancora peggiore, dal circo.
Nel frattempo Baucher fu vittima di un grave incidente mentre cavalcava in un maneggio. Un gigantesco candeliere gli crollò addosso ferendolo così gravemente da non permettergli di cavalcare in pubblico mai più. Ci vollero anni perchè si rimettesse. Tuttavia quell’incidente ebbe un seguito  positivo. Gli diede il tempo di riflettere e di sperimentare con i suoi allievi, e qualche tempo dopo presentò il suo secondo metodo. Questo era molto più degno di un grande maestro, e si curava dei primi stadi dell’addestramento. Tuttavia, Baucher non pubblicò mai il suo secondo metodo, e verosimilmente l’unico scritto che fornisce una accurata descrizione di questo metodo è la sua descrizione pubblicata nel 1891 da uno degli allievi di Baucher,  Francois Faverot de Kerbrech. De Kerbrech descriveva  Baucher come un “grande scienziato” riferendosi all’attenzione che Baucher dedicava all’osservazione e alla sperimentazione.
Baucher probabilmente ha imparato alcune importanti lezioni dalle sue relazioni con altri grandi addestratori come Seegar, e certamente il suo secondo metodo ha scarse somiglianze con il suo primo metodo. Baucher aderì alla massima “mano senza gamba, gamba senza mano” e quindi evitò l’effetto confondente della combinazione che distrugge tanti cavalli ai nostri giorni. Inoltre Baucher sembrava aver compreso il processo di rinforzo negativo e la conseguente importanza del rilascio della pressione. Insisteva sull’importanza che l’addestramento a terra seguisse gli stessi principi di quello dalla sella, ancora una volta qualcosa che raramente appare nei manuali di dressage odierni.  Gli scritti di De Kerbrech indicano che il secondo metodo d Baucher incorporava il modellamento delle risposte aderendo ad un insieme di criteri ordinati in una scaletta di addestramento. Essi erano i seguenti:
1. Addestrare e conformarsi alla leggerezza
2. Ottenere l’obbedienza alle gambe
3. Ottenere la direzione diritta
4. Ottenere che il cavallo si abitui a lavorare senza il sostegno degli aiuti
5. Ottenere la riunione e l’ingaggio.
Nel sistema che abbiamo sviluppato, nato principalmente dall’esperienza nel riaddestramento, noi seguiamo il seguente programma di modellamento per l’addestramento di base, per l’addestramento e per il riaddestramento:
1. Tentativo di base – il cavallo è ricompensato per qualsiasi buon tentativo che assomigli alla risposta corretta. Questo vale per i cavalli che non sanno o non vogliono offrire nemmeno un risposta grossolanamente corretta all’aiuto.
2. Obbedienza – il cavallo è reso più “deciso”, ossia la risposta viene iniziata immediatamente e completata entro tre battute del ritmo dell’andatura.  Questo comporta la trasformazione dei segnali da una pressione a un aiuto leggero. Perdite di obbedienza avvengono a tutti i livelli dell’0addestramento e sono associate alla maggior parte dei problemi comportamentali dell’equitazione.
3. Ritmo – il cavallo si muove all’interno e all’esterno delle transizioni con battute di regolare durata entro le tre battute. Il ritmo è auto-mantenuto (mantenimento della velocità di crociera) e il avallo è capace di allungare e di accorciare il passo ad ogni andatura.
4. Direzione diritta – essenzialmente è un aspetto più profondo del ritmo. In cavallo piegato è un cavallo in cui gli arti hanno una spinta diversa – ossia, non sono nello stesso ritmo e nella stessa spinta. Un cavallo piegato quindi tende a spostarsi in una direzione o nell’altra, in funzione del fatto che cada verso l’esterno o l’interno, a meno che non venga ricondotto sulla linea dal cavaliere. Il cavallo deve imparare a mantenere la propria direzione diritta. di avanzamento.
5. Contatto – anche se il cavallo è già in contatto durante l’intero addestramento, a questo punto è in una condizione che permette un ulteriore perfezionamento perchè le sue gambe sono ormai sotto controllo completo. È a questo punto che vengono sviluppati gli aspetti finali del profilo, in base allo stadio di addestramento del cavallo. Nei primi stadi il cavallo impara a allungare il collo man mano che si allunga il passo flessione longitudinale); poi impara a girare con una flessione laterale e infine impara la flessione verticale attraverso l’azione “gamba interna verso la redine esterna” [NDT: ??].
6. Ingaggio – mediante le transizioni verso l’alto e verso il basso il cavallo impara ad abbassare i quarti (a sedersi). e le transizioni sono mantenute entro le tre battute del ritmo allora  il cavallo sviluppa impulso e potenza e nel tempo sviluppa una muscolatura più forte.
7. Affidabilità – Questo significa che le risposte  con tutte le qualità precedenti avvengono dovunque e sempre, ogni volta che al cavallo viene dato un aiuto. Naturalmente l’affidabilità è qualcosa che compare continuamente, nel senso che ogni giorno le condizioni di addestramento cambiano. Tuttavia occorre notare che ambienti problematici vengono affrontati solo dopo aver consolidato un buon lavoro a casa. Quanto il cavallo sopporta ambienti diversi è una cosa che rispecchia direttamente la qualità e il consolidamento del lavoro a casa.
Lavoro a terra
Il modellamento ovviamente non si applica solo al lavoro dalla sella – è anche essenziale nel lavoro a terra. Per quanto riguarda la mia esperienza, un cavallo bravo da montato ma meno bravo a mano è una bomba a orologeria. Spontaneamente le confusioni e le contraddizioni in un’area dell’addestramento infetteranno l’altra. Idealmente, il lavoro a terra dovrebbe seguire la stessa scaletta di addestramento di quello montato. Un cavallo adeguatamente addestrato dovrebbe poter essere condotto a mano senza forti pressioni sulla longhina ma solo con aiuti leggeri, senza precipitarsi e senza bloccarsi, senza premere  sulla capezza (ossia, andando diritto) e con una posizione della testa corretta, ossia con la nuca appena sopra il garrese. Dovrebbe andare anche all’indietro mantenendo le stesse qualità del comportamento. Dovrebbe rimanere immobile quando fermato. Alcuni addestratori guidano i cavalli con le redini lunghe per migliorare vari aspetti dell’addestramento. Vince Corvi è un australiano compreso fra gli istruttori con capacità di utilizzare le redini lunghe in modo molto raffinato ed efficace. Guidare i cavalli con la doppia redine richiede una vera abilità e sfortunatamente la maggior parte delle persone che usano questa tecnica permettono che comportamenti scorretti e tensione siano incorporati nel loro lavoro.
Il lavoro a terra era visto come essenziale dal maestro tedesco del XIX secolo, E.F. Seidler. Seidler si era specializzato nella riabilitazione e nell’addestramento di cavalli polacchi abbastanza selvatici usati dalla cavalleria tedesca a Schwedt e successivamente  a  Hanover. Usava il lavoro alla corda per correggere  “cavalli viziati e maliziosi che mettono in pericolo il cavaliere impennandosi, sgroppando, facendo balzi pericolosi  e usando altre tattiche pestifere… perchè l’esperienza insegna che chi padroneggia a fondo il lavoro a terra porta il cavallo in pochi mesi a un livello di addestramento più alto di quello che potrebbe fare cavalcando in un periodo più lungo”.
Permettere al cavallo di sbagliare
Siccome l’addestramento dei cavalli comporta l’uso dell’imboccatura e degli aiuti in avanti, c’è la tentazione di prevenire gli errori del cavallo durante l’addestramento. Tuttavia è sbagliando che l’animale impara, attraverso il rinforzo, qual’è la risposta giusta e quale la risposta sbagliata. Come ho ricordato prima, l’addestramento non è e non dovrebbe essere mantenere un cavallo in una specie di partita di lotta libera fra le gambe e le mani, ma piuttosto dovrebbe insegnare al cavallo ad andare per conto suo. A mano molti cavalli non stano fermi quando gli viene richiesto. Spesso allora la gente ricorre ad ogni tipo di attrezzi per ottenere questo risultati. Piuttosto, tutto quello che vi serve è di allentare la longhina, lasciarlo commettere l’errore di muoversi e poi correggerlo – rimettendolo immediatamente indietro nel punto in cui era, allentando nuovamente la longhina. In parte la ragione  di questo è che le persone non permettono al loro cavallo di sbagliare e di imparare quello che può fare e che non può fare. Invece, tengono sempre tesa e fortemente impugnata la loro longhina.
Addestramento significa premiare “ogni buon tentativo”.
Nell’insegnare l’allungamento al passo o al trotto, la gente spesso ha paura di permettere al cavallo di accelerare il suo ritmo, perchè l’allungamento consiste nel mantenere il ritmo aumentando l’ampiezza del passo. L’andatura più allungata aumenta la velocità del corpo del cavallo senza aumentare la velocità del movimento delle gambe. Molti cavalli offrono piuttosto un movimento delle gambe più veloce insieme all’allungamento, o al suo posto. In definitiva l’aumento del ritmo è giusto almeno a metà, perchè il cavallo ha accelerato. Se a un cavallo è permesso di accelerare il ritmo mentre comunque lo si spinge ulteriormente avanti, presto allungherà il passo. Allora gli aiuti devono cessare finché non perde il passo allungato, e allora riapplicati  per ottenerlo di nuovo. La lunghezza si svilupperà dalla velocità perchè l’aumento di velocità degli arti è un meccanismo inefficiente in tutti i quadrupedi.  È molto più facile per un animale ottenere una velocità di spostamento più veloce con andature lunghe piuttosto che con andature rapide. Transizioni obbedienti fra andature allungare e accorciate creano il ritmo.
Perchè ricercare la regolarità o l’uniformità?
Quando l’addestramento è completato, volete  che il cavallo esegua il movimento nello stesso modo, ogni volta che voi schiacciate il pulsante, ossia voi volete che tutti gli elementi di una risposta corretta, obbedienza, ritmo, direzione, adeguata postura e impulso. L’insieme di queste caratteristiche implica un controllo completo del corpo dell’animale. In altre parole, non c’è parte del corpo che possa fare quello che vuole. La regolarità, vedete, non è solo un desiderio dei cavalieri,  è anche un bene per lo stato mentale del cavallo. Il professore olandese  Piet Wiepkema descrive che la regolarità delle risposte dopo gli stimoli è elemento critico per il benessere mentale di un animale. Tutti gli animali,uomo compreso, si sono evoluti per diminuire lo stress quando le risposte agli stimoli sono regolari, e per aumentare lo stress quando non lo sono. La fiducia vera comincia quando un animale può “leggerne” un altro – quando la risposta a uno stimolo è prevedibile. Questo dà agli animali (e all’uomo) controllo e sicurezza  riguardo al loro ambiente e alle risorse disponibili. In termini evoluzionistici, è un modo per eliminare gli individui poco adattati che sviluppano stress cronico. Non c’è niente di peggio dell’imprevedibilità degli altri per aumentare il vostro livello di stress. Non sorprende che più regolarmente in aiuto porta a una risposta costante, maggiore è la calma del cavallo. In altre parole, la perdita di costanza e di uniformità negli animali (e nell’uomo!) porta a uno dei tre stati seguenti: aggressione, tensione o torpidità. I comportamenti  determinati da tensione e da aggressività comprendono l’aggressione verso l’uomo e gli altri cavalli, lo scarto, la sgroppata, l’impennata e lo scatto. Gli stati di conflitto cronico hanno anche profondi effetti sulla fisiologia e sul sistema immunitario del cavallo, e possono determinare ulcere, coliche, stati “catabolici” (cavalli a basse prestazioni e di aspetto emaciato) e perfino automutilazioni (da morso su se stessi). Un buon addestramento è una buona cosa per un cavallo; un cattivo addestramento può essere una sentenza di morte.

