Letture

Il pareggio in pratica – 6

Con questa serie “il pareggio in pratica” desidero venire incontro a coloro che non avendo letto e seguito i tecnici maggiori del barefoot non sanno individuare le ragioni e la motivazione sottostante ai vari gesti del pareggio. E’ difficile trovare persone che hanno confrontato  americani ed europei.

E’ comune trovare persone conosciute come “pareggiatore” che non hanno letto neppure i classici di Jackson o i suoi bollettini e neanche ne conoscono l’esistenza. Nella maggioranza dei casi le uniche letture, anche se proposte a studenti in corsi organizzati, sono quelle disponibili in italiano e divulgative. La poca cultura generale è il risultato di un paio di settimane di corso durante le quali si accenna alle tecniche di una sola linea di pensiero senza costruire la capacità critica che è l’unica in grado di aiutare ad evitare grossolani errori. E’ mia opinione dettata dall’esperienza che questo avvenga in tutte “le scuole”, dove alla sostanza si preferisce la forma e si difende un “marchio” da tradurre in profitto. Insegnare ciò che ha costruito a fatica il proprio maestro iniziale sembra sminuisca tanti istruttori. Studiare gli altri e proporne il pensiero sollecitandone la lettura diretta espone a possibile critica e fa paura. Si potrebbero perdere clienti e credibilità tra gli studenti.   Questa materia, così tecnica e pratica, non é facile da descrivere. Se non capite, e se non capite probabilmente é perché io non riesco a renderla chiara, apprezzate almeno il mio tentativo e chiamate. Aiutatemi ad essere più chiaro. Incontriamoci, partecipate, rubate con gli occhi. Leggete! In “biblioteca del pareggiatore” trovate di che sfogare la vostra sete di conoscenza senza annaspare su internet ed a caso come alcuni di noi sono stati costretti a fare tanti anni fa quando ci siamo interessati al barefoot ed a una nuova modalità di gestione. E’ singolare come si vedano continuamente riemergere modalità di pareggio ritenute già in passato inutili o dannose.  Di solito si tratta di gesti che stupiscono e fanno apparire chi pareggia un fuoriclasse. Altre volte è il freno che prende il sopravvento. Richiamandosi al “naturale” ci si astiene nascondendo la propria incapacità e indecisione. In entrambi i casi la si fa quasi sempre franca. Coloro che sono intorno non possiedono elementi di valutazione.  Le numerose variabili di gestione mascherano gli errori del pareggiatore brillante ma ignorante.

In questo capitolo della serie “il pareggio in pratica” desidero discutere l’opportunità o l’inopportunità del lavoro sulla parete dall’alto verso il basso. Quello che si vede fare quasi sempre con lo zoccolo in avanti appoggiato sul treppiede. E’ una pratica molto comune ed ha origine nella intenzione di “raddrizzare” una parete che appare deviata, di “armonizzare” fra loro i tratti di parete di diversa pendenza. Spesso, senza una vera ragione e senza una regola a scapito della integrità della parete di cui effettivamente si riduce la consistenza e resistenza.

L’alimentazione scorretta e più in generale i compromessi di gestione esitano in una o più deviazioni d’angolo della parete nella sua crescita verso terra. Non più saldamente ancorata alla terza falange da un sano connettivo (le lamine) la parete soggetta alle forze di reazione del terreno al peso del cavallo piano piano si deforma. 

Jaime Jackson ha dato un nome ai vari tratti ed angoli che la parete forma rispetto al piano su cui appoggia. 

Nel caso più semplice di una parete che presenta due soli tratti di diversa pendenza, quello più alto prende il nome di “healing” e quello che arriva fino a terra “basement”. L’angolo che i due tratti di parete formano con il piano di appoggio “healing angle” e “basement angle”. Alla differenza di pendenza in gradi tra i due tratti dette il nome “DTA, diverging toe angle”.

a destra una parete che dimostra un "angolo di deviazione" o "rotazione della capsula"

a destra una parete che dimostra un “angolo di deviazione” o DTA

Nel sistema di pareggio degli anni ’90 e primi del secolo veniva data particolare enfasi alla ricerca nello zoccolo del domestico delle forme e rapporti esistenti nel selvatico. Le deviazioni di pendenza della parete, uno dei segni di laminite cronica, dovevano quindi essere eliminate o ridotte nel tentativo di “naturalizzare lo zoccolo” Come scrivo più avanti in questo articolo gli effetti positivi di questa pratica sono determinati dall’arretramento sia pur minimo del breakover o punto di involo dello zoccolo, accompagnati alla necessaria rivisitazione della dieta.
Jackson dettò regole per riportare, o almeno avvicinare, la pendenza del tratto o dei tratti più bassi a quella del tratto o dei tratti più alti  limitando l’indebolimento della capsula cornea.
Perchè non il contrario? Il tratto “alto” è in una posizione e relazione migliore con la terza falange del tratto più basso che arriva a terra. E’ il tratto basso che è fuori posto, deformato, alla deriva.
Questo tratto di parete non più saldamente ancorato alla falange e di materiale plastico “va alla deriva” sotto la pressione esercitata dal terreno.
Jackson lo assimila, in un riuscito paragone, ad una barca ormeggiata ad un molo. Se cedono gli ormeggi, tutti o una parte, soggetta al vento o alla corrente abbandona la sua posizione a seconda della loro intensità e direzione. Magari solo la poppa della barca si allontana dal molo mentre la prua ci sbatte contro se solo una parte degli ormeggi ha ceduto.

fig.2a

Ma, quanto materiale che costituisce l’unghia del tratto più basso può essere rimosso (nel sistema di Jackson) se si vogliono “armonizzare” le pendenze dei vari tratti? E da che punto si può iniziare?
Più materiale corneo si rimuove più la parete si indebolisce e viene esposto ciò che sta sotto.
La parete deviata non è più idonea a sostenere parte del peso del cavallo ma rimane capace di protezione.
L’unghia, meno salda e stabile a causa del deterioramento del connettivo sottostante (le lamine) è in parte, o totalmente, sconnessa dalla terza falange, allontanata. In mezzo al posto del tessuto connettivo integro si trova un più o meno spesso tessuto disorganizzato, cheratina che le lamine continuano a produrre ma incapace della stessa resistenza.
Per ridurre la differenza di pendenza (tanto desiderata) fra i vari tratti ma limitare al tempo la riduzione dello spessore della parete da parte del pareggiatore Jackson dettò una linea di guida identificando dei punti limite.

Quali punti.
E’ assolutamente necessario per proseguire avere ben chiare le fasi del pareggio e l’angolo di lavoro dell’utensile sul pezzo in lavorazione, la raspa e lo zoccolo.
Dopo avere ridotto la altezza della parete rispetto al piano della suola (fase 1) avete, con la fase due, lavorato realizzando per forza un breve tratto perpendicolare al piano di appoggio. Questo tratto o scalino sarà presente lungo le zone dove la parete ha deviato, eventualmente lungo tutto il perimetro. Se la parete non è “acciaccata da nessuna parte e non devia in nessun modo da nessuna parte non avrete fatto nulla di nulla in fase 2.
Nelle zone della capsula dove la parete è rimasta diritta senza subire distorsioni quindi lo scalino è assente. Ma diciamo che non siete così fortunati.
I primi due punti che identificano la massa di materiale corneo asportabile sono quelli alle estremità di questo breve tratto. Il terzo si trova nel punto di cambio pendenza.

fig.3

In questo modo non si toglie tanto materiale a seconda della opinione del pareggiatore. La riduzione viene effettuata in modo controllato. Ma avviene!

La forma dello zoccolo che avete appena pareggiato assomiglia maggiormente a quella che avete in mente e sognate. Con parete diritta o quasi! Spesso, come vedremo fra poco, questa riduzione non è utile se non a fini estetici ma vediamo il motivo che comporta un certo successo. Identifichiamo il motivo meccanico, tralasciando quelli che riguardano il cambio della dieta che ricordate che é stata la causa prima della deformazione. Se non cambia la dieta potete fare quello che volete ma sarà solo un palliativo.
Quello che avete fatto essenzialmente è che avete accorciato un pochino lo zoccolo!
Avete arretrato il breakover di quel tanto he vi ha permesso la lavorazione in fase due.
Il breakover ora è più vicino a quello ideale dello zoccolo sano con parete diritta * realizzando un indubbio vantaggio meccanico.
Il dolore o la sensibilità sono diminuiti. L’unghia è meno sollecitata dal terreno ogni volta che il cavallo sposta il suo peso in avanti.
Il passo diventa più lungo e l’andatura meno rilevata.
Avete realizzato questo lavorando dall’alto verso il basso raspando il triangolo di materiale che in figura 1 é bianco.
Nel linguaggio coinvolgente e colorito di Jackson avete “dialogato con lo zoccolo per indurlo a ritornare sulla retta via”. Una popolazione di creduloni è più facile da suggestionare che da far ragionare.

Perché potreste avere fatto solo in parte una buona cosa ?

Resta il fatto che il breakover, pur arretrato, non può essere arretrato ulteriormente alla posizione dove si troverebbe nello zoccolo sano  (figura 4 – proiezione a terra della parete) se non riducendo la parete ad una sfoglia di cipolla o addirittura del tutto raspando anche il tessuto sottostante, il “lamellar wedge”. (Lamellar wedge o cuneo lamellare, chiamiamo il materiale disorganizzato cui abbiamo accennato prima costituito da cheratina e interposto tra parete e terza falange nel laminitico cronico).
I cambi di pendenza della parete e le suole piatte o piatte perifericamente sono proprie del laminitico. Magari il DTA è minimo ma è inutile nascondersi dietro un dito. Sempre di laminite si tratta se non quando una particolare forma originale della terza falange costringe il derma e l’epidermide (la parete) a fotocopiare il suo andamento.

SE il DTA é notevole che fate per arretrare il breakover efficacemente ? Togliereste tutta la parete per un gran pezzo? Spero di no!

Come fare per ottenere di più?
– Per ridurre la altezza della parete abbiamo preso come riferimento il piano della suola. Fase 1
– Per contenere la parete abbiamo ancora fatto riferimento al perimetro della suola. Fase 2
– Per identificare il corretto breakover in ogni punto lungo la parete dello zoccolo facciamo ancora riferimento alla suola distaccandoci di 6 o 7 millimetri dalla congiungente suola-white line. Non mi piace “dare i numeri” ma è un riferimento.
Distaccati di 6 millimetri realizziamo il bevel, piano inclinato di 30° rispetto al piano di appoggio portando così immediatamente il breakover dove dovrebbe essere. Il bevel inizia quindi nella water line (questo dovreste essere ormai abituati a pensarlo) o addirittura nel materiale del cuneo lamellare nel caso del laminitico (e a questo imparerete a abituarvi) ma in questo modo tutta la parete viene conservata per tutta la sua lunghezza se non per gli ultimi millimetri vicino a terra. Così lavorata non è più di ostacolo al movimento ma mantiene nel contempo la sua funzione protettiva. Non si rischia nulla.
Non solo. La parete resta attiva in un terreno penetrabile come la sabbia o la terra smossa e soprattutto durante il breve lasso di tempo che precede il distacco trasmette una certa pressione in corona e stimola la crescita. Piace a tutti pensarlo anche se provarlo sarebbe quanto mai difficile.

fig.4

Le parti colorate rappresentano la massa eliminata con le varie operazioni.

  • Quella grigia in punta viene eliminata riducendo le irregolarità con il lato corto della raspa tenuto perpendicolarmente al piano della suola.
  • Quella gialla viene eliminata dal bevel che origina nella water line a 5-7 mm. di distanza dal perimetro della suola.
  • Quella blu è quella di eventuale riduzione della flare ed è compresa tra il punto di divergenza di pendenza e i due punti creati con il lavoro di contenimento.
  • Un piccolo arrotondamento del triangolo bianco, non appare nel disegno, conclude il lavoro.

Potete individuare facilmente i vari punti di breakover che si originano.

Con questa nuova tecnica e lavorando da sotto con lo zoccolo rovesciato verso l’alto abbiamo terminato il nostro lavoro sulla parete finendola con un bevel (lavorato in zona gialla) a meno che …
… ameno che non vogliamo considerare la parete e il lamellar wedge a lei sottostante un tale impedimento, una tale ingessatura, da desiderarne la riduzione di massa (lavorando in zona azzurra).
Questa è una scelta talmente fine che non può essere suggerita, è vostra.

Facciamo un esempio. Si può arrivare in un rifugio alpino con i piedi massacrati calzando scarpe troppo leggere tutta la giornata. Il trauma ai piedi deriva dai continui urti di ore e ore con le pietre dei sentieri e dei ghiaioni.
Si può fare la stessa strada una settimana dopo con scarponi troppo rigidi e nuovi o di misura sbagliata con lo stesso risultato. Il trauma al piede è causato questa volta dalla scarpa e non dalle pietre.
Paragonate la parete dello zoccolo, deviata e deformata, allo scarpone stretto. Non è facile capire se si ricade in un caso o nell’altro. Dovete togliere al cavallo lo scarpone e fargli calzare la scarpa da ginnastica? O viceversa? O è possibile una scelta intermedia e avere a disposizione la scarpa giusta? Se riducete lo spessore della parete dello zoccolo e lo fate seguendo la regola di triangolazione di Jackson è come se alleggeriste le scarpe. Ma attenti perchè allo zoccolo non potete riattaccare il materiale che avete tolto e rimettere la “scarpa” più pesante.

Personalmente preferisco quasi sempre stabilire il breakover quanto più correttamente possibile dal basso (fase 3) e aspettare. Con la dieta corretta e semplice di solo fieno eventualmente analizzato e integrato (senza ricorrere ai buffi e rozzi prodotti di selleria) la parete comincia a crescere lentamente aderente all’osso sottostante allungando il tratto superiore centimetro dopo centimetro e la ”bugna” costituita dal tratto di parete deviata scende piano piano. Man mano che scende la elimino con il bevel.
Insomma c’è tempo a lavorare dall’alto, credo sia una scelta più remota. Lo zoccolo rimane più rigido? Questo dovrebbe andare a vantaggio di una minore sensibilità quindi maggiore capacità di movimento, recupero generale.
E’ meglio favorire un elaterio maggiore reso inutile dalla mancanza di movimento nel dolore o mantenere per un certo tempo una maggiore rigidità del sistema favorendo il movimento e la generale riabilitazione? Non ho dubbi sulla risposta.
Perchè a volte, in mancanza di terreno adeguato e collaborazione del proprietario, si preferisce aspettare a sferrare nel caso di laminite acuta ? Perchè il ferro, nella sua miseria, al momento ingessa.
Cercate Brigitte in “studio di zoccoli”. E’ un esempio di come, lavorando solo dal basso per mesi, è stato possibile dare sollievo alla cavalla e rettificare del tutto la parete. Brigitte rettificò in un ciclo di crescita (HOG- bollettino 100 di Jackson) nonostante la vecchiaia e la condizione.
Facciamo un altro esempio. Vi siete dati una martellata su un dito. Fasciate bene e cercate di non urtare da nessuna parte! Non volete che la vostra unghia si muova! Lo stesso servizio del cerotto al vostro dito lo fa la massa della parete sullo zoccolo che contribuisce ad irrigidire.
Se lavorate solo dall’alto il dolore potrebbe aumentare. Dovrebbe diminuire invece se accorciate correttamente l’unghia dal basso realizzando il punto di distacco dove dovrebbe trovarsi e nello stesso tempo rispettate l’integrità dell’unghia. L’unghia “copre” ma non viene più sollecitata dal terreno.
Non credo ci siano molte vere occasioni di lavoro dall’alto se non nei casi di grave distorsione della intera capsula cornea. Per grave distorsione intendo quella dove la parete non arriva a toccare terra e punta verso l’alto. Cercate asini laminitici in “studio di zoccoli” .
Se comunque si sceglie di ridurre lo spessore della parete almeno non facciamolo riducendo lo spessore al di sotto del suo spessore medio seguendo quello che è stato l’insegnamento di Jackson.

Da pagina 106 del booklet “Official Trimming…”: Yet another convention among farriers, barefoot trimmers and other not gauging their work by wild horse standard, is the practice of rasping the outer wall to remove flare. The danger in doing this is that removing all flare can result in reducing the hoof all to less than its natural thickness, and even penetrating the white line and dermis. The associated risk…Even wild horse have flare… ma cosa intendete per spessore naturale?

In molti articoli del decennio scorso (2000-2005) si insisteva sulla necessità di rendere uniforme lo spessore della parete lungo tutto il suo perimetro. Per naturale spessore intendete una spessore uguale lungo tutto il perimetro? Natural thickness e spessore uniforme sono due cose assai diverse. Ridurre la parete ad uno spessore uniforme e di conseguenza  le fare era ed é da quasi tutti per inerzia considerato normale, si realizza un ampio tratto perpendicolarmente al piano di appoggio e il quantitativo di materiale asportabile con la triangolazione è parecchio.  Se intendete invece per natural thickness uno spessore della parete maggiore alla punta piuttosto che ai quarti (con la stessa metodica farete un lavoro diverso) e porterete via meno materiale. Una voce dissonante nel coro è stata quella di La Pierre che ha insistito sulla forma a balestra della parete e sulla necessità di preservarla. L’unghia del cavallo vista in pianta richiama la “spring leaf” attuatrice forgiata dal fabbro….( The Chosen Road DVDs, K.C. LaPierre)

Gli asini dimostrano uno spessore della parete di spessore uniforme lungo tutto il perimetro. E’ una delle loro particolarità, un segno di distinzione. NON i cavalli.

Perchè rendere uniforme lo spessore della parete lungo tutto il suo perimetro prendendo a riferimento lo spessore ai quarti? L’unghia è elastica e resistente e il suo spessore aumenta man mano che si procede verso la punta. Riducendone lo spessore se ne riduce la resistenza. E’ come ridurre la robustezza di un arco, che è di spessore maggiore all’impugnatura.
L’unica ragione che avete per ridurre lo spessore di un arco all’impugnatura è quella di diminuire la sua rigidità. Spero che saree d’accordo con me sul fatto che nel caso dello zoccolo non è sempre il caso.

Nella stragrande maggioranza dei casi individuare il breakover da sotto (con Ramey) preserva l’integrità totale della parete soddisfando pienamente la meccanica della locomozione. Avete l’uovo e la gallina. Non solo. Eviterete errori grossolani rimuovendo ad ogni pareggio materiale per ridurre “flare” che non sono patologiche ma che non siete capaci di distinguere come tali. Even wild horse hooves have “flare” (JJ).
Nel prossimo articolo ci soffermeremo sulle comuni manie che dimostrano i pareggiatori con poca testa ma tanta voglia di apparire nel finire la parete e di come può diventare impossibile realizzare un bevel od un roll nella posizione corretta se prima si è reso uniforme lo spessore della parete lungo tutto il perimetro. E di come pratiche sconsiderate indeboliscano la parete favorendo lo sviluppo di crepe, fessurazioni, setole.

Il barefoot e la gestione naturalizzata…

Introduzione dedicata agli studenti partecipanti al convegno del 3 marzo 2107 organizzato all’Università di Teramo.

Ho deciso di raccontarvi prima di accennare a anatomia e fisiologia, per meglio orientarvi nello spazio e nel tempo, quello che faccio insieme ad altri, soprattutto anglosassoni. Con e per i cavalli e per l’uomo, naturalmente. E quello che succede “fuori dal paese”.

Durante i mitici anni 60 e 70, un gruppo di intellettuali era molto attivo nel denunciare le condizioni di vita degli animali negli zoo.
Chiedevano per i selvatici qualche cosa di meglio delle solite gabbie. Spazi dove potessero almeno muoversi, una minima separazione dai visitatori e la possibilità di vivere in gruppo con altri rappresentanti della loro specie. Ai tempi la sensibilità era forse maggiore, la globalizzazione inesistente ed il primato del mondo occidentale ancora saldo, l’economia in crescita dopo la seconda guerra mondiale, i tempi meno stretti ed era possibile avere ed esprimere principi, non solo aspettative individuali.
Lo zoologo Desmond Morris, direttore dello zoo di Londra ed etologi allora molto conosciuti, premi Nobel per la la fisiologia e la medicina nel 1973 come Tinbergen (biologo), Lorenz (medico) e von Frisch (biologo) per citare solo alcuni, riuscirono direttamente o indirettamente a far si che le condizioni di vita di molti animali migliorassero.

All’università di Oxford una moltitudine di biologi tra cui lo stesso Morris e Dawkins conseguirono il dottorato di ricerca con Tinbergen. Alcuni genetisti, evoluzionisti come Dawkins ed etologi posero le basi che favorirono in seguito la organizzazione su base teorica delle scuole di equitazione naturale. Il loro lavoro non è molto conosciuto al di fuori della stretta cerchia dei biologi genetisti ed evoluzionisti. Solo alcuni libri particolarmente divulgativi di Lorenz sono stati tradotti in lingua italiana e questo ha determinato anche in molti laureati a causa della loro incapacità di analisi matematica la conoscenza di solo alcuni principi, anche essi spesso deformati. La genetica e persino il comportamento sono analizzabili compiutamente con l’ausilio della analisi matematica.

Torniamo alla gestione degli animali. In una decina di anni molti zoo del mondo occidentale furono completamente ristrutturati. Io stesso sono testimone di quella di Torino. Spesso furono le famiglie dei visitatori che decretarono il cambiamento, infatti il numero di coloro che visitavano gli zoo convenzionali o andavano ad assistere a spettacoli circensi dove venivano impiegati animali diminuì drasticamente. Da questa evoluzione del comportamento umano nella gestione animale i cavalli e gli asini rimasero esclusi.
I cavalli sono animali “domestici” non selvatici. E a differenza dei cani sono classificati animali da reddito.

Purtroppo per loro “domestico” è un termine che identifica un animale capace di vivere in un ambiente fortemente antropizzato cui sono negate per ignoranza o calcolo le necessità di specie.
Se domestico significa adattato a vivere con l’uomo a che serve dare loro maggiore spazio di quello corrispondente ad una stanza o un’aia, la possibilità di alimentarsi da erbivori e con continuità invece che ad ore fisse? La definizione animale da reddito ne giustifica poi la cura limitatamente a quanto può tornare utile alla produzione.