IL PRINCIPIO DEL SELF CARRIAGE
Articolo pubblicato su The Horse Magazine, Gennaio 2005 – Autore: Andrew Mc Lean.
Il cavallo deve lavorare a terra e montato libero da qualsiasi pressione costante di redine o di gamba,  altrimenti Diventerà insensibile agli aiuti. A prima vista, il concetto del self-carriage sembra abbastanza semplice. Significa che il cavallo deve mantenere da sè il suo ritmo, il suo tempo, la direzione, il profilo, il contato di redine e di gamba e l’impulso. Implica quindi che il cavallo non dovrebbe occasionalmente o costantemente  accelerare, rallentare, alzare o abbassare la testa, allungare o accorciare il collo, sfuggire dalla gamba del cavaliere o cadere su un anteriore. Il fatto che il cavallo sia veramente in self-carriage non significa che mantenga solo il suo profilo, come la maggior parte dei cavalieri pensano. Nè  significa che il cavaliere debba continuamente mantenere nel cavallo tutte le qualità del movimento richieste – è il cavallo che dev’essere addestrato a mantenerle da solo. La conservazione autonoma della risposta del cavallo agli aiuti è una caratteristica nota da secoli ed è centrale nell’equitazione classica ed accademica. Soprattutto, è centrale nel benessere mentale del cavallo. Nel dressage dei nostri giorni tende a essere un sogno più che la realtà,
perchè c’è poco accordo sulla leggerezza e sulla misura nella quale il cavallo dovrebbe restare in self-carriage. Tuttavia il self-carriage è fondamentale per prestazioni di successo nella maggior parte delle discipline equestri. Anche nella corsa, particolarmente sulle distanze maggiori, è sempre meglio che il cavallo mantenga autonomamente la sua velocità e la sua direzione piuttosto che avvenga un costante lotta per il controllo della velocità di crociera o di essere costantemente tirato con una redine.
Contatto
La cosa in cui il dressage differisce da quasi tutte le altre pratiche equestri è il contatto costante delle mani e delle gambe con la bocca e il corpo del cavallo. Questo contatto è necessario per mantenere un canale di comunicazione diretto per piccoli cambiamento nella mobilità, e ha un effetto rilassante, se insegnato correttamente, perchè le redini e le gambe non vengono applicate improvvisamente con un attacco a sorpresa. Piuttosto, il flusso dei segnali permette che i movimenti si realizzino all’interno del naturale ritmo dell’andatura quadrupede dell’animale,  e iniziano sempre con un leggero aumento della pressione (l’aiuto leggero).
Quanto è troppo?
Quanto contatto è troppo? Per esplorare questo punto abbiamo bisogno di vederlo dal punto di vista del cavallo. La bocca è un organo molto sensibile, e lo è ancora di più in un brucatore selettivo come il cavallo. Siccome gli aiuti di redini e di gamba sono imparate in un modo completamente diverso dagli aiuti di assetto e di peso (i primi attraverso il rinforzo negativo, e i secondi mediante condizionamento classico), per ragioni molto importanti è critico che il processo di rinforzo negativo, o meccanismo pressione-rilascio, sia imparato correttamente prima di ogni altra cosa. Non è un problema che brevi momenti di pressione più forte vengano utilizzati nelle prime fasi dell’addestramento alla risposta alle redini e alle gambe, ma è critico che  queste vengano rilasciate istantaneamente quando il cavallo fornisce la risposta giusta.  Questi processi di pressione-rilascio sono centrali nell’addestramento al self-carriage. Tuttavia, se durante l’addestramento si commettono errori e si permette al cavallo di sopportare troppo a lungo un contatto più forte, o se un  contatto di redini e di gambe troppo forte viene mantenuto contemporaneamente, entrambi smettono di funzionare e il cavallo viene lasciato in uno stato di dolore persistente causato dal morso e dalle gambe (speroni)
Comportamento conflittuale
Negli animali il dolore costante, contrariamente a una modesta scomodità, non è mai tollerato senza che si debba pagare un prezzo nel comportamento del cavallo, nel suo benessere mentale o perfino nella sua fisiologia. Il cavallo comincia ad esprimere quello che è noto come comportamento conflittuale. Nel breve periodo il cavallo pò manifestare tensione e/o mostrare comportamenti difensivi come impennarsi e sgroppare. Può cominciare a scartare o a mostrare un altro comportamento che il cavaliere erroneamente interpretano come dispettoso. Tuttavia quando il dolore è cronico, la salute del cavallo subisce dei seri attacchi. Il sistema digestivo  del cavallo può essere compromesso e ulcere e coliche sono più comuni nei cavalli sportivi che in quelli da passeggiata. Capiamo raramente che il prezzo del dolore costante può essere espresso in comportamenti attuati completamente al di fuori dal contesto originario. Il cavallo può cominciare a d andare avanti e indietro lungo il suo recinto (un tentativo di sfuggire alla situazione stressante) o a mostrare ansietà da separazione (manifestando insicurezza). Può perfino auto-mutilarsi mordendosi i fianchi o le spalle o può mordere oggetti. Tutto  ciò avviene perchè il cavallo è “preoccupato”del suo addestramento a un livello più profondo della sua coscienza.
Gestire il dolore
Negli animali c’è sempre una “zona grigia” dove il fastidio si trasforma in dolore crescente. Nelle prime fasi dell’addestramento, il contatto è leggermente fastidioso ma presto il cavallo si abitua alla sensazione del morso in bocca e alle gambe del cavaliere ai suoi fianchi. Non ci sono conseguenze negative per il benessere nell’accettare un contatto che abbia il livello di pressione corretto. Lo stesso vale per la pressione del sottopancia – il cavallo presto non ci bada più. Il dolore è una cosa completamente diversa e non è possibile farci l’abitudine senza uno stress persistente. Questo stato è noto come “disperazione appresa” e ricerche dimostrano che gli animali che ne soffrono si chiudono in se stessi. Rinunciano a tentare di dare nuove risposte nell’addestramento. I cavalli che sono sottoposti a pressione costante in bocca da morsi severi, o quelli che subiscono l’azione insistente degli speroni, sono in un evidente stato di disperazione appresa. Nell’addestramento, quindi, è di vitale importanza che i cavalli non si aspettino di essere usati sentendo dolore. Il contatto di redini e di gambe (compresi gli speroni) dovrebbe essere definito sempre come più basso della soglia di dolore dell’animale.
È ben vero che quello che un animale avverte come dolore può essere sentito come un modesto fastidio da un altro – fra gli animali ci sono differenze a seconda della loro sensibilità. Tuttavia le differenze non sono così ampie come la maggior parte delle persone potrebbe immaginare. Qualsiasi cavallo che sopporta un dolore cronico con ogni probabilità esprimerà qualche disfunzione nel suo pattern comportamentale, in relazione all’aumentato livello di ansietà. Per questa ragione va insegnato ai giudici di essere estremamente consapevoli dei segni di ansietà come l’agitare la coda e il digrignare dei denti. Sono doverose delle precise deduzioni dalle perdite di rilassamento. Dobbiamo renderci conto che man mano che il dressage si evolve (e al giorno d’oggi il movimento è premiato più dell’addestramento), non dobbiamo diventare sempre più ciechi e tolleranti nei confronti della tensione dell’animale. In effetti i codici di condotta della FEI esplicitamente citano il fatto che il benessere dell’animale è irrinunciabile. Code che si muovono morbidamente, orecchie mobili e attente e scioltezza fisica sono chiari segni di rilassamento.
Quanto peso?
Quindi, quando un contatto diventa doloroso? Ci sono pochi dati quantitativi sulla misura della pressione delle redini che il cavallo sopporta durante il lavoro montato, e meno ancora sulla pressione delle gambe o degli speroni. Per analizzare questo problema gli scienziati delle università equestri di tutto il mondo  stanno sviluppando dei misuratori di tensione. Il buon senso tuttavia suggerisce che il contatto di mano  ideale è quello in cui il morso tocca le labbra e la lingua del cavallo e forse comunica leggermente con la pelle che copre la mandibola (di certo non con la stessa mandibola). Questo comporta un peso che corrisponde alla sensazione del peso delle redini, attorno ai 200 grammi, peso delle redini compreso. Qualsiasi ulteriore pressione costituisce l’inizio di un aiuto e, quando viene applicato in modo costante, il cavallo perde qualcosa della risposta a quell’aiuto di gamba o di mano. La domanda di quanto peso costituisca un corretto contatto di redine dev’essere stabilito nel dressage. Il punto di vista francese (e barocco) sulla leggerezza deriva dal principi accademici dell’equitazione del XVIII secolo e alcuni ricercatori, il Professor Frank Ödberg e il Dott. Marie-France Bouissou, commentando l’alto tasso di perdita dei cavalli sportivi,  hanno invocato un ritorno a tali principi a causa della scomparsa della leggerezza. Non c’è semplicemente alcuna base per opporsi a questa opinione che è di grande valore.

Incappucciamento
Un altro aspetto problematico del contatto riguarda la tendenza di molti cavalli ad incappucciarsi perchè sentono il dolore da morso così insopportabile, e tuttavia restano leggeri. I cavalieri sono indotti a pensare che non ci siano problemi nel contatto, visto che il cavallo  è leggero. L’incappucciamento è un problema particolarmente rilevante nel dressage, che coinvolge insieme i giudici e gli addestratori. Quando il collo viene accorciato per evitare il dolore da morso, anche il collo patisce dolore – il collo si piega ad angolo o”si rompe” nell’articolazione C3. Il punto di rottura può essere così acuto che il collo perde la sua curvatura morbida e invece presenta una sporgenza. La criniera, quando il cavallo piega il collo, può improvvisamente restare pizzicata da una parte. Nella stessa articolazione C3, si verificano alterazioni ossee e il dolore frequentemente diventa cronico.
La lunghezza corretta del collo può essere facilmente stabilita anche a avanzati livelli di riunione: la distanza fra le mani del cavaliere ed il morso non dev’essere mai inferiore a quella fra le mani e le orecchie. L’entità corretta del contatto è importante anche per mantenere la chiarezza degli aiuti e delle risposte. Questa chiarezza è anche essenziale per il benessere mentale del cavallo. Se pensate al contatto come uno stimolo neutro, qualsiasi cosa oltre quel limite è un aiuto. Se il contatto è eccessivamente irregolare o sconfina eccessivamente nel livello normalmente utilizzato come aiuto, allora il cavallo comincia a mostrare comportamento conflittuale. Perciò, quando gli aiuti di redine e di gamba sono incostanti o vengono applicati insieme, il cavallo non solo diventa confuso, ma i segnali di fermata e di avanzamento diventano meno efficaci. Questo è il motivo per cui, per tenerli ben chiari al cavallo, i segnali di redine e di gamba non dovrebbero essere usati per risposte che non comprendono il loro scopo originale – ossia la  decelerazione e l’accelerazione.
Non ci sono cavalli dispettosi, ma solo cavalli confusi
Con i miei articoli su questa rivista ho cervato di convincere i lettori che non ci sono cavalli dispettosi, cattivi, maliziosi o carogne. Nessuno. Ci sono solo cavalli con vari livelli di confusione. Naturalmente la genetica determina la diversa  attitudine all’addestramento, ma il risultato finale dipende unicamente da voi. Abbiamo una grande responsabilità nell’usare animali in attività sportive  per nostra gratificazione personale, e come minimo dobbiamo applicare al loro comportamento il principio “innocente fino a  che non sia riconosciuto colpevole”. Dobbiamo anche accettare l’idea che potrebbe essere che talvolta noi stessi abbiamo insegnato la risposta sbagliata. Noi tutti facciamo del nostro meglio, ma caricare il cavallo della responsabilità del suo comportamento ci mette sulla strada sbagliata per quanto riguarda il modo di risolvere i problemi. L’argomento del “rispetto” è stato portato di gran lunga troppo oltre. Il cavallo che vi cammina sopra non lo fa perchè e dominante (a suo tempo la pensavo in modo diverso) o perchè irrispettoso. Semplicemente mostra che non è stato addestrato a procedere diritto, e che non è in grado di stare fermo. Pensare in termini di “rispetto” non solo è scientificamente scorretto (della ventina di etologi equini che conosco nel mondo, nessuno sostiene questo concetto) ma incoraggia anche delle misure correttive e punitive che sono del tutto fuori luogo vista l’origine del problema.
È un passo avanti il fatto che l’Australia abbia adottato in alcune prove di dressage dei test di self-carriage attraverso il rilascio delle redini da parte del cavaliere per un paio di falcate. In effetti ad ogni livello e durante ogni movimento si dovrebbe poter rilasciare redini e gambe per un paio di falcate. Il self-carriage è come la pace: non potete averne un po’ – o ce l’avete, o non ce l’avete. Affrontare il vero significato del self-carriage è il principale problema che i giudici, gli addestratori e i cavalieri hanno davanti. L’obiettivo è alto: un miglioramento della salute fisica e psichica del cavallo, una quantità molto inferiore di problemi comportamentali e un miglioramento della sicurezza del cavaliere.