Nel frattempo, mentre negli zoo gli animali selvatici venivano in parte affrancati dalle gabbie, la bestia da lavoro cavallo si era già avviata alla trasformazione, iniziata la meccanizzazione agricola, in attrezzo sportivo rimanendo nelle poste o transitando nel “box”. Questo ha peggiorato se possibile la vita dei cavalli.
Da lavoratori da impiegare quando necessario e da mettere a riposo ma tenere con cura tra un lavoro e l’altro si sono visti trasformare in attrezzi sportivi sempre a disposizione ma spesso trascurati. Mentre il lavoro si ripresenta come necessità puntuale con l’avvicendarsi delle stagioni, lo sport è una passione che come arriva se ne va.
La ferratura era parte integrante della preparazione al lavoro anche se non sempre ed a seconda dell’animale impiegato, asino cavallo o mulo.
I ferri erano “il male necessario” da togliere ogni volta che lavoro non ce ne era o la stagione era finita.
E semplicemente era sentito come normale considerare necessari i tempi di riposo dalla ferratura. L’animale sportivo, poiché sempre teoricamente a disposizione, non ne gode più.
Una parentesi più lunga di quella che sto per dedicare meriterebbe la bocca. Le redini dell’animale da lavoro erano spesso posate. L’uomo aveva da manovrare l’attrezzo trainato dal cavallo. Di conseguenza spesso l’animale era in capezza, senza imboccatura. E senza paraocchi perché doveva vedere bene dove mettere i piedi nel bosco o su sentieri esposti a differenza del cavallo della corriera lanciato su strada.
L’addestramento sovente era fine e la manovra mediata da richieste vocali. L’addestramento fine nulla altro era che il risultato del gran tempo passato ogni giorno con l’animale. Antonio Broglia, commissario tecnico della nazionale attacchi e figlio di contadini amava ripetere: – chi lavorava con i cavalli, contadino, trasportatore o boscaiolo che fosse, non aveva nessuno ma proprio nessuno con cui parlare tutto il giorno. I comandi vocali e il finissimo controllo erano il risultato delle molte ore passate insieme.
Questi cavalli da lavoro, vera risorsa per la famiglia, venivano lasciati liberi nei boschi o nelle zone aride e improduttive quando il lavoro scarseggiava per ridurre l’impegno giornaliero di pulizia delle stalle ed il costo di foraggiamento.
Se ne possono osservare ancora. Sulle prealpi bellunesi in alcune malghe mi è capitato di trovare in alcuni periodi dell’anno cavalli scalzi che sembrano sculture di Michelangelo forgiate dal lavoro ed in attesa di riprenderlo. Insomma non erano certo rose e fiori ma il cavallo del contadino per molti aspetti stava assai meglio di quello del signore e viceversa ed alla fine della sua pur breve intensa vita produttiva l’animale aveva spesso anche qualche cosa di buono da raccontare. L’immagine del bruto che percuote l’animale era meno comune di quella che oggi si nasconde dietro le gradinate per punire il cavallo con rapidi ed alternati strattoni dolorosi delle redini.

Tutto questo è finito con i centri ippici e i condomini per cavalli dove al box si alterna il tondino. E la domenica il viaggio per il concorso. O il box perpetuo. O i piccoli recinti sgangherati pieni di fango. Quando l’equitazione diventa uno sport per tutti, l’animale non è tra coloro che ne trae vantaggio. Quando è uno sport esclusivo, la selezione, il macello, l’allenamento duro ed il comportamento brutale dietro le quinte è anche più comune.

Questo è sembrato il nuovo destino per i cavalli.
Se non che sempre più proprietari di cavalli e di asini non vedono il loro animale come la “bestia” da tenere chiusa in restrizione di movimento, da tirare fuori dal “box” come una motocicletta da corsa o da cross per fare un giro. A questi proprietari, la gestione ottusa è diventata stretta.

Perché?
Senza essere animalisti queste persone sono diventate consapevoli del maggior grado di benessere e di salute di cui possono godere gli animali governati con dignità e attenzione alle loro necessità di specie. Vorrei rimarcare che non si tratta quasi mai di altruismo. Non dobbiamo aspettarci che l’altruismo faccia parte della nostra natura biologica. L’altruismo va infatti insegnato dai genitori o dagli insegnanti ai figli ed agli studenti come forma di comportamento utile a migliorare le condizioni di vita comune. Nel caso degli animali, assai più distanti geneticamente per il proprietario dell’umano più distante, anche il minimo altruismo non trova giustificazione nella salvaguardia istintiva di una pur piccolissima parte del proprio genoma. L’utile consiste nel minore dispendio di energie necessario al governo e nell’investimento sul futuro .

Come?
La pulizia e l’igiene insieme alla tecnica rendono possibile, economico e performante il piede scalzo.
Sufficiente spazio e libero movimento allontanano e riducono la possibilità di traumi derivanti dalla mancanza di riscaldamento prima dell’allenamento.
La alimentazione di solo fieno ed erba, riducono se non cancellano l’insorgere di patologie gravissime, prime fra tutte le coliche e la laminite, prima e seconda causa di morte del cavallo domestico.
Fioccati, laminati e concentrati sono infatti l’equivalente dell’uso in alimentazione umana di alimenti ad alto indice glicemico responsabili di disordine metabolico.

Chi?
Maniscalchi, biologi, veterinari, agronomi e ricercatori universitari hanno contribuito, ognuno grazie alle sue conoscenze a tracciare, riscoprire sarebbe più onesto scrivere, la strada della parziale naturalizzazione dell’ambiente del cavallo che quando praticata elimina sofferenze, è pratica ed economica, fa rimanere sound gli animali a lungo.

Quando?
Si è arrivati a questo indirettamente. Le tecniche e le conoscenze sono ottime, la diffusione lenta dopo l’esplosione dei primi anni. Al rallentamento ha contribuito la attuale involuzione della nostra società occidentale. Non poco il discredito derivante dalla presenza di individui e gruppi non sufficientemente preparati.
Constatata la vigoria e bellezza dei selvatici scalzi ci si è chiesti se fosse possibile ottenerla nei domestici. Si è cominciato a sferrarli ed a rendersi presto conto che lo zoccolo e la performance dei selvatici dipendevano soprattutto dall’ambiente, alias spazio, movimento, pulizia ed alimentazione. I cavalli che popolano ancora le praterie americane perdono le loro caratteristiche dopo poche settimane dalla cattura.

E’ così che maniscalchi hanno cambiato nome e messo a punto nuove tecniche perché le vecchie erano solo premessa per la creazione di un piano di appoggio del ferro.
Biologi hanno osservato l’ambiente dei selvatici per riprodurne per quanto possibile le condizioni negli ambienti domestici. Agronomi hanno valutato le differenze nel contenuto di nutrienti fra ciò che che contiene la massa di cui si nutre il selvatico sano e ciò che viene proposto nella stalla al domestico pieno di problemi. Tecnici di laboratori americani specializzati nella analisi degli alimenti e ottimizzazione della dieta dei ruminanti per la produzione di carne, latte e derivati hanno creato dipartimenti specializzati per gli equidi. E ricevono campioni di fieno destinato a cavalli da tutto il mondo anglosassone, Australia, Sud Africa, Stati Uniti eccetera. Da qualche anno, grazie a Leonardo de Curtis (AHA) che per primo ha aperto la strada, anche dall’Italia. A prezzi e soprattutto con dettaglio di analisi dei nutrienti senza nessuna competizione possibile da parte dei laboratori italiani ed europei.

E’ nata la “gestione naturale”. Che vi invito a non dimenticare dovrebbe essere meglio chiamata “naturalizzata”. Con essa l’affrancamento dell’animale “da reddito” che non era stato possibile ai tempi dei biologi della generazione precedente alla mia. La diffusione del sistema, costituito dall’insieme di ciò che è stato riscoperto del vecchio governo e delle nuove tecniche, è il primo obiettivo del movimento barefoot sano. Le buone idee e propositi sono inutili se non vengono diffusi. Dalla home page della American Hoof Association: Certified Trimmers are available as clinicians; these experienced trimmers find education to be as important in their practice as is their work at the hoof.

L’obiettivo del “barefoot movement” che è innanzitutto il benessere animale associato necessariamente alla gestione semplice ed economica, si realizza attraverso la partecipazione e capacità del proprietario. E’ il proprietario che passa la maggiore quantità di tempo con gli animali, nessun professionista può sostituirsi a lui nella osservazione e cura quotidiana.
Cura che non è affatto difficile fin quando la situazione non è deteriorata e si posseggono pochi elementari ma logici principi e capacità manuale.
Si tratta di abbandonare degli stereotipi come la ferratura, le fasce e le coperte, i concentrati, il box. O altri stereotipi come la convinzione che l’animale non possa essere mantenuto in controllo senza imboccatura. Si tratta di capire che l’erba non è “uguale” durante le stagione dell’anno e ridurre o sospendere il pascolo primaverile. E di tante altre semplici accortezze da sostituire a comportamenti omologati.
Semmai le difficoltà derivano dall’inerzia che ci caratterizza, dalla paura di cambiare, dalla resistenza pesante opposta da chi vive sugli animali nel tentativo di mantenere rendite di posizione che trovano alimento nella malattia. Nonostante ciò sono sempre di più gli animali che vivono scalzi, mangiano da erbivori, sono condotti in capezza e godono di ottima salute senza causare grattacapi al loro proprietario rappresentando al tempo stesso il migliore biglietto da visita del sistema barefoot di gestione. Capaci di far fronte ad ogni terreno ed impiego come vedrete nel cortometraggio che ho preparato per voi.

Se credete che il vostro cavallo abbia bisogno dei ferri per muoversi con disinvoltura mettetevi in discussione. E’ l’ambiente che dovete modificare.
Se credete che il vostro cavallo abbia bisogno di essere alimentato sempre e comunque con concentrati mettetevi in discussione. Non conoscete gli erbivori e le loro necessità.                      Se credete che il vostro cavallo o asino possa essere impiegato come tosaerba primaverile dovete veramente mettervi in discussione.

La performance richiesta a cavalli senza ferri del passato era molto più dura di quella richiesta a qualsiasi cavallo sportivo di oggi. Il cavallo della statua dell’imperatore Marco Aurelio è scalzo, i romani non conoscevano la ferratura e ciò non ha impedito loro di conquistare l’Europa. Nel vallo Adriano, la più imponente fortificazione ed insediamento militare romano conservato fino ad oggi, non è stato trovato un solo ferro di cavallo. Nè ne parlano gli scrittori del tempo. I mongoli hanno devastato mezza Europa dopo avere fatto migliaia di km con i loro piccoli cavalli scalzi.
La ferratura nata nel Medio Evo e diffusa grazie alla siderurgia faceva fronte alle condizioni igieniche degradate delle stalle e alla necessità di maggiore offesa in battaglia. Se non siete in condizione di trarre vantaggio da una di queste due miserabili situazioni il detto ottocentesco “la ferratura è un male necessario” vi resterà in mano come una paglia corta. Ma inutilmente. La tecnica ed i materiali insieme al comportamento umano si aggiornano.

Franco Belmonte vive a Trevignano R. E’ un biologo da anni impegnato didatticamente nella formazione di pareggiatori e operatori del settore con obiettivo finale l’indipendenza del proprietario nella cura dello zoccolo e alimentazione del cavallo. Fa parte della American Hoof Association, espressione di agronomi, veterinari, ex maniscalchi, ricercatori e docenti universitari. Lui stesso collabora con facoltà di veterinaria ed è autore di pubblicazioni ad argomento podologico e di scienza dell’alimentazione su riviste specializzate nordamericane.

Sito blog : bitlessandbarefoot-studio.org

Il pascolo ed il lavoro nei campi

Ecco alcune considerazioni tratte dal corso web 2016-17. Scritte in occasione della lettura dell’ottavo capitolo del libro di Ramey a cura dell’agronoma K.Watts. Le ho pensate per i partecipanti al corso ma sono utili comunque. Il Pascolo e i suoi pregi e difetti, problemi e gravami. Soprattutto quando la zona non è appropriata e gli animali non particolarmente forti o addirittura sensibili o già laminitici. Vi consiglio la lettura degli altri articoli in questa sezione per meglio apprezzare questo.

Vi invito a procurarvi il libro “Care and Rehabilitation of the Equine Foot” e leggere attentamente, o rileggere, il capitolo 8 e quelli che seguono sul fieno e la elaborazione della dieta.

Se lo fate potrete tradurre ogni frase in un carico di conoscenze necessarie e lavoro notevoli. Tali da scoraggiare molti dal tenere uno o più cavalli per se o per altri? Non si possono scoraggiare gli ignoranti semmai andrebbero isolati non essendo possibile impedire loro di tenere animali. Non esiste una normativa. Il modo migliore è dirottare amici e clienti indicando  centri maggiormente attrezzati intellettualmente o invitarli a far da sé.

Le attenzioni al pascolamento sono particolarmente necessarie per i cavalli sensibili ed a tutti gli asini e poni e dovrebbero fare riflettere sulla necessità di orientare se stessi e gli altri verso una scelta consapevole dell’animale che si vuole portare a casa perchè costituirà eventualmente un grave problema. O di lavoro e attenzione oppure di inutilizzo e malattia. La scelta oculata dell’animale per la vita obbliga alla conoscenza, alla scaltra osservazione ed a sapere guardare in basso, in bocca e nel campo avendo le capacità proprie del vecchio mercante di cavalli. Ora, dell’hoof care provider ben addestrato.

Il lavoro e manutenzione dei campi è effettivamente un lavoro, oneroso e continuo. Quello che descrive Watts è ciò che fanno i contadini capaci ogni giorno. Sia che siano orientati alla produzione per il mercato che orientati alla produzione di foraggi ormai ritenuti particolari per il basso, e  ricercato, contenuto in carboidrati non strutturali o altri alimenti specifici. Si può pretendere che un proprietario sorvegli il pascolo continuamente, ruoti, delimiti, segreghi, concimi, arieggi, valuti l’altezza delle piantine? Decidete voi. Fatto sta che un cavallo o più cavalli costano e un tempo erano appannaggio del cavaliere che poteva mantenere scudiero, stalliere e contadino. In mancanza di servo, stalliere e scudiero o si lavora per quattro o la bestia ne paga le conseguenze.

Le difficoltà reali sono tali che probabilmente l’unica soluzione rimane quella del track system. Possiamo seminare o lasciare inselvatichire il campo. Il campo non è mai overgrazed. Le erbe rimangono in pace per il raccolto. Le erbacce cariche di inulina (fruttano) non se ne impossessano facilmente. I cavalli si muovono di più. Eventuale pascolo può essere ricavato dai campi a seconda della stagione e allora ritorniamo alla necessità di comprendere ma anche di fare esperienza. Il minimo verde tramite aperture e chiusure di settori è possibile.
Questo con tutte le accortezze , limitazioni e tempi che il track system o paddock paradise come volete chiamarlo comporta e già descritte nel lungo articolo di tanti anni fa che trovate sul sito in letture.

Non c’è spazio per il track system? Allora non c’è un pascolo di estensione tale da creare almeno stagionale apprensione ma un recintino dove nessun cavallo sarebbe giusto costringere.
Alternativa più scadente è il dirt paddock ovvero il recinto dove non c’è nulla di verde o di vivo, e l’accesso al pascolo viene limitato stagionalmente o per un certo tempo ogni mattina.
Personalmente utilizzo un sistema o l’altro a seconda della stagione. Il primo estate, autunno ed inverno. Il secondo in primavera. Ma non strettamente lasciando alla fantasia ed alla contingenza l’ultima parola. Dai primi di marzo alla fienagione i miei tre cavalli soggiornano in un ettaro dove non c’è nulla.

Sia nei campi dove i cavalli non vanno mai e raccolgo il fieno sia in quelli dove i cavalli stazionano, eseguo una leggera concimazione chimica bilanciata ogni due anni per favorire la crescita e la densità e con esse l’ombreggiamento e la riduzione nel contenuto di carboidrati non strutturali a parità delle altre condizioni. La sola fienagione comporta uno sfruttamento limitato della terra.
Tengo invece il letame da parte per concimare a fine inverno i campi dove i cavalli transitano o pascolano. Anche per comodità, le letamaie sono li.

Il ciclo del Fosforo è diverso da quello dell’Azoto che è il primo limitante.
Il letame sparso in primavera e non interrato o distribuito con pompe per liquami come si fa in Alto Adige non si disperde prontamente nel terreno e si perde l’azoto rapidamente nell’atmosfera a causa dell’azione batterica. Di conseguenza il terreno si sbilancia lentamente a favore del fosforo. E’ il caso dei campi che circondano molti allevamenti. Paradossalmente dove gli animali insistono e/o si usa lo stallatico distribuendolo con il carro spandi letame o semplicemente con la pala è quindi necessaria una concimazione bilanciata Azoto- Fosforo a favore dell’azoto. O la sola concimazione con Azoto (Urea).
Il fosforo si deposita con le feci non raccolte, con l’urina e con il letame sparso da noi e derivante dalla digestione del fieno raccolto altrove e tutto li resta. Gran parte dell’azoto invece si disperde nell’atmosfera.

A sua volta questo si riflette parzialmente in uno sbilanciamento dei macrominerali allontanando il rapporto Calcio – Fosforo da quello ideale! Puledri storti e altri guai seri ! Necessità di bilanciamento (soldi e tempo!) della dieta quando il fieno non lo è. Aggiungere Calcio significa compromettere il già delicato equilibrio con il Magnesio.
Ignorare e Sbagliare presentano il Conto.

Il bilanciamento tra tutte queste e molte altre variabili è l’hoof care provider che deve essere in grado di fare o suggerire o prescrivere. Spero che ormai sarete convinti che non si tratta, non lo concepiamo come un energumeno pareggiatore munito di raspa. Quella è una figura figlia del maniscalco che ha fatto il suo tempo.

Quando le cose divengono più facili???? Quando il pascolo è quello descritto su vecchi libri di agraria. Vi ricordate quello che ho letto a Cesenatico, della prima metà del secolo scorso? (Agraria, Hoepli) “Il pascolo è un terreno che a causa delle roccie affioranti, il pietrame, la copertura arborea parziale, la natura povera del suolo, l’orografia, la distanza dal centro abitato é tale da non consentire nessuna attività agricola redditizia”. Una meraviglia per il bestiame brado. Vogliamo destinare altri campi al pascolo? Ne pagheremo le conseguenze.

F.B.

Il pareggio in pratica – 5

La fine delle discussioni sull’altezza dei talloni

La lettura di questo articolo deve essere preceduta dagli altri della serie (1,2,3,4). Realizzazione immagini, ing. Rossella Ghetti

Prefazione

Da bravo pilota di linea dovevo, in avvicinamento al campo ed in assenza di visibilità,  confrontare in ogni momento l’altezza dell’aereo e la distanza dalla soglia pista lungo un sentiero strumentale che, quando standard, ha una pendenza di 3°.  Altimetri e strumenti per la misurazione della distanza devono dare indicazioni tra loro pertinenti. In biofisica e bioingegneria è abitudine fare paralleli e cercare  soluzioni  copiandole dal naturale.

Ho constatato che nessun maniscalco o pareggiatore é capacace di mettere velocemente in relazione il ribasso della parete ai talloni in millimetri con la variazione di pendenza n gradi dello zoccolo. Insomma che si lavora “un tanto al kg.”  Non bisogna sapere che cosa comporta una azione? Azione che dovrebbe realizzare un progetto ed ha una ricaduta più pesante di quella che si immagina? La maggior parte di coloro che prestano la loro opera professionale lavorando con i cavalli non ha una istruzione tecnica o appartiene  a quella vasta categoria che non ha mai avuto simpatia per i numeri. Questo articolo è dedicato soprattutto a loro.

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Gli articoli di Pete Ramey, soprattutto le pubblicazioni successive come l’audiovisivo (“Under The Horse”)  sono chiari nell’esaminare le varie condizioni e situazioni che possono chiedere un lavoro differente  della parte posteriore dello zoccolo.  Nonostante ciò a dieci anni di distanza dalla loro pubblicazione è ancora diffusa l’incertezza.

Perché?

Molte persone mi hanno detto di conoscere Pete Ramey e magari di condividerne la tecnica così come di conoscere Jackson. Jackson non é solo l’autore del materiale divulgativo tradotto in italiano. Pete Ramey non è solo l’autore degli articoli del 2005 tradotti da Alex Brollo. Molto di più si trova negli audiovisivi di cui “Under The Horse” è introduzione e nel  libro “Care and Rehabilitation of the Equine Foot”. Per questo ma anche perché le pubblicazioni che diventano vecchie tendono ad essere dimenticate ho deciso di scrivere questo articolo ritornando sulle loro considerazioni ed aggiungendone altre nella speranza di fare chiarezza … per colui che vorrà questa volta prestare attenzione.

Durante le mie presentazioni della tecnica barefoot cerco di proporre un quadro riassuntivo dei vari autori, delle varie idee ed osservazioni che hanno reintrodotto la pratica del cavallo scalzo in occidente. Così, mentre attribuisco alla Strasser il merito di avere creduto nel barefoot già esaltato negli scritti di Bracy Clark due secoli prima, attribuisco a Jackson il merito di averci liberato dal dogma della pendenza dello zoccolo grazie alla osservazione naturalistica dei cavalli rinselvatichiti ed alla raccolta di dati.

Con loro si è aperto un ciclo, alcuni animali sono stati restituiti ad un ambiente naturalizzato mentre ci si é chiesto “nuovamente” cosa è opportuno fare quando il consumo limitato dal ridotto movimento non può compensare la crescita o la mancanza di varietà di terreni nei recinti non abitua lo zoccolo ad affrontarli. Lo stesso problema si presenta da sempre ed è trattato da Senofonte nel suo Ipparco. Tra le edizioni disponibili : “L’equitazione nella Grecia antica”- Trattati equestri di Senofonte e i frammenti di Simone- MEF

Con Ramey, Bowker ed il carico distribuito si è arrivati al totale disimpegno nella lavorazione della parete (libertà nella scelta della protrusione della parete dal piano della suola e poi nella sua finitura) che consente di affrontare con una efficacia prima sconosciuta la riabilitazione del laminitico senza l’utilizzo degli accessori che sono impiegati in mascalcia. Tra questi quelli utilizzati da Ovnicek dopo il pareggio e per la ferratura Natural Balance che descrive sull’ Adams’.

fig.1 modificata

figura 1

Gaussiana simile a quella di Jackson, “The Natural Horse”. In ascisse la pendenza della dorsale della capsula (toe angle). In ordinata la popolazione dei cavalli sui quali Jaime ha condotto le osservazioni. La curva di sinistra è relativa allo zoccolo anteriore. La curva di destra al posteriore. I valori , 54° e 58° sono i più rappresentati nella popolazione. Man mano che ci si allontana verso sinistra o destra il numero di animali cui appartiene una pendenza inferiore o superiore diminuisce. Diminuisce ma ciò non vale a sostenere che la loro conformazione è inferiore o inadeguata. La diversa conformazione è espressione della variabilità nella popolazione. La variabilità è una ricchezza. Una bella osservazione naturalistica di Jackson. Altri dati, ricavati su popolazioni di animali in evidente stato di stress come quelle, ad esempio, dei brumbies australiani debbono essere considerati con cautela.

Alla differente pendenza dello zoccolo deve essere ricondotta la diversa altezza che si “pretende” attribuire ad un tallone. Da sottolineare ancora che la pendenza è individuale come l’altezza e massa della piattaforma posteriore del piede.  Altre considerazioni sui possono fare sulla relazione tra altezza e larghezza del piede, massa dell’animale e superficie di appoggio, altezza dello zoccolo e data la velocità di produzione dell’unghia periodo necessario al rinnovamento totale.