IL PRINCIPIO DELLA MENTALITÀ
Articolo pubblicato su The Horse Magazine, Marzo 2005 – Autore: Andrew Mc Lean.
Capire le analogie e le differenze fra le abilità mentali dei cavalli e degli uomini è cruciale per un addestramento efficace ed umano. Noi uomini siamo una comunità collettivamente insicura. Siamo decisi, sembra, a provare che non siamo i soli esseri intelligenti. Cerchiamo forme di intelligenza nello spazio e qui sulla terra ci disperiamo nel constatare che molti altri animali, forse tutti, sono proprio come noi, ma prendono la vita un po’ diversamente.
Il cavallo è stato così importante nella storia della civiltà occidentale negli ultimi due millenni che tutte le città europee  sono adornate di statue di cavalli.  Il cavallo ha combattuto le nostre guerre, ha faticato per noi; ci ha aiutato a costruire gran parte del Nuovo Mondo. Al giorno d’oggi riempie i nostri sogni, e ancora infiamma la nostra immaginazione e ispira meraviglia in chi occasionalmente si sofferma a riflettere. I cavalli non sono solo mezzi da trasporto per passatempo – da loro ci si aspetta molto di più. Un cavallo può essere il nostro migliore amico, il nostro unico amico, nostro figlio, il nostro partner o qualcos’altro di bizzarro. Il cavallo ha tale importanza nella psiche umana che Carl Jung, il famoso psicologo svizzero, pensava che l’immagine di un cavallo evoca ne nostre tendenze più antiche e profonde. Il cavallo è sempre stato un paradosso. Come può un animale così grande e potente essere così gentile, così generoso? Se gli umani fossero stati così potenti, si può immaginare che a questo punto non ci sarebbe più un pianeta abitabile (almeno ce n’è rimasto un po’).
Somiglianze
Da un certo punto di vista non siamo molto diversi dai cavalli. Le somiglianze fra i cavalli e gli uomini probabilmente ci hanno aiutato a collaborare, nei primi tempi. Come noi, i cavalli sono esseri altamente sociali. Questo è il motivo per cui i cavalli tenuti in isolamento sono più soggetti, rispetto a quelli che vivono in gruppo,  a sviluppare comportamenti come il ticchi d’appoggio e molti altri problemi. Chiunque ha assistito a un’ansia da separazione sa anche quanto per i cavalli sono importanti gli amici. L’istinto di stare insieme è così forte che sfregare e toccare i cavalli nella zona proprio davanti al garrese rallenta il loro battito cardiaco  – questo comportamento permette di rendere i legami più saldi. È il punto migliore per fornire a un cavallo un rinforzo positivo.
Il cavallo ha anche un’eccellente memoria, per quanto per certi aspetti la loro è molto migliore della nostra. Mentre la nostra memoria è interessata dalle nostre capacità di ricordare e di ragionare, la memoria del cavallo è più stabile, probabilmente  perchè non è annebbiata dalla riflessione. Gli i ricercatori equestri  Anja Wolf e Martine Hausberger hanno documentato che i cavalli possono ricordare delle reazioni senza farne alcuna pratica per anni, e questo probabilmente dura tutta la vita. Pensare, analizzare e riflettere corrompe la memoria. Noi umani riflettiamo continuamente sulle cose che ricordiamo, tirandole fuori dal nostro “archivio”  quando ripensiamo o raccontiamo un episodio  per poi archiviarlo di nuovo. Solo che a questo punto gli episodi sono immagazzinati con qualche differenza. rispetto a com’erano. Possono essere alterali dal contesto nel quale riflettiamo (aspetti fisici, emozionali, percettivi del memento della riflessione). Al contrario, il cavallo recupera semplicemente la memoria degli eventi e dei luoghi quando è di fronte allo stimolo originale o a stili analoghi. Questo consente una memoria molto più chiara ed esatta. Ogni persona di cavalli sa che il cavallo si accorge di differenze anche piccole nel suo ambiente. Potreste dire che il cavallo ha una  memoria fotografica. Invece la gran parte di voi non sarebbe in grado di  ricordare quasi niente dell’aspetto, per esempio, di una banconota da dieci dollari (con grande gioia dei falsari!), nonostante che la vediate continuamente.  A scapito dell’addestramento, il cavallo ricorda molto meglio di voi quello che è successo e dove. Durante le lezioni avrete notato che il cavallo va meglio su un quattro del cerchio che altrove e poi gradualmente, se fate le cose giuste, l’area buona aumenta. Il fatto negativo è che il cavallo ricorda la tensione e la paura meglio di qualsiasi altra cosa.
I cavalli sono mammiferi e quindi i loro meccanismi di apprendimento sono simili ai nostri. Come noi sono abili nell’apprendimento per tentativi ed errori (l’apprendimento della reazione giusta attraverso il premio), eccellenti nel condizionamento classico (ad esempio, l’apprendimento di abitudini, segnali e aiuti) e maestri nell’abitudine (abituarsi alle cose). Possono anche imparare a generalizzare gli stimoli (alterazioni negli aiuti) e possono perfino imparare a riconoscere le categorie delle cose (basandosi sulle analogie nell’aspetto fisico). Tuttavia secondo la ricercatrice forse più eminente in questo campo,  la professoressa  Christine Nicol della Bristol University, gli esperimenti indicano che “non c’è alcuna evidenza che possano sviluppare concetti astratti”. Perciò, nonostante vi siano alcune somiglianze mentali fra uomini e cavalli, ci sono anche alcune importanti differenze. Capire queste differenze è della massima importanza per avere successo con tutti i cavalli piuttosto che con alcuni soltanto.
Differenze
Durante il mio dottorato, ho indagato la “comprensione” nei cavalli. Volevo vedere se il cavallo ha uno strumento analogo alla nostra corteccia prefrontale, con la quale possiamo immaginare, “vedere con gli occhi della mente”, dove possiamo ponderare sul passato o pensare al futuro. Ho deciso che avrei usato la ben nota capacità dei cavalli di elaborare segnali riguardanti la distribuzione del cibo a una di due mangiatoie presenti in un campo di prova. Uno alla volta, i cavalli erano portati con la capezza nel mezzo di  un campo di fronte a due mangiatoie. Una era a destra, ed una a sinistra, con una persona che sedeva dietro ad ognuna. La persona che sedeva dietro ad una delle due si alzava e metteva cibo in una mangiatoia. Il cavallo lo vedeva ed era immediatamente liberato. Dopo 40 tentativi  i cavalli imparavano che là dove vedevano che il cibo veniva messo, là il cibo era, per cui sapevano andare nella mangiatoia giusta. Ma appena abbiamo atteso 10 secondi fra la distribuzione del cibo e la liberazione del cavallo, la percentuale di successo cadeva al 50% – in altre parole diventava casuale. Anche se occasionali cavalli davano l’impressione di saper gestire l’intervallo di dieci secondi, poi di nuovo i loro risultati crollavano. L’analisi statistica ha dimostrato che i cavalli, sia come gruppo, sia individualmente, non sanno ricordare la soluzione giusta di fronte a una scelta dove entrambi i risultati sono ricompensati in modo identico. Succedevano cose interessanti anche quando i cavalli si accorgevano di aver sbagliato. Un paio di pony e di cavalli a sangue caldo tiravano indietro le orecchie e andavano direttamente alla mangiatoia giusta, mentre alcuni purosangue decidevano di rinunciare e se ne andavano. I risultati di questo studio sono stati approvati da revisori e pubblicati sulla rivista  Applied Animal Behaviour Science. L’esperimento ci ricorda che nell’addestramento la tempistica corretta è essenziale, che, contrariamente a noi, non c’è un flusso di coscienza che accompagni i comportamenti istintivi e che ci sono differenze nella memoria a breve termine fra uomini e cavalli. Significa che dobbiamo mantenere l’addestramento più semplice possibile per essere sicuri che possano essere digeriti, e per essere certi che i nostri metodi non siano così difficili, da permettere il successo solo a pochi cavalli particolarmente abili. Talora la complessità dei nostri metodi di addestramento indica che siamo sempre propensi a sovra-stimare le abilità mentali dei nostri cavalli.
L’apprendimento  di un nuovo comportamento mediante osservazione  (l’imitazione di un nuovo comportamento) è da tempo considerato indicativo di una certa capacità di ragionamento. Se ci pensate, non è difficile capire perché. L’apprendimento mediante osservazione richiede che un animale veda e ricordi la sequenza comportamentale, veda se stesso eseguire la sequenza nella sua mente e poi la effettui. Notate che parlo di un “comportamento nuovo” – è un punto importante, perché in tutti gli animali c’è un meccanismo che li rende capaci di copiare un comportamento che è già “incorporato” nel loro cervello. Questa imitazione contagiosa di un comportamento è adattativo. Di conseguenza, quando un animale mangia, anche gli altri sono indotti a farlo, e quando uno di distende anche altri lo fanno. Per gli animali sociali la sincronizzazione dei comportamenti è molto importante. Il comportamento contagioso non è appreso ma è piuttosto  un meccanismo di scatenamento istintivo. Proprio come quando vedete qualcuno sbadigliare, e siete anche voi indotti a farlo. Gli uomini di cavalli spesso pensano che il ticchio d’appoggio sia imitato. Come Paul McGreevy ha precisato su  THM (Febbraio), questo non è esatto. L’apprendimento osservazionale è stato accuratamente ricercato nei cavalli e in tutte le ricerche sperimentali pubblicate i risultati sono stati negativi. Al contrario dei predatori cooperativi, i cavalli sono lenti nell’imparare le “regole” su dove può essere trovato il cibo che è stato spostato da un posto ad un altro. Al contrario degli scimpanzé, dei gorilla e dei delfini, non possono riconoscersi in uno specchio – vedono solo un altro cavallo. Sono anche poco abili a trovare la deviazione richiesta per raggiungere un obiettivo, se la soluzione implica il fatto di allontanarsi dall’obiettivo come primo passo per raggiungerlo. Tuttavia una volta che ci sono riusciti, ricordano velocemente il percorso. I cavalli sono poco abili a fare queste cose perché queste abilità non gli sono servite durante i milioni di anni di evoluzione del loro comportamento nelle pianure aperte.