La terza falange è un solido approssimativamente triangolare se osservato di lato. Consta di tre lati o facce. Dorsale, articolare, palmare o plantare. Qualsiasi variazione di pendenza della dorsale  si riflette sull’angolo di incidenza, o angolo di assetto, del lato palmare con il piano di appoggio. E come potrebbe essere diversamente se si tratta di un solido?

fig.2

figura 2

Terza falange stilizzata in due diversi assetti. Faccia palmare o plantare parallela al piano di appoggio (nero) e non (rosso). A diversi angoli di assetto b corrispondono diverse pendenze. Ad una variazione della pendenza corrisponde una variazione di assetto ed una eguale variazione di pendenza della corona. a=b=c

Se desiderassimo il nostro solido (con l’angolo compreso tra dorsale e articolare di 105° e l’angolo compreso tra articolare e palmare di 30°) appoggiato e parallelo al piano di appoggio, dovremmo per forza avere l’angolo compreso tra dorsale e palmare di 45°. Mi riferisco ora allo zoccolo del bipede anteriore.

Se siamo liberi dal dogma della dorsale a 45° e della articolare a 30° e lo siamo perché nessun teorema può vincere la osservazione e constatazione di ciò che esiste in natura ci limiteremo a accettare il diverso assetto dimostrato dai vari cavalli, rinselvatichiti o domestici che siano, come a loro proprio.  Se ad ognuno appartiene una diversa pendenza perchè forzarli ad assumerne una….


Nella descrizione della recente scarpetta Scoot (anno 2016) ad esempio il costruttore chiede il pareggio dei talloni indicando una minima profondità delle lacune collaterali al fettone cui consegua il parallelismo tra terza falange e piano di appoggio! Pensate quali forzature si continuano ad indurre. Dovessi pareggiare i miei cavalli seguendo quelle istruzioni li renderei immediatamente doloranti e bisognosi della protezione con scarpette. Il costruttore delle scarpette Scoot mette insieme molte affermazioni sensate accompagnate da vere e proprie stupidaggini. Il proprietario è indotto a creare nel piede del suo cavallo forme e proporzioni come se si trattasse di un pezzo di legno da scolpire. Nessuna cautela riguardo alle strutture interne,  densità e stato dei tessuti. Si ripropongono come se nulla fosse successo durante questi ultimi venti anni le stesse operazioni che hanno reso zoppi tanti cavalli dopo il pareggio e procurato al sistema Strasser tanti nemici e azioni legali, discredito ed abbandono. Il costruttore e venditore della scarpa conduce di fatto il cliente a costruire uno zoccolo dentro al suo prodotto piuttosto che una scarpa adattabile intorno allo zoccolo. Molti problemi di progetto sono risolti. Sarebbe accettabile dichiarare che la scarpetta si adatta ad un tipo di zoccolo, forzare decantando una forma non lo è affatto).  Riporto alcune frasi dalla pagina “sizing”: (…the ideal angle-of the coronet-should be at least 30°, which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel. To ensure that your horse has had a correct trim, this means low heels, no flare ). Etcetera. Le parole low heels di per se non significano nulla. Come vedremo nel prossimo articolo sul “pareggio in pratica” anche le flare non sono armonizzabili o riducibili sempre e comunque. La pubblicità della Scoot può condurre il proprietario ad azioni gravemente lesive.

Ecco delle frasi estratte dalla pubblicità alla scarpetta Scoot:

To ensure your horse has had a correct trim – this means low heels, no flare and bevelled hoof edges and rolled toe:

The heel height should range from 0mm (0″) to a maximum of 15mm (5/8″) from the bottom of the collateral groove to the top of the heel at the heel buttress (this is to ensure that the horse’s frogs have sufficient ground contact)

The ideal angle of the hairline at the coronet should be at least 30 degrees which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel

obvious indicator is the angle of the hairline at the coronet.

The ideal angle should be at least 30 degrees, which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel.

To ensure your horse has had a correct trim – this means low heels, no flare and bevelled hoof edges and rolled toe:

The heel height should range from 0mm (0″) to a maximum of 15mm (5/8″) from the bottom of the collateral groove to the top of the heel at the heel buttress (this is to ensure that the horse’s frogs have sufficient ground contact)

The ideal angle of the hairline at the coronet should be at least 30 degrees which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel

obvious indicator is the angle of the hairline at the coronet.

The ideal angle should be at least 30 degrees, which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel.


…  Ad ognuno di quegli infiniti assetti corrisponderà un diverso angolo palmare e gioco forza un diverso angolo di incidenza della faccia palmare con il terreno o piano di appoggio. Mi riferisco sempre per comodità ad un anteriore.

Se dovessimo pensare che non é così noi umani dovremmo calzare scarpe munite di tacchi di altezza diversa o suole di diverso spessore in punta per far assumere a tutti i nostri piedi il medesimo assetto o dovremmo  fare  ai nostri piedi quello che si pretende fare ai cavalli ovvero lavorarne il tallone al fine di raggiungerlo?

Nelle dissezioni accompagnate dalle note, relative alla capacità e soundness del cavallo prima della morte, la soundness è stata associata statisticamente ad un angolo palmare positivo, all’assetto positivo rispetto al piano di appoggio del lato soleale della terza falange. Il parallelismo invece alla incertezza o alla zoppia. (Bowker, Michigan Sate University)

Anche non volendo considerare valide o veritiere per qualsivoglia motivo questa osservazioni rimane il fatto che durante l’elaterio (per chi ancora crede in esso e la parola “crede” ci sta bene perchè la mascalcia dagli albori fino all’inventore delle scarpette Scoot è stata e resta un atto di fede) i talloni si allontanano uno dall’altro. Magari un pochino. O vogliamo “credere” ad una capsula cornea assolutamente rigida ed indeformabile? Con l’aumento della distanza tra i talloni la parte posteriore del piede si avvicina a terra e la capsula cornea e il nostro triangolo o terza falange se preferite, ruota in senso antiorario. La pendenza della dorsale della capsula si riduce, con essa quella della dorsale della terza falange e di conseguenza essendo essa appunto un solido si riduce l’angolo di incidenza della sua faccia soleare rispetto al terreno. Si riduce dello stesso numero di gradi.

Nel momento di massimo carico e di deformazione dello zoccolo lo scarico della forza peso avviene in modo ottimale se la terza falange (il nostro triangolo) vede la sua faccia soleare parallela al terreno.

fig.3

figura 3

Zoccolo stilizzato, vista posteriore. Appoggio in movimento e divaricazione dei talloni, deformazione elastica.

fig.3a

Figura 3a

Stesso zoccolo, vista laterale e indicazione dei due diversi assetti di P3, la freccia indica sia la rotazione di P3 che la deformazione elastica della capsula.

Per risultare parallela o quasi al terreno quando il carico è massimo la terza falange deve essere orientata con un certo angolo positivo quando il carico è più basso. Per esempio quando il cavallo è fermo e sullo zoccolo arriva a gravare soltanto la forza peso. La forza che grava sullo zoccolo aumenta considerevolmente quando il cavallo è in movimento.

Dovrebbe essere chiaro che partendo da un assetto pari a 0° a riposo, nel momento di massimo carico il nostro triangolino o P3 assumerebbe un angolo negativo rispetto al piano di appoggio. Questo peggiorando la capacità di trasferimento dei carichi a terra e creando zone di maggiore o minore compressione nel connettivo interposto tra terza falange e suola.

Pensate ad una balestra. Rivolge la sua convessità verso la strada e quando viene caricata la perde, tutta o in parte.

Probabilmente questa situazione viene riproposta ogni volta che, con il pareggio, si pretende di riportare la terza falange parallela al suolo a cavallo fermo. Magari sfruttando una immagine radiografica che per forza di cose si ottiene a cavallo fermo.  Perchè il cavallo è, anche se non sempre, in grado di far fronte a questa situazione negativa e nascondere l’errore umano?

Pensando a dove e come la tesi del parallelismo della terza falange con il suolo è stata formulata e continua ad essere difesa vi rispondete da soli. Se il cavallo vive su un terreno penetrabile e non aggressivo e compete su sabbia o erba, può disporre lo zoccolo come meglio crede. La punta dello zoccolo può penetrare nel terreno, riportando la sua pendenza apparente a quella corretta. Una pianura alluvionale tedesca o un prato inglese consentono questo. Meno sostenibile sarebbe la situazione su terreni vari, su pietraie, ghiaia, terreni secchi e duri dove quegli stessi cavalli incontrerebbero maggiori problemi e dovrebbero calzare scarpette o essere ferrati.

Ma veniamo finalmente ai talloni. Sono essi con la loro forma, dimensione, altezza, a reggere la pendenza dello zoccolo. Più basso il tallone minore la pendenza e viceversa. Se è vero che esistono zoccoli più corti e più lunghi, più alti e più bassi, più o meno ripidi, più grandi e più piccoli, come i nostri piedi e le nostre scarpe, assegnare una costante all’altezza dei talloni almeno stona. Per costringere la terza falange ad essere parallela al piano di appoggio  saremmo costretti ad abbassare i talloni. Ma di quanto?

Vi propongo un piccolo esercizio di geometria. Guardate la figura n. 4. La base del triangolo é di 6 cm. Ad un angolo all’ipotenusa di 1° corrisponde una altezza del triangolo di 1 mm. Ad ogni incremento dell’angolo di un grado corrisponde un aumento dell’altezza di un millimetro.

1° corrisponde a 1 mm. 2° ” a 2 mm. E così via…questa è una approssimazione che vale per angoli piccoli, fino ad una decina di gradi.

fig.4

figura 4

Triangolo di base 6 cm. Ad un angolo di 1° corrisponde una altezza di 1mm. E così via. L’approssimazione vale per piccoli angoli.

Ora un esempio.

Scegliamo un cavallo con uno zoccolo lungo 12 cm. Disegniamo un triangolo di base 12 cm. invece che di 6 cm. Ad ogni grado corrispondono ora 2 mm. Guardate i due triangoli simili di figura 5.

fig.5

Figura 5.

Due triangoli simili di 6 e 12 cm. con altezza 0.5 e 1cm.

Ora immaginiamo uno zoccolo intorno al nostro triangolo lungo 12 cm e altezza 10 mm. Aggiungiamo un oggetto sopra l’ipotenusa del triangolo. Immaginate sia la terza falange.

fig.6

Figura 6

Sopra il triangolo di base 12 disegniamo un altro oggetto (P3)

Per portare l’oggetto 🙂 parallelo al terreno dobbiamo ridurre l’altezza del triangolo su cui appoggia ( l’altezza dei talloni), di quanto? Dovreste essere in grado di rispondere.

Se volessimo ridurre la pendenza da 5° a zero e il piano su cui l’oggetto poggia fosse lungo 12 cm. dovremmo portare l’altezza del triangolo da 10 mm. a 0 mm.  Se prima del pareggio la parete all’angolo di inflessione sporge sufficientemente dal piano della suola il problema è eventualmente limitato ad una sensibilità aumentata o ad una ridotta stabilità su terreno penetrabile. Se invece il parallelismo è ottenuto portando verso 45° la pendenza dello zoccolo oppure ed é lo stesso a 30° la pendenza della corona senza riguardo a ciò che è necessario togliere nella parte posteriore del piede la sensibilità diventa più propriamente dolore. Un conto è ridurre l’altezza della parete (unghia) rispettando la suola altro invadere la suola.

Altra complicazione è determinata dalla perdita dell’arco palmare. La base del triangolo di fig. 6 non è effettivamente un piano ma un arco. Se si ribassa la parte posteriore dell’arco si perde la curvatura. Se si vuole riottenere la curvatura è necessario invadere la suola ai quarti e così via.

Potete comprendere come e quanto la volontà di realizzazione di una idea, in questo caso una pendenza data o un immaginario tallone “basso” possa guidare ad un pareggio distruttivo. La pendenza non è determinata da un punto all’estremità posteriore dello zoccolo. E’ tutta la piattaforma posteriore del piede a contribuire. Tutta la zona dell’angolo di inflessione, le barre. Ma le barre, anche esse mortificate dal coltello, portano via con loro trazione, aderenza, capacità della suola di resistere ad una deformazione eccessiva sotto carico. Eccetera.

Quando volete un “tallone basso” riflettete. Quando un pareggiatore vi dice che il vostro cavallo ha un “tallone troppo alto”chiedetegli perché. Insegue un modello?

Si accinge a entrare nel piano della suola per ridurne l’altezza o la parete sporge da essa eccessivamente? Sono due situazioni molto diverse. Solo nel secondo caso la riduzione dell’altezza della parete ai talloni è probabilmente dovuta (ma in ogni caso prima di ridurla il pareggiatore dovrà chiedersi il motivo del mancato consumo). Nel primo caso il cavallo  potrà recuperare la disinvoltura e sicurezza del passo solo in molto tempo. Durante tutto quel tempo potreste credere che il barefoot non fa al caso vostro e sia una cosa sbagliata. Quando il cavallo darà segni di recupero sarà ora di un nuovo pareggio e se la volta precedente avete chiuso gli occhi la seconda saranno i vostri vicini a farveli riaprire. Peccato che incriminato sarà il cavallo ed il barefoot non lo sconsiderato ignorante che avete pagato per causare un danno.

Un conosciuto video di alcuni anni fa della “Scuola Svedese di Pareggio” mostra come uno zoccolo del moncone di una zampa di cavallo risponda con un elaterio maggiore dopo avere ridotto l’altezza ai talloni. Non voglio affermare la praticità ed efficienza di un tallone “troppo alto”. Al contrario. Ma nessuno può chiedere a quel moncone  se stava meglio prima.

Il vostro pareggiatore sa riconoscere il piano della suola magari ricoperto da materiale non esfoliato? Non sarebbe opportuno salvaguardare le placche di materiale non esfoliato sulla suola o accettare una altezza dei talloni appena più elevata? Riconosce l’importanza dei vari terreni? Quella della corretta alimentazione e dei problemi causati da uno sbilanciamento, eccessi e carenze? La necessità della disinfezione dello zoccolo ed in particolare del fettone? Vale la pena intervenire su un asse digitale? E se si di quanto varia l’allineamento fra terza e seconda falange se, potendo e avendo materiale a disposizione, riduco la protrusione della parete ai talloni di tot millimetri se lo zoccolo è lungo tot centimetri? Quanto carico un fettone malandato può sopportare e quanto, gradualmente, possiamo riportarlo in gioco considerando la penetrabilità del terreno dove il cavallo vive? Eccetera. Non sono domande o risposte semplici? Coloro che non sanno rispondere  studino. Leggere e comprendere gli scritti e gli audiovisivi di Ramey può farvi evitare  errori.  Il tempo della sperimentazione non è definitivamente finito ma non giustifica l’ignoranza e la maggiore sensibilità dei cavalli ad ogni pareggio. Se siete proprietari infine sarebbe meglio che voi stessi possedeste elementi di meccanica applicata al pareggio, visto che non potete sperare che chi avete chiamato li abbia. E far da voi.

 

Alimentazione, analisi del fieno

Novembre 2016

Mentre io,Leonardo de Curtis e Michela Parduzzi da qualche anno durante i corsi, con i conoscenti ed i clienti parliamo di nutrizione, di analisi del fieno e della integrazione della dieta del cavallo e dell’asino, negli USA e mondo anglosassone in genere la pratica è consolidata. La rivista The Horse (da non confondere con The Horse’s Hoof edita da Yvonne Welz) non lascia passare un mese senza pubblicare un articolo sul fieno, sull’erba. La cosiddetta sindrome metabolica trova la sua origine nelle erbe e di conseguenza nei fieni con esse prodotti. Le erbe sono state “migliorate” nei decenni per massimizzare la produzione degli animali da reddito. Un settore dove l’obiettivo non è quello della performance del cavallo atleta o dell’animale che deve vivere a lungo. Senza una analisi del fieno non è possibile correggere la dieta o decidere di cambiare fornitore. Se per un animale apparentemente in buona salute la analisi del fieno è cautelativa e preventiva, nel caso di un laminitico o prono alla laminite si tratta del passo necessario per affrontare con determinazione e efficacia il cambio di gestione.                                                

In questo articolo una alimentarista spiega semplicemente la procedura di campionamento e analisi al proprietario.                                                                

Americani, australiani, sudafricani e popoli di lingua inglese in genere inviano i campioni di fieno per l’analisi ad un laboratorio nello stato di NY. Non solo i proprietari di cavalli ma soprattutto gli allevatori di bovini e i produttori di latte. Altri laboratori lavorano in USA, ad esempio quello associato all’Università del Kentucky.  Purtroppo in Europa la pratica non è ancora diffusa, i costi di analisi sono estremamente più elevati, le unità di misura per l’energia adatte all’erbivoro ruminante, di alcuni minerali ad esempio il rame non viene determinato il contenuto.  Infatti, come gli australiani  o i tedeschi per esempio, affrontando una pratica burocratica extra io e Leonardo de Curtis preferiamo inviare i nostri campioni in USA. Riceviamo il profilo alimentare in 15-25 giorni.  

Leggete gli altri articoli di presentazione dell’argomento in questa sezione, l’alimentazione è uno dei più importanti aspetti della vita. Il vostro pareggiatore NON è un vero professionista se non è sensibile all’argomento e non è capace di aiutarvi e sostituirsi a voi almeno nel campionamento del fieno. Una pratica che è semplificativa della gestione e quindi economica.

The Horse, 7 novembre 2016

Hay analysis is the most accurate way to determine your hay’s chemical composition and nutrient value. The data you get back is useful in deciding whether a particular hay is a good choice for you horse. Ideally, hay growers should analyze it prior to purchase, but unfortunately fewer growers and brokers fully test hay they sell to horse owners prior. Therefore, you’re often left analyzing the hay post-purchase. If you have a horse with special dietary needs, such as low nonstructural carbohydrate (NSC) levels due to equine metabolic syndrome, purchasing hay before it is tested is a gamble.

Get a Good Sample
The data provided on a hay analysis is only as good as the submitted samples, so getting a representative sample is very important. While you might feel tempted to take a grab handful from a bale to submit to your chosen lab for analysis, this won’t result in data that’s representative. You’ll need to collect samples from multiple haybales. According to the National Forage Testing Association, the first step is to identify a single lot of hay. If testing hay prior to purchase, make sure the sample is from a single cutting, from the same field, and of the same type of hay.
If possible, avoid testing hay that has just been baled. Hay just off the field may might have high moisture levels, which can impact results. It’s better to take a sample at the time of sale or just shortly before feeding it. This way the results more closely match the hay you are actually feeding.
Next, you will need a hay corer or probe. This is typically a hollow stainless steel tube with a sharpened end that’s about two feet long and 3/8- to ¾-inch in diameter. Smaller diameter cylinders result in a sample that does not adequately represent the stem-to-leaf ratio of the hay and might result in inaccurate data. The market offers several commercial hay probes, a common one being the Penn State Sampler. This corer is attached to a battery or electric drill for easy sample collection. The National Forage Testing Association (NFTA) offers a list of hay-testing probes and where to purchase them. Shafts made of metals other than stainless steel should be avoided as they could contaminate the sample. Some analysis labs sell probes and include the cost of a test in your purchase.
You’ll also need something to place your samples in as you core a minimum of 20 bales. I recommend having a sealable storage bag on hand for collecting the samples.

Collecting and Shipping Your Sample
With hay probe and bag in hand you are now ready to walk around your haystack selecting random bales to sample. It is important that you don’t avoid or select any particular bale. Rather, walk five steps and sample a bale. Walk 10 steps and sample another bale, regardless of what the bale looks like.
Take the sample from the short end of the bale, so when you insert the probe it cuts through a cross section of several flakes. Draw imaginary lines from corner to corner of the short end making an X and insert the probe where the lines cross. The probe must be inserted into the bale straight for about 12 to 24 inches. After removing the probe from the bale, empty the contents into your bag before moving to the next bale. Repeat about 20 times randomly around the stack.
Knowing how much forage to collect for your sample is important. The lab needs to grind the whole sample for accurate testing, and if you send too much they might just grind a subsample, which defeats all your efforts of collecting samples from multiple random bales. Ask your lab contact in advance whether the lab will grind the entire sample and how much sample is needed. Most require about a pound of hay.
Once collected, seal the bag and mail it as soon as possible. Avoid leaving on the seat of your car or other potentially hot areas, because this could cause some nutrient deterioration. My preference is to send the sample in a two-day flat-rate envelope.

Use the Right Lab
Choose a lab that participates in the NFTA proficiency certification program. Labs participating in this program are sent blind samples by NFTA to test and the results must match the true mean within a certain accepted range of accuracy.
Note that most labs are analyzing feeds for ruminants and not horses, so an important question to ask is whether the lab does a specialized analysis for horses. Labs that do analysis of hay solely for ruminants will not be able to provide an estimated energy content of the hay for horses. Additionally, they might not perform all the nutrient analysis desired, such as starch and trace minerals. I recommend at a minimum having energy, protein, calcium, phosphorus,magnesio, iron, copper, zinc, and manganese tested, along with the breakdown of carbohydrate fractions acid detergent fiber, neutral detergent fiber, starch, water soluble carbohydrate, and ether soluble carbohydrates. Some feed companies offer hay analysis services to their customers, so you might want to check with your chosen feed company’s representative to see if this service is available.

Hay Analysis Cost
The cost from lab to lab and will depend on the types of analysis methodology used and how many nutrients you would like tested. It’s possible to get a very thorough range of nutrients tested for approximately $30 using what is known as near infrared reflectance, or NIR. E’ necessario aggiungere il costo di campionamento,spedizione e autorizzazioni per chi non vive in USA.  Using this methodology the sample is ground and subjected to light. The spectrometer that measures this has been calibrated to samples of known nutrient content and therefore the amount of infrared light reflectance is used to determine the nutrient content.
Some labs might also use wet chemistry. These techniques are more expensive due to the fact that they are more labor intensive and time consuming. With this technique, the ground sample is subjected to treatment with a number of reagents often under heat. Some believe that these techniques give more accurate results, because you’re not reliant on calibration of the NIR equipment. However there’s always the possibility of error with the wet chemistry techniques, as well.
I generally recommend NIR testing methods for carbohydrates and protein analysis. Minerals don’t utilize NIR and by making use of the slightly cheaper NIR tests it often allows for the testing of minerals not typically included in standard testing packages such as selenium. However, when testing hay suitability for horses with metabolic issues where the NSC percentage is significant, it might be of benefit to utilize the wet chemistry analysis.

Take-Home Message
Hay testing can be an important step in better understanding exactly what your horse is eating. It can help you to make choices about whether additional feeds and supplements are necessary as well as determining whether a specific hay is even appropriate for your horse. While I would argue that some data is better than no data, because an accurate and representative sample is needed for good results, if you buy hay in small quantities or go through your hay supply rapidly it might not be worth conducting an analysis.

ABOUT THE AUTHOR
Clair Thunes, PhD
Clair Thunes, PhD, is an independent equine nutrition consultant who owns Summit Equine Nutrition, based in Sacramento, California. She works with owners/trainers and veterinarians across the United States and globally to take the guesswork out of feeding horses. Born in England, she earned her undergraduate degree at Edinburgh University, in Scotland, and her master’s and doctorate in nutrition at the University of California, Davis. Growing up, she competed in a wide array of disciplines and was an active member of the United Kingdom Pony Club. Today, she serves as the regional supervisor for the Sierra Pacific region of the United States Pony Clubs. As a nutritionist she works with all horses, from WEG competitors to Miniature Donkeys and everything in between.