Eminenti ricercatori equini sono d’accordo su una cosa, che il cavallo non è in grado di ragionare. le abilità che riguardano i processi mentali più elevati sono scarse o nulle. Invece, capacità di ragionamento sono presenti nei predatori, e sono maggiormente sviluppate nei predatori cooperativi con dieta diversificata come gli scimpanzé e i delfini. Anche i cani hanno un buon punteggio, e potrebbero averlo i leoni. Perfino alcuni uccelli che affrontano difficoltà nel procurarsi il cibo (uccelli che vivono di semi, di frutta  e di carogne, e anche i pipistrelli che vivono di frutta) potrebbero avere un discreto punteggio riguardante lo sviluppo di capacità mentali elevate. Questi animali devono ricordare la collocazione e la quantità del cibo rimanente per risparmiare energia nei giorni di carestia. Ovviamente, se riflettete su questo, perché i cavalli dovrebbero aver bisogno di capacità di ragionamento? Avete bisogno di una grande memoria per essere un brucatore, ma non di capacità deduttive. Come osserva  Stephen Budiansky, l’erba, al contrario dei topi, non si nasconde. Queste capacità richiedono una ulteriore quantità di tessuto cerebrale, che, come dimostrato da un ricercatore chiamato Deacon nel 1980, è dieci volte più costoso in termini di consumo energetico (glucosio e ossigeno) di qualsiasi altro tessuto del corpo.
Quello che la gente considera erroneamente esempi di ragionamento nel loro cavallo generalmente si rivelano come eccellenti esempi di apprendimento per tentativo ed errore. Il pony che giocherella con il chiavistello del recinto e impara ad aprirlo è un eccellente esempio. È astuto, ma non sta ragionando.  Si tratta dello stesso processo mediante il quale i cavalli imparano l’equitazione. I cavalli imparano a evitare la pressione delle redini e delle gambe dando una risposta corretta che inizialmente viene appresa per tentativo ed errore. Successivamente imparano i segnali associati come gli aiuti di assetto e di peso.
Perché queste differenze sono importanti?
Il fatto che il cavallo non è una creatura capace di ragionare ha un grande significato. Sovrastimare l’abilità mentale di un animale porta a ogni tipo di preconcetti che hanno pessime conseguenze sui cavalli. Il fatto che il cavallo non ragioni implica che è un partner completamente innocente nel processo di addestramento.  Il cavallo non può essere biasimato per una prestazione erronea o di scarsa qualità – si tratta di evenienze attribuibili in gran parte a problemi nella tecnica equestre o nell’addestramento (o di salute). Quando un cavallo si comporta in un modo che non ci soddisfa è sbagliato dire “Sa che ha sbagliato” o “Lo capisce”. Non c’è alcuna comprensione nel cavallo – reagisce semplicemente alle situazioni, ai fatti, agli aiuti ecc. In ogni momento il suo comportamento è un’istantanea della somma complessiva del suo addestramento. Se durante una gara si comporta male in relazione a come lavora a casa significa una di queste due cose – o il suo lavoro a casa non ha buone fondamenta o il suo lavoro a casa è viziato da almeno un po’ di confusione. La tensione è un buon indicatore. Sta digrignando i denti perché sta lavorando duro, veramente “mettendocela tutta”, o perché è un po’ confuso – forse ci sono aiuti contraddittori o troppi aiuti in una volta… Abbiamo il dovere verso i nostri cavalli di tenere in considerazione tutte queste possibilità.
Quindi…
Fa un’enorme differenza sapere che la nostra migliore possibilità di andare a fondo nell’addestramento dei cavalli è di tenere le cose più semplici possibile. È quello che rende addestratori come Kyra Kirkland così suggestivi. La sua tecnica di addestramento abbraccia la semplicità e aggiunge progressivamente una cosa alla precedente. Durante gli scorsi dieci mesi ho descritto gli 8 principi dell’addestramento che originano da una ricerca scientifica sulle capacità mentali del cavallo. Questi sono (non sorprendentemente) in accordo con i principi dell’equitazione accademica del XVIII secolo, ma non sempre compatibili con quello che molti fanno oggi. Tutti gli 8 principi devono la loro esistenza al concetto di tenere tutto semplice, e l’ultimo principio, quello sulla mentalità, è centrale per tutti gli altri. Il principio della pressione-rilascio riguarda l’importanza della tempistica del rilascio durante l’apprendimento per tentativi ed errori. Il principio pavloviano tratta dell’importanza di collegare un segnale non invadente (un aiuto leggero) ad ogni risposta per conservare la salute mentale del cavallo. Il principio di esclusività raccomanda di non permettere che gli aiuti cozzino fra di loro (uno alla volta) e il principio del modellamento riguarda il perfezionamento progressivo delle risposte, un aspetto alla volta. Il principio di proporzionalità tratta dell’addestramento a rendere le risposte proporzionali agli aiuti. Il principio del Self-Carriage afferma che il cavallo dovrebbe procedere da un aiuto al successivo senza rallentare, in modo che il cavallo mantenga da sé il ritmo, la direzione e il contatto. Il principio della paura descrive l’importanza di evitare che le reazioni alla paura siano incorporate nel repertorio del cavallo.
Se il cavallo “ha capito” il suo addestramento può darsi che noi non abbiamo bisogni di essere così semplici, così costanti, così precisi. D’altra parte se il cavallo fosse così intelligente da comprendere l’addestramento, probabilmente non sarebbe così facile da cavalcare. Probabilmente non sarebbe etico cavalcare i cavalli se fossero capaci di ragionamento, perché allora probabilmente soffrirebbero, dato che preferirebbero brucare l’erba e stare con gli amici… Ma il cavallo non è stressato dalle buone abitudini, sia che siano sotto la sella, o altro. Tuttavia, le cattive abitudini, l’incoerenza e la confusione hanno conseguenze molto negative per il benessere dei cavalli.
Il fatto che il Global dressage forum in Olanda sia centrato sul problema  “The Happy Athlete” (“L’atleta felice”) è un passo nella direzione giusta. Tuttavia, a parte una presentazione eccellente da parte di un fisiologo altamente qualificato, non ci sono altri contributi dal mondo della ricerca. Nessuno degli scienziati comportamentali o degli etologi è stato invitato a parlare, e tuttavia questo argomento appartiene alle linee di ricerca che molti di loro stanno percorrendo da tutta la vita. C’è un sacco di dati etologici sullo stress, sul benessere, sul comportamento fra partner, sull’apprendimento e sul comportamento naturale del cavallo. Curiosamente, l’Olanda dispone di una grande quantità di etologi e scienziati comportamentali equini eccellentemente qualificati, come il Dr Kathalijne Visser, il Dr Machteld van Dierendonck e nella vicina Danimarca il Professor Jan Ladewig. L’Olanda ha anche gruppi di noti specialisti sullo stress animale come  Francien de Jonge e Jeroen van Rooijen, oltre a cultori dell’etica animale come Bob Bermond, Susanne Lijmbach, Monica Meijsing, Wim van der Steen, Jan Borstenbosch e altri. I giudici appassionati che veramente amano i cavalli e si prendono cura del loro benessere hanno bisogno di sentire quello che queste persone hanno da dire. Il Global forum è una grande idea, ma, se vuole lavorare seriamente, deve andare molto più a fondo nel suo tema  “The Happy Athlete”.
La responsabilità dell’uomo verso i cavalli
Poiché il cavallo è un partner innocente nell’equitazione, abbiamo al proposito una responsabilità sociale. Man mano che il tempo passa e le necessità materiali del mondo sviluppato diminuiscono, dobbiamo prendere in maggiore considerazione argomenti riguardanti il benessere e l’etica. La caccia alla volpe e le siepi sono bandite in molti paesi perché la società ritiene sempre di più che queste non siano pratiche eticamente accettabili. L’attenzione si è già spostata sullì’uso del cavallo nello sport, e la sola difesa di tale uso può venire da studi sull’etica, sul sullo stress e sul benessere. Ecco perché  “The Happy Athlete” è un tema caldissimo. Io sono convinto che non ci sia problema con un addestramento corretto, ma a questo proposito ci sono argomenti da rivedere. Incappucciamenti, tensione e comportamenti conflittuali non devono essere sbrigativamente interpretati come errori del cavallo e aspetti del suo temperamento. C’è bisogno che i giudici siano chiari e certi riguardo ai segni di tensione.  I segni di tensione richiedono che siano riviste e determinate delle penalità da assegnare obbligatoriamente per i vari aspetti e livelli di tensione. I giudici dovrebbero convincersi che sono l’estrema difesa del cavallo sportivo perché i premi che loro assegnano danno l’indirizzo agli sport equestri. Dovrebbero avere la chiara percezione di come giudicare un cavallo che si muove come un lampo, ma in modo teso, rispetto ad un cavallo che si muove in modo meno appariscente ma più rilassato. In caso contrario, lo sport del dressage diventa più un mercato della carne che una competizione di addestramento.
La nostra maggiore responsabilità è di non dimenticare mai che il benessere del cavallo è la cosa fondamentale. Ogni addestratore di cavalli dovrebbe essere di ampie vedute riguardo ai possibili limiti  e confusioni della loro tecnica di addestramento. Come in tutti gli sport e le arti che implicano prestazioni fisiche, gli ego possono prevalere, e le strade per capire le cose possono essere gravemente compromesse da un atteggiamento di chiusura mentale. Ma quando abbiamo a che fare con sport che coinvolgono animali, gli ego non devono contare nulla. Cavalcare i cavalli è un privilegio, ed è notevole che l’evoluzione naturale ci abbia dato questa possibilità. Non dobbiamo dimenticarlo nemmeno per un istante.

 

Il pareggio in pratica – 1

Il lettore di lingua madre inglese che vuole collaborare e  può tradurre questi articoli è benvenuto.

Inizio a descrivere in dettaglio in una serie di articoli il pareggio del cavallo. Leggete  “ il pareggio di un gruppo di cavalli che vive in libertà a Pieve S.Stefano” per una visione d’insieme.
Se mi sarà possibile aggiungerò dei disegni agli articoli al fine di renderli più comprensibili.
Non pretendo di insegnare. Descrivo le mie impressioni e ciò che nel tempo mi ha permesso di ottenere dei notevoli risultati. Molti dettagli potrebbero essere aggiunti ma lo farete voi stessi come risultato della vostra applicazione.
Mi rivolgo al proprietario che desidera emanciparsi e far da sé ottenendo risultati comparabili o anche migliori di quelli ottenuti da un frettoloso o spesso improvvisato “professionista”.
Il presupposto, a questo livello, è un animale senza particolari problemi né difficoltà di manipolazione, sufficientemente diritto e sano oppure già instradato sulla via della riabilitazione.
Farò per forza di cose riferimento a situazioni anormali se non altro per renderne possibile l’identificazione.

Tutte le azioni di pareggio dovrebbero far seguito al prelievo del cavallo da uno spazio aperto. Il cavallo è certamente meno disposto a star fermo per il tempo che si rende necessario per il pareggio, 20 minuti o più, se ha patito una lunga restrizione del movimento in un box o in un piccolissimo recinto.
Per maggiore sicurezza è sempre meglio essere in due, avere un assistente che controlla l’ambiente circostante mentre voi siete “sotto il cavallo”. Se non altro in caso di incidente o bisogno si ha una spalla. Il ruolo primario dell’assistente è quello di favorire il lavoro disponendo e mantenendo il cavallo nell’assetto o posizione che meglio consente a voi di sollevare lo zoccolo. Deve sapere come fare arretrare o avanzare l’animale di pochi centimetri senza esercitare pressioni elevate e indisponenti, girare il cavallo in senso orario o antiorario, sapere mantenere la sua testa bassa o alta e spostarla verso destra o sinistra. Sono tutte azioni che alleggeriscono il peso che grava sull’arto e sullo zoccolo che si intende sollevare.
L’assistente deve mantenere l’attenzione sull’ambiente e sul compagno per essere tempestivo. Un affiatamento tra i due rende il lavoro notevolmente più celere e meno faticoso soprattutto se l’assistente prepara precedentemente gli zoccoli puliti e idratati. Soprattutto durante la stagione secca e nel caso di animali grandi, e ottima consistenza dei materiali, tenere a bagno gli zoccoli per alcuni minuti o addirittura per trenta minuti  consente di fare un lavoro altrimenti snervante o grossolano. Cavalli da lavoro con zoccoli grandi e forti come il TPR, Norico, Shire.. durante l’estate possono essere pareggiati durante una giornata di pioggia o in occasione della doccia.
L’animale si osserva mentre si va verso la piazzola.  Piazzola adeguata alle condizioni climatiche, riparata dal sole o dalla pioggia, dal fondo consistente e pulito. Ideale sarebbe per il cavallo avere un compagno sufficientemente vicino ma senza possibilità di interferire.
Di solito l’espediente “cibo per calmare” non è favorevole al lavoro. La testa si muove in continuazione, il peso del cavallo si sposta di continuo. Il cavallo veramente agitato non si corrompe con la carota che dura un attimo. A volte non la considera nemmeno.
La disponibilità del cavallo o la presenza dell’assistente elimina la necessità di tenere il cavallo “ai due venti”. Il cavallo costretto a mantenere la posizione può scalciare, muoversi avanti o indietro e lateralmente. Le corde o le catenelle che si sollevano o abbassano, avanzano o indietreggiano rapidamente sono un grave pericolo per chi è vicino e concentrato sulla zampa o su uno zoccolo. Il cavallo disposto ai due venti è indice di ignoranza, insicurezza e assoluta mancanza di horsemanship.
E’ piacevole e rassicurante invece osservare il binomio animale uomo libero da costrizioni e paure su una pavimentazione pulita e antisdrucciolo che può essere semplicemente di terra battuta. Il cavallo in capezza ma libero e la corda di guida disposta in modo da non creare intralcio, il pareggiatore intento al suo lavoro e l’assistente all’ambiente.

Solleviamo quindi il primo zoccolo per il pareggio dopo che tutti e quattro sono stati puliti. Di solito un anteriore. A volte il cavallo si prepara da sé spostando il peso sul lato opposto. Afferriamo il pastorale flettendo le nostre ginocchia, senza piegare troppo la schiena nè abbassare eccessivamente il capo avvicinandolo così al posteriore. Se il cavallo non darà segno di aver compreso, esercitiamo una pressione graduale  con la mano iniziando dalla spalla e scendendo lungo la zampa. Di riflesso quasi sempre l’animale solleva la zampa facilmente se il suo peso non grava proprio su di essa. Insistere é controproducente. Ogni tentativo deve iniziare allo stesso modo partendo dalla spalla.  Aiutare il cavallo a disporsi correttamente riduce i tempi e la fatica.
Se non é stato già fatto liberiamo dalla terra i quattro zoccoli in sequenza, li puliamo e se necessario li laviamo. Osserviamo quindi consumo, particolarità di tutti e quattro e, mentre li puliamo, già consideriamo il lavoro di pareggio da fare. Fin qui non abbiamo fatto altro che quello che facciamo tutti i giorni preparando gli zoccoli per la disinfezione o durante la stagione umida quando spostiamo il cavallo dal suo recinto ad una zona asciutta e pulita.

Pulire gli zoccoli, disinfettarli, consentire all’animale la permanenza su una superficie asciutta ameno parte del giorno costituisce un insieme di norme igieniche basilari. Così come necessario è lo spazio e il movimento, il fieno senza muffe, l’acqua pulita, la rimozione delle fiande.
L’igiene, fisica e mentale, deve appartenere all’animale ed al suo proprietario.
Il proprietario che non provvede e il professionista che non vede e per ignoranza opportunismo o meschinità non rileva, rendono inutile o un palliativo ogni altra cura, la medicina tradizionale o alternativa che sia e svuotano di ogni significato la parola naturale sostituendola con trascuratezza.