Il pareggio in pratica – 4

Il roll ed il bevel.

segue ai precedenti 1-2-3

Accorciando l’unghia facendo riferimento al piano della suola e scegliendone la sporgenza abbiamo già impostato lo zoccolo. La densità, integrità e spessore del materiale corneo, la natura del terreno più o meno penetrabile ci fanno giocare in un intervallo di un paio di millimetri.

Dopo il ribasso e la così detta riduzione di capsula e parlando sempre, vi ricordo, di uno zoccolo sano dove le varie parti sono in corretto rapporto fra loro l’insieme si presenta grezzo con spigoli più o meno taglienti. Tutta la water line (la parte non pigmentata della parete) raggiunge terra. Così anche, in parte o tutta, la parte pigmentata (o parete esterna).

Se questi termini non vi sono familiari fate un po’ di pratica studiando i siti di Paige Poss. Trovate i riferimenti per raggiungere “ironfreehoof “ed “anatomy of the equine” qui nella sezione link del sito.      E’ mia opinione che non sia necessario fare dissezione per comprendere la fisiologia dello zoccolo, ci sono ormai siti di anatomia come quelli di Paige che rendono secondaria la dissezione che resta comunque una opzione per coloro che si vogliono dedicare alla podologia in modo specialistico.

Gli spigoli si rompono, si scheggiano o feriscono, vengono rapidamente consumati, le superfici si arrotondano. Il nostro cavallo se fosse libero di muoversi su grandi distanze dimostrerebbe pareti arrotondate e piani variamente orientati, non spigoli vivi. Da questa constatazione ed osservazione nacque l’idea del “roll”.

Il “roll” venne concepito come una finitura attraverso la quale si smussava dolcemente la parte esterna dell’unghia pigmentata. Limitandosi alla parte pigmentata appunto senza interessare la water line, la massa della parete.

Perchè ci si era dati questo limite? Una smussatura ridotta preserva dalla scheggiatura ma lascia a terra, in contatto con il piano di appoggio (se pensate  ad un piano di appoggio non penetrabile, rigido come quello di una piazzola di cemento) la massa della parete, quindi tutta la water line che ne costituisce la gran parte.

Nella visione di chi ha inventato il “roll” il peso del cavallo viene scaricato a terra dalla parete, dall’unghia tramite le lamine, il tessuto di connessione interposto tra la terza falange e la parete. Oggi, passate di moda le lamine, tramite la suola che, come un soffitto a volta caricato trasferisce le forze tangenzialmente a se stessa fino a raggiungere la sua periferia dove è saldamente connessa appunto alla parete che infine la scarica a terra.

Chi ritiene, in entrambi i casi, che la parete sia l’ultima responsabile dell’appoggio vorrà che raggiunga terra con la maggiore superficie possibile quindi ne sacrificherà una minima parte nell’esecuzione del “roll”.

E’ da dire che la stragrande maggioranza di coloro che arrotondano la parete non lo fa avendo in mente questo principio e ragione ma solo per sentito dire, per copia conforme, perché così si fa. E il “roll” diventa diverso, un rollone come dico spesso scherzando o un roll timido come dicevano altri.

Fatto sta che il dogma del carico periferico (parete responsabile della scarico a terra della forza peso) ha subito dei poderosi attacchi con Pete Ramey e Robert Bowker. Nessun cavallo rinselvatichito o domestico che sia si muove o dovrebbe muoversi su una superficie non penetrabile. La roccia, l’asfalto, il ghiaccio sono occasionali. La norma è la terra, l’erba, la sabbia, le pietre di varie dimensioni. In tutti questi casi il carico non è periferico sulla parete ma, distribuito. In gran parte grava su suola, barre, fettone. Tanto più quanto lo zoccolo penetra nel terreno e ci lascia un’orma.

Ramey e Bowker hanno riscoperto e proposto in un ambiente che effettivamente ha poco di scientifico ciò che era conosciuto da tempo.  Sul Kent, il più diffuso libro di anatomia comparata degli anni ’60 e ’70 trovate: (il cavallo poggia sulla suola…come ogni altro mammifero).    Nessun biologo o naturalista si sarebbe mai stupito di questa affermazione.

Lasciare tutta la water line “a terra” diventa allora secondario e il più delle volte controproducente. Quando però sarà meglio lasciare tutta la water line e anche il più possibile della zona pigmentata a terra? Quando di fatto il cavallo è costretto, volente o nolente a muoversi su una superficie dura e liscia. Sarebbe il caso del cavallo che traina una carrozza per strada.  Si tratta più che altro di occasioni.

Il “roll” è visibile nel mondo reale in cavalli che vivono su terreni molto accidentati e pietrosi. Camminando a lungo la parete si arrotonda, levigata da sassi e particelle di ogni dimensione.

Man mano che l’ambiente si addolcisce la parete si arrotonda appena in punta mentre continua ad esserlo maggiormente procedendo verso i quarti.  Sia nei DVD di Jackson che di Ramey viene  sottolineata la differenza di finitura dalla punta verso i talloni. Mentre ai quarti la parete si presenta sempre arrotondata perchè consumata in questo modo dallo zoccolo che cambia direzione, alla punta la parete è caratterizzata da un bevel (traduzione piano inclinato) con origine nella water line, di varia pendenza a seconda dell’andatura.

Pensate al cavallo che si muove in avanti in linea retta. Il tallone si alza, lo zoccolo leggermente affondato nel terreno ruota fino a staccarsi da terra mentre nello stesso tempo il carico si riduce progressivamente. Si crea approssimativamente un piano della lunghezza di qualche millimetro, il bevel. Questo piano inclinato fa si che le forze di reazione del terreno alla forza peso mentre il cavallo è fermo o in movimento si orientino diversamente e si riducano ( molto meglio sarebbe dire che l’abrasione continua modella la parete a seconda della intensità e direzione delle forze che applica e a cui è soggetta).                                                                                 La forza di reazione del piano di appoggio al peso si scompone ed una parte si orienta verso l’interno dello zoccolo con una minore occasione di separazione tra parete e osso triangolare e minore sollecitazione del connettivo, le lamine. Un’unghia finita e lasciata con il suo margine parallelo al terreno (come nella preparazione per la ferratura) è maggiormente sollecitata a separarsi, ad allontanarsi dalle strutture sottostanti.

La nostra finitura comprende quindi un bevel più o meno inclinato, 20°-35° e con origine nella white line. L’origine la troviamo, se volete un’indicazione di massima, a 5-6 millimetri dal margine della suola. Se la white line è larga quanto dovrebbe, circa 3 millimetri, rimangono a terra (su supeficie impenetrabile come il cemento o la roccia) altri 3 millimetri di water line. Quando il cavallo abbandona la piazzola il resto della parete che fa parte del piano inclinato o bevel, è comunque caricato, sia pure in minore entità, perché di fatto il piede sprofonda e si mette completamente e progressivamente in contatto con il terreno.

Tenendo quindi la nostra raspa inclinata  rispetto al piano della suola realizziamo questo piano asportando una piccolissima quantità di materiale lungo tutto il perimetro da quarto a quarto. Infine smussiamo la parte più esterna della parete così finita con un piccolo roll di cui partecipa solo la parte più esterna pigmentata. Man mano che procediamo verso la parte posteriore del piede il piano, bevel, si accorcia mentre lo spessore di parete che partecipa del roll aumenta.

Quando il cavallo “sterza” la superficie più arrotondata ai quarti favorisce la manovra. Lo scalino o sporgenza della parete rispetto al piano della suola lungo tutto il perimetro assicura stabilità e direzione.                                                                                                     Fettone e barre partecipano del sostegno del peso e della stabilizzazione della traiettoria.

Non avevamo ancora parlato né di fettone né di barre. Se la parete è tenuta sotto controllo, corta, sia il fettone che le barre sono tenuti in funzione continuamente. Con il movimento le parti vengono sottoposte a continuo consumo. Materiale non si accumula e tutto lo zoccolo, si mantiene sano. A questo può concorrere l’opera di disinfezione con aceto e solfato di rame (vedi apposito articolo) di tutte le parti che appoggiano a terra.                                               Non dico che non sia necessario un intervento occasionale su fettone e barre. Trovate altre indicazioni su questo nella pagina “studio di zoccoli”. Ma si tratta di intervento occasionale e mirato. Se fettone, barre e piano della suola vengono sempre sottoposti all’intervento del coltello durante i pareggi significa che troppo viene tolto a scapito della soundness del cavallo oppure viene eliminato  materiale fradicio ed infetto che si accumula perché il cavallo vive costantemente su terreni umidi e sporchi o infine è limitato fortemente nel movimento.  Il rimedio non é il coltello. L’animale vive in condizioni misere di cui sono responsabili il proprietario o il gestore.

Con i prossimi articoli ci occuperemo direttamente ed espressamente dello zoccolo che ha abbandonato giuste proporzioni e corretta relazione fra le parti introducendo altri elementi di teoria. Nel frattempo rileggete la parte “studio di zoccoli”. Specialmente l’introduzione, suole e callosità, profondità delle lacune, sferratura.

Notate infine che abbiamo sempre lavorato “da sotto”. Con la suola del cavallo rivolta verso l’alto per intenderci. In ogni fase. E’ il modo corretto. Lavorare invece con la raspa da sopra, dall’alto verso il basso ha senso solo in particolari situazioni. Patologiche. Secondo determinate regole. Che vedremo insieme.

Ritardo nella formazione veterinaria

Nel numero 63 di “The Horse’s Hoof”, estate 2016 uno degli editori dopo avermi interpellato ha scelto di pubblicare la mia breve risposta ad una delle domande che da qualche tempo sempre più proprietari di cavalli, ed asini, si fanno non solo negli USA ma in Europa. “Sento che il mio medico non è preparato. Quale preparazione ha ricevuto. Su che libri ha studiato”.

Il barefoot, con la necessaria preparazione, tecnica, attesa, cura, accettazione del limite, l’igiene fisica e mentale che ne sono il fondamento  è un esempio della frattura che si è venuta a creare tra la scuola, i programmi, l’università ed il mondo reale.  Frattura che è comune ed appartiene alla scuola in genere ed è forse più marcata da noi in Italia.                                                                                           Tra le righe, la domanda che si fa il proprietario sempre più spesso è questa: “Il mio medico pare non comprendere  temi non appartenenti alla tecnica della produzione o all’espressione immediata della performance”.   Avevo dubbi sul fatto che una risposta così secca come quella che ho inviato fosse pubblicata. La pubblicazione, quindi la responsabilità assunta dall’editore, è prova della reale e sentita distanza che si è venuta a creare. Della necessità di adeguare programmi ed insegnamenti. Programmi che non possono comprendere le materie propedeutiche, la medicina e la produzione se non a scapito una dell’altra ma che dovrebbero almeno presentare un argomento chiave come la podologia almeno a chi sceglie di rivolgere la propria attenzione ai grandi animali di modo da non esporre chi ne incontra i problemi ad una silenziosa critica cui segue disaffezione. Grazie alla diffusione dei principi ed alle pubblicazioni facilmente reperibili di buon livello non è raro che il proprietario si trovi ad avere una conoscenza dello zoccolo superiore a quella del professionista che chiama. Una alternativa è la separazione delle competenze. Dolorosa per chi vede restringersi il campo operativo ma necessaria. E’ avvenuto ai medici con l’istituzione della nuova figura dell’odontoiatra una ventina di anni fa. Le figure del dentista e del pareggiatore sono sostanzialmente separate da quella del veterinario in vaste aree del mondo. E’ un fatto che le scuole ed i gruppi che si interessano della bocca e dello zoccolo non sono condotte da veterinari, un esempio sono Spencer La Flure e Jackson.