Continuando osserveremo una parete maggiormente sporgente dal piano della suola quanto meno il cavallo si è mosso ed ha coperto chilometri e quanto più tempo è passato dall’ultimo pareggio.
Il fondo sarà stato nel frattempo più o meno abrasivo. Le varie condizioni di umidità e penetrabilità compensano in diversa misura la crescita dell’unghia, della suola, del fettone consumandoli. Il pareggiatore è chiamato a ridurre la altezza della parete e eventualmente ad intervenire sulle altre parti riportandole ad un corretto rapporto quando ciò è impedito dalla mancanza di movimento sufficiente su terreno adeguato.
Con un sostanziale distinguo.
Mentre con il movimento il consumo avviene grazie a pressioni, forze, attrito che stimolano la crescita e la produzione di buoni materiali l’azione dell’uomo con i suoi attrezzi prescinde da questo.
Si taglia e si raspa ma non si stimola in alcun modo. Il pareggio non sostituisce l’allenamento e sviluppo delle parti conseguente al movimento ed alle pressioni esercitate sui tessuti che le producono.

Iniziamo il lavoro vero e proprio.  La prima fase consiste nel ridurre la altezza della parete rispetto al piano della suola adiacente lungo tutto il  perimetro. Con tecnica, accortezza, facendo scelte determinate caso per caso da ciò che troviamo, dall’ambiente. Questo sarà argomento del prossimo articolo.

Settimana Pratica 2016

La Settimana Pratica 2016 riguarda il pareggio di manutenzione di cavalli e asini.

Ci troviamo sabato 30 luglio alle ore 15 al centro EquiCaere di Cerveteri (Roma). Ci trasferiremo dal 30 al 5 agosto di posto in posto per il pareggio di cavalli in diverse situazioni. Dal 30 luglio al 2 agosto mattina rimaniamo a Cerveteri, il 3 agosto mattina ci trasferiamo nella zona di Assisi. Venerdì 5 agosto chiudiamo alle ore 16.30

Per il soggiorno nel Lazio chiamate Mauro Carugo al numero 328 1539054, per L’Umbria chiamate l’albergo “Il Portonaccio” di Spello.

Ogni cavallo sarà commentato. Oggi partecipante procederà gradualmente durante la settimana nel pareggio al fine di raggiungere un buon grado di autonomia. Di ogni pareggio verrà compilata una scheda con osservazioni, misure, aspettative.

E’ necessario dotarsi dell’attrezzatura elementare, guanti, pantaloni e scarpe robuste, nettapiedi, spazzola, metro . Macchina fotografica, pennetta di memoria per conservare le immagini.

Accessori desiderabili una capezza Parelli e corda di guida da 3.70.               La raspa ed un semplice coltello li trovate da me se non li possedete.

Tenaglia e treppiede se li avete portateli ma non sono strettamente necessari.

La settimana è utile sia al proprietario che desidera giustamente rendersi autonomo che a  chi desidera fare propri i meccanismi mentali utili a scrivere le note di accompagnamento al pareggio ed in seguito magari confrontarsi con la American Hoof Association e conseguire la qualifica di “apprentice”.

Ogni giornata è propedeutica alla successiva e la frequenza deve essere ininterrotta e costante. La lettura o rilettura degli articoli che si trovano nella parte pareggio della sezione letture è d’obbligo insieme alla lettura integrale della sezione “studio di zoccoli” e del “protocollo di riabilitazione Ramey” che trovate nella sezione AHA. La partecipazione sottintende questo impegno.

Ci occuperemo solo di zoccoli di asini e di cavalli. Non di addestramento. Tuttavia la semplice osservazione del cavallo in movimento in linea retta ed all’interno di un tondino deve precedere e seguire qualsiasi operazione di mascalcia. Muovere un cavallo avanti e indietro, saperlo arrestare, farlo procedere lungo una recinzione sia rettilinea che in curva è necessario. L’osservazione è altrimenti impossibile se non in branco ed avendo a disposizione tempo. Questo farà parte del nostro programma e la capacità si svilupperà ogni giorno di pari passo con quella manuale di pareggio. Una capacità reale che prescinde dall’utilizzo di qualsiasi accessorio costrittivo o di impedimento della libera espressione dell’animale quale è ad esempio l’imboccatura sempre e comunque.

Qualsiasi informazione e dettaglio su spostamenti, località, soggiorno, eccetera, per telefono o via mail. (pagina contatti).

 

Ordine Nazionale dei Biologi

Lo scorso mese di aprile 2016 ho provveduto a dare le dimissioni dall’Ordine. Con nostalgia un altro “pezzo di vita” è arrivato a termine. Non era necessario e le nuove, anche se semplici, incombenze dettate agli iscritti senza ritorno. La cancellazione rientra nella più vasta riorganizzazione del mio tempo. Chi cercherà quindi un riscontro della mia appartenenza all’Ordine non lo troverà più se non, forse e solo, per motivazioni di segreteria ONB fino alla fine dell’anno 2016. Laureato nel ’77 ho abbandonato il CNR presto per imboccare altre strade. Mi sono iscritto in seguito all’Ordine nel ’99 per assumere la responsabilità di un laboratorio.  Ora dopo altri 17 anni il numero 048668 se ne va in pensione. Anche se Biologi si rimane per tutta la vita.

La “riorganizzazione” riguarda anche l’abbandono di altre associazioni. Preferisco dedicare tutto il mio tempo al mio personale modo, diretto e senza intermediazione,  per la formazione di giovani e diffusione del sistema barefoot ed ironfree in genere.

Resto nella American Hoof Association per rimanere vicino a Pete Ramey ed a Gery White, resto disponibile per coloro che come pareggiatore o ad altro titolo ritengono la AHA degna di considerazione e interesse.

Parassiti e loro controllo

La lettura di questo articolo dovrebbe essere preceduta da quella di : “A Parasitological Study of a Herd of Horses in Italy”

Parassiti- Ospiti !IN!desiderabili

I parassiti interni sono onnipresenti e una tegola che il cavallo deve sopportare ?
Comportano un qualche beneficio? Sono simbionti? Stimolano?                  Non credo. I cavalli rinselvatichiti sembrano più scarsamente parassitati. Cosa significa questo? E perchè? Come possiamo mettere in relazione mustang e domestico su questo? Cosa possiamo imparare?

Genetica – Selezione

I selvatici sono sottoposti alla pressione della selezione. I meno competitivi, e coloro che portano con sé una carica di parassiti lo sono certo meno, hanno più ridotte probabilità di sopravvivere nella carestia e di trasmettere alla discendenza il loro patrimonio genetico. I più fortunati invece vedono con la capacità di rispondere efficacemente all’infezione quella di riprodursi. Il territorio. L’ambiente vasto ed a vegetazione sparsa dell’areale colonizzato dai mustang fa si che gli animali ripassino dove hanno deposto feci e e con esse le uova dei parassiti difficilmente o dopo molto tempo. Con la siccità ed il caldo, non con il freddo e la neve, le larve raggiunto lo stadio infettante esauriscono presto le loro scorte alimentari e si disidratano. La temperatura alta accelera i processi metabolici. Poche settimane e muoiono. Durante l’inverno la maggiore scarsità di cibo fa si che gli animali si spostino e coprano grandi distanze. Anche se la vita del parassita allo stato larvale nel terreno si allunga, ammesso che l’uovo si schiuda, non incontrerà un cavallo. Durante l’estate gli animali sono più stanziali e rallentati dai puledri ma i parassiti sono sfavorevolmente colpiti dalla siccità e dal caldo che appunto accelera il loro metabolismo e li disidrata rapidamente. Il risultato è che gli eventuali parassiti adulti ospitati all’interno del cavallo, o asino, completato il loro ciclo di vita, non vengono rimpiazzati da altri sotto forma di uova o larve con il pascolo. I parassiti non si moltiplicano nell’ospite come invece fanno batteri e virus, hanno bisogno di un passaggio nell’ambiente esterno e a seconda dei casi di un ospite temporaneo.

Perchè invece il domestico è quasi sempre più infettato?

Il parassita e le verminosi pesanti sono quindi il risultato dell’antropizzazione, della scarsità di spazio a disposizione, della mancanza di selezione. Il carattere “ resistenza alle verminosi” come espressione di maggiore capacità del sistema immunitario non è tenuto in conto dagli allevatori che non ne conoscono nemmeno l’esistenza.                                Non credo, non è provato e fino a che non lo sarà è una invenzione di comodo che nel cavallo domestico i parassiti intestinali o dello stomaco o di altri sistemi svolgano una qualche positiva funzione. Semmai il loro sistema immunitario è continuamente stressato e distolto dal prepararsi e combattere contro altri obiettivi .

Il caso del cavallo domestico scarsissimamente infettato o che addirittura appare “vuoto” all’analisi?

All’osservazione di una bassissima carica di parassiti, o addirittura alla mancanza di uova nelle feci di alcuni cavalli, il 10% della popolazione nella mia esperienza, do due motivazioni :                                                                    La prima, favorevole, sarebbe la particolare resistenza dell’individuo. La riscontro solitamente associata al generale stato di salute ed alla posizione dominante nel branco. I cavalli “vuoti” di Asvanara sono i dominanti. I cavalli “pieni” di Asvanara sono quelli che occupano una posizione bassa nella gerarchia.   (leggete il rapporto sulla infezione del branco di Pieve S.Stefano)                                                                                                                  La seconda, molto meno desiderabile, è la scarsa condizione dell’individuo, spesso prossimo alla morte. Mi è capitato, ed è osservazione di altri tra cui l’amico vet. Cesare Ninassi, di osservare conte di uova pari a zero in animali deboli ed alla fine. Quasi che nemmeno i parassiti trovino conveniente un albergo di tal fatta.

In sostanza la verminosi non è auspicabile ma è comune risultato della esposizione in un ambiente dai confini limitati di un animale normalmente dotato ed in apparente buona salute.

Osservazione e controllo

L’osservazione e stima della verminosi necessita di strumenti, conoscenza e tempo.
E’ molto facile e comodo prescrivere farmaci più o meno adatti. Il cliente crede di avere provveduto, il farmacista ha venduto, il produttore prodotto, il prescrivente sollevato dalle responsabilità, il cavallo ha subito.
Una delle molte riconosciute cause di laminite è l’intossicazione. Il farmaco e la morte di milioni di adulti e di larve liberano una grande quantità di tossine che possono valicare la barriera dell’epitelio intestinale a causa delle stesse lesioni create dai parassiti. In questo i piccoli strongili sono i più aggressivi e per questo più dannosi e mortali. Si nutrono infatti del chimo ma anche dei tessuti e del sangue. I piccoli strongili sono nello stesso tempo quelli che hanno sviluppato maggiore resistenza nei confronti dei vari farmaci, in special modo più vecchi e da tempo utilizzati. Sono ubiquitari e parassitano animali di ogni età e condizione. Controllo delle verminosi vuol dire quindi oggi controllo degli strongili. Anche nei puledri, afflitti da ascaridi gli strongili sono presenti in quantità. L’utilizzo di farmaci non effettivi nei riguardi degli strongili significa selezione di ceppi resistenti fin dalla più tenera età quando in buona fede il proprietario ed il professionista sono concentrati sul pericolo ascaridi. Se un ceppo di strongili è resistente lo è anche a ripetuti assalti con farmaci poco efficienti, anzi ogni volta se ne favorisce maggiormente la selezione.

Cosa significa resistenza

Per resistenza si intende la capacità di sopravvivenza alla azione del farmaco. Un parassita nel suo ambiente è limitato dalla presenza degli altri. Se è resistente mentre molti intorno muoiono avrà poi vita più facile e maggior motivo e agio di moltiplicarsi. Il farmaco ha provveduto alla selezione del più adatto nella circostanza.
Utilizzare farmaci più datati, quelli di generazione precedente ai lattoni (ivermectina e suoi derivati), è corretto quando, tramite l’analisi, se ne ricerca e dimostra la persistente capacità abbattente. Per convenzione si ritiene efficace il farmaco capace di abbattere non meno del 98% degli adulti. Diversamente si continua nella selezione, sconsiderata e determinata dall’ignoranza, dei vermi del decennio, i ceppi dei piccoli strongili resistenti.
La presenza di soli strongili non resistenti nel nostro cavallo domestico attuale e quindi l’efficacia dei farmaci di vecchia generazione è ormai episodica e constatabile in enclave di animali isolati dal contatto con altri da molto tempo.

Poichè è già molto difficile che i cavalli vengano avviati ad una conta delle uova nelle feci (FEC) al fine di quantificarne l’infezione è velleitario credere nella diffusione capillare di tecniche di controllo e determinazione dell’infezione e della capacità abbattente del farmaco prima e dopo la sua somministrazione con il raddoppio dei costi.
L’uso del farmaco maggiormente efficace, l’ivermectina e suoi derivati, è quindi l’unica soluzione pratica proponibile salvo eccezione. Eccezione rappresentata dal proprietario che, sperando di essere fortunato e avendo un cavallo o gruppo di cavalli separato, desidera conservare l’efficacia del farmaco più “moderno” più a lungo.
Alcuni farmaci, delle varie classi, possono rimanere in vendita, nonostante la più ridotta efficacia, per inerzia o motivi commerciali. Fino a che c’è l’acquirente rimane l’offerta. Solo la manifesta grave dannosità ne determina l’abbandono. Nel caso dei farmaci antiparassitari la causa (il farmaco) e l’effetto (il danno) non possono essere facilmente associati. Specialmente se si tratta di resistenza.

Che fare?

– Possiamo verificare periodicamente lo stato dell’infezione tramite la analisi coprologica “quantitativa” Mc Muster grazie agli istituti di igiene e profilassi o presso il laboratorio di pochi professionisti, biologi o veterinari che siano, che conoscono la metodica e la sanno condurre.

– Tenendo presente che ogni animale ha il suo proprio livello di infezione e presto ritorna ai “numeri” precedenti se non cambiano le condizioni di gestione si decide poi se trattare o meno con un farmaco di ultima generazione. Ivermectina e /o derivati.

– L’uso di una associazione farmacologica consente di combattere al tempo l’infezione sia di vermi tondi che di piatti ( Ivermectina + Praziquantel ) , esempio commerciale è l’Equalan Duo. I vermi piatti non sono normalmente riscontrabili alla osservazione microscopica ma facilmente ci sono e sono evidenziati da altri tipi di analisi, antigene anticorpo, più cari e difficilmente attuabili in modo esteso e tale da soddisfare la massa.

– L’animale prostrato o il giovane puledro che si ritiene possa essere gravemente parassitato necessita di ulteriori cautele al fine di non incorrere in fatalità determinate dalla simultanea morte di un eccessivo numero di parassiti. E’ il caso degli ascaridi se presenti in grande numero che dovrebbero essere attaccati con dosi dimezzate più di una volta.  E’ l’unico caso pratico. Quando si tratta di strongili utilizzare dosi ridotte favorisce l’insorgere di resistenza.

– Un cavallo laminitico cronico dovrebbe parimenti vedere valutata con rigore e conservativamente la somministrazione di qualsiasi farmaco.

L’IGIENE e la selezione sono determinanti. Come è poco coerente pensare di controllare l’infezione restando in un ambiente fortemente contaminato è auspicabile l’adozione delle basse letture FEC (fecal egg count) come condizione per l’avvio alla riproduzione.                                                                         La rotazione dei campi, il pascolo associato con altri erbivori, lo spargimento di letame associato alla rimozione programmata per alcune settimane d’estate degli animali riduce l’esposizione alla reinfezione continua.

Il proprietario

Il proprietario consapevole ed avveduto ha un importante ruolo nel determinare l’orientamento professionale. La richiesta di maggiore specializzazione spinge all’aggiornamento e formazione di capacità di analisi.                                                                                                                     Analisi che soprattutto i gestori e allevatori di animali dovrebbero essere capaci di condurre in modo indipendente. Il mondo anglosassone e soprattutto americano anche in questo è avanti e non sono pochi coloro che realizzano un risparmio nell’acquisto dei farmaci associato alla migliore programmazione .
Le case farmaceutiche mentre con i loro settori commerciali continuano a proporre vecchie soluzioni tramite i loro settori ricerca stimolano ad uno utilizzo mirato alla conservazione dell’efficacia residuale dei più moderni farmaci limitando i trattamenti:

– agli animali che si ritiene siano in maggiore e seria necessità.

– utilizzando farmaci di comprovata efficacia nella situazione e caso

L’uso “a tappeto” di farmaci non conviene a nessuno e riproduce il dramma della resistenza agli antibiotici.

La metodica Mc Muster di analisi per la determinazione della carica infestante è facile da condurre. Sul sito bitlessandbarefoot sezione letture trovate pagine dedicate e letture consigliate. Prima fra tutte per semplicità e chiarezza “Bad Bugs” pubblicata su “The Horse”, che posso inviare a richiesta. Dodici articoli logici e conseguenti scritti da veterinari americani qualche anno fa. Pensati per il proprietario al fine di migliorare le condizioni degli animali e garantire loro un futuro meno…parassitato.