Da The Horse’s Hoof , estate 2016 con il cortese permesso dell’editore:

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Il pareggio in pratica – 3

presuppone lo studio dei precedenti 1 & 2

Abbiamo ridotto l’altezza dell’unghia. Abbiamo scelto di quanto tenendo conto del terreno, delle condizioni. Lo abbiamo fatto tenendo come riferimento il piano della suola, lungo tutto il suo perimetro.
Ma la suola a seconda del terreno, del movimento e dell’umidità può presentarsi coperta di materiale di diversa densità. Materiale da rimuovere quando gessoso e incoerente ma da lasciare al suo posto quando duro compatto e saldamente ancorato rappresenta una solida ed efficace protezione per una suola magari non tanto forte e spessa. Questo deposito si chiama materiale “di esfoliazione” e sarebbe abraso dal contatto con il terreno grazie ad un maggiore movimento.
Il piano della suola che vediamo può essere allora quello reale (vero) o apparente. Dobbiamo tenere in conto lo spessore del materiale di esfoliazione. Perché?
La lavorazione “di ribasso” della parete deve essere fatta con riferimento al piano reale (vero) della suola sottostante al materiale di esfoliazione altrimenti la parete rimarrà più “lunga”, suscettibile di rompersi. Lo spessore del deposito varia da pochi decimi a qualche millimetro, non è difficile indovinarlo. Basta un poco di pratica e dovrebbe essere compito del vostro insegnante o pareggiatore durante l’anno di accompagnamento al pareggio farvi notare la qualità e altezza degli eventuali depositi sulla suola “vera” e valutarne l’opportunità di rimozione.  Se non si è in grado di valutare lo spessore del materiale depositato sulla suola diventa necessario rimuoverlo ogni volta, fino a vedere la linea bianca da utilizzare come riferimento per poi accorciare la parete Questo è stato fatto per anni da  certificati pareggiatori e per anni cavalli hanno zoppicato dopo il pareggio resi sensibili a causa della rimozione del deposito sovrapposto ad una suola troppo sottile. L’aumento di sensibilità mortifica e riduce la capacità di movimento che dovrebbe stimolare la crescita di una suola più spessa.

Non togliete il deposito sotto la suola, fate muovere il cavallo e se non potete far muovere il cavallo lasciategli il deposito sotto le suole! Almeno d’estate. In linea di massima tutto ciò che non viene via con un netta piedi adoperato vigorosamente dovrebbe essere lasciato. Lasciato in attesa di una pioggia che renderà il materiale più morbido, inutile e facile da togliere.

Pensate. Se il cavallo non si muove abbastanza la sua suola non sarà delle migliori. Il movimento, la pressione che ne stimola la produzione, manca. E si riduce il consumo. La suola sarà probabilmente coperta da materiale durante la stagione secca. Anche la vostra pelle perde continuamente materiale, cellule morte, che vengono continuamente “a galla” e  perse. Se vi scottate il ricambio diventa visibile.

Il tessuto vecchio che non si stacca aiuterà la suola nella protezione del connettivo sottostante e delle strutture interne. Sul terreno duro e secco le pietre superficiali non affondano sotto il peso del cavallo. Al cambio di stagione o nel caso di una pioggia seria il terreno diventerà penetrabile e cedevole, le pietre saranno meno pericolose perchè potranno affondare o spostarsi almeno parzialmente. Non costituiranno più un ostacolo fisso. Con la pioggia il deposito sulla suola si ammorbidirà anch’esso e, non più utile meccanicamente diventerà invece motivo di proliferazione di funghi e batteri. Aiuteremo quindi il cavallo a liberarsene con il nettapiedi molto vigorosamente. Vedete che non nomino il coltello. Il coltello deve essere usato con cautela ed esperienza.

Ora, chiusa questa necessaria parentesi sulla suola torniamo alla parete e cambiamo la posizione di lavoro della raspa in modo da lavorare lungo la parete per tutto il perimetro dello zoccolo.

la rimozione di materiale lungo il perimetro. scheggiature, piccole deformazioni, accumuli in zone poco utilizzate. il fine NON è quello di rendere la parete di spessore uniforme, la parete è maggiormente spessa alla punta (o centro) come un arco o una balestra. è la successiva azione di finitura che dispone il breakover nella corretta posizione. l'insieme lascia una parete spessa e forte che non impedisce il movimento (vedi articolo successivo per la finitura)

la rimozione di materiale lungo il perimetro. scheggiature, piccole deformazioni, accumuli in zone poco utilizzate. il fine NON è quello di rendere la parete di spessore uniforme, la parete è maggiormente spessa in punta che ai quarti come un arco o una balestra. la successiva azione di finitura (bevel) che dispone il breakover nella corretta posizione da quarto a quarto passando per la punta. l’insieme lascia una parete spessa e forte che non impedisce il movimento (vedi articolo successivo per la finitura). nella fotografia l’asse minore dell’utensile è perpendicolare al piano della suola.

La corsa dell’utensile deve essere lunga e le passate sovrapposte. Altrimenti è impossibile raccordarle. Alcune imperfezioni si manifestano anche nello zoccolo migliore. Quanto più lo zoccolo è orientato in modo imperfetto tanto maggiore sarà la differenza di consumo tra la parte interna ed esterna (mediale e laterale) dello zoccolo. Dobbiamo allora lavorare la parete dalla parte che si presenta “più larga”. Il lavoro di ribasso precedente ha  posto in maggiore evidenza le imperfezioni. Per semplificare riportate idealmente sulla parte meno consumata la forma dell’altra e tenendo la raspa in posizione perpendicolare al piano della suola le bilanciate. Il fine non è quello di arrivare ad avere una parete dello stesso spessore lungo tutto il suo perimetro. Lo spessore della parete cambia procedendo dai quarti verso la punta aumentando. Una delle funzioni della parete è quella di riportare la capsula dello zoccolo alla forma di riposo dopo la deformazione subita sotto carico. La parete lavora come una balestra e le balestre sono più spesse, i fogli aumentano, man mano che si va verso il centro.

Mi rendo conto che questo può risultare in disaccordo con quanto scritto su alcuni vecchi articoli ad esempio quello di Tomas Teskey “Look at these Hooves” dove troviamo: “mi sforzo di lavorare la parete in modo che abbia lo stesso spessore lungo tutto il perimetro…”
Non mi interessa e non desidero una parete dello stesso spessore lungo tutto il perimetro, non voglio ridurne la resistenza e capacità elastica. Questo é il motivo per cui non lavoro dall’alto se non in particolari occasioni (vedi il pareggio in pratica 6).  Lavorando con la raspa come in fotografia lo spessore della massa della parete rimane sostanzialmente invariato. Abbiamo lavorato solo sugli ultimi millimetri vicini a terra. In un cavallo diritto con zoccoli simmetrici e consumo uniforme nemmeno su quelli.

Se siete confusi non preoccupatevi. Sarà tutto più chiaro quando parleremo della famosa “riduzione delle flare”.
Lavorando fino alla parte posteriore dello zoccolo da una parte e dell’altra e utilizzando se possibile alternativamente le due mani si eliminano piccole irregolarità e tutto assume un aspetto più regolare e curato.
Importante è tenere la raspa perpendicolare al piano della suola, almeno fino a quando non si è fatta sufficiente pratica. Dividendo le fasi e gli angoli di lavoro seccamente non si rischia di continuare ad asportare materiale da dove non si intende consapevolmente toglierlo. Per esempio non ridurremo ulteriormente l’altezza della parete già decisa in fase 1.

Abbiamo eseguito la “riduzione di capsula” o fase 2. Lo zoccolo è  pronto per la terza fase di lavorazione, quella di finitura della parete.

Il pareggio in pratica – 2

(presuppone la lettura del precedente,1)

La parete sporge dal piano della suola in egual misura lungo tutto il suo perimetro in un solo caso. Quando il cavallo è privo di difetti e appoggia il suo peso in modo uniforme sulla parte destra e sinistra dello zoccolo, atterrando e staccando correttamente. Se la produzione è anche essa uniforme la parete non potrà che sporgere egualmente in ogni punto.

Su quale sia il modo di atterraggio e decollo del piede “normale ed auspicabile” esistono pareri discordanti e si discute. Poiché c’è chi insiste e costruisce tutto il suo sistema ritenendo che l’atterraggio corretto sia quello di piatto credo sia utile soffermarsi. Tutti concordano sulla necessaria penetrabilità del suolo. Nessun animale uomo compreso é costruito per camminare sul cemento. Pur attrezzato di sistemi di ammortizzazione il cavallo non si è evoluto vivendo su cemento, asfalto o laghi gelati. Se non occasionalmente, il terreno è sempre in qualche modo penetrabile per un animale del peso medio di 500 kg.

Un umano atterra sui talloni e completa il suo appoggio e carico quando la parte anteriore del piede raggiunge il terreno, così fanno gli altri animali.  Nel cavallo quello che chiamiamo tallone non corrisponde anatomicamente al nostro ma avviene la stessa cosa e al variare della andatura e velocità di avanzamento l’atterraggio di tallone è più o meno evidente (ad una persona esperta e d’occhio allenato) quanto più il terreno è livellato e poco penetrabile.

Dopo l’atterraggio del tallone su un terreno duro e se il cavallo fosse fermo (questa è una contraddizione in termini necessaria alla spiegazione) la articolazione tra la terza e la seconda falange ruoterebbe intorno al suo centro molto velocemente (accelerazione) sollecitata contemporaneamente da un carico in aumento. Proprio su questo, una condizione immaginaria e non reale, che rappresenterebbe un problema, alcuni fondano la affermazione della necessità e naturalezza dell’atterraggio di piatto anziché di tallone. Se lo zoccolo atterra di piatto, la velocità angolare tra i segmenti ossei é minore.

Questa visione delle cose é speculativa.

Il tallone si comporta come un perno sul quale la terza e seconda falange ruotano insieme, almeno grossolanamente. Il terreno è o dovrebbe essere penetrabile. Il tallone tocca terra ma sprofonda immediatamente e tutto il resto del piede lo segue e affonda progressivamente . Interpretare questo come un atterraggio di piatto è una speculazione.

L’atterraggio di punta, al contrario, non è sostenuto da nessuno se non da qualche sconsiderato che osserva cavalli doloranti malamente ferrati o pareggiati, senza capacità di valutazione. Il cavallo atterra di punta quando è in salita ripida o quando atterra da un salto. Da un salto in alto e non in lungo come quando l’ostacolo è una siepe bassa. Si tratta anche in questo caso di occasioni. Sulla inopportunità dell’atterraggio di punta e sui suoi effetti non mi soffermo, vi rimando alla sezione “Sindrome Navicolare”.

Caricato convenientemente ad ogni passo su entrambe le parti, laterale e mediale (lato esterno “laterale e lato interno “mediale”) atterrando sui due  talloni simultaneamente  e staccando al centro, il consumo dello zoccolo rimane uniforme. Vedremo la parete sporgere dal piano della suola tanto a destra quanto a sinistra, tanto davanti quanto dietro. Il nostro lavoro consisterà nel ridurne l’altezza  lungo tutto il perimetro eguale misura. Se la riduzione di altezza è fatta bene la capsula rimarrà nello stesso assetto (pendenza) rispetto al piano di appoggio. Osservando di lato lo zoccolo prima e dopo il pareggio non noteremo nessuna variazione di pendenza. Nè cambierà il suo assetto se osservato ponendosi di fronte.

5

una parete che si presenta consumata in modo uniforme lavorata di conseguenza.

una parete che si presenta consumata in modo uniforme lavorata di conseguenza; la finitura “bevel” é accentuata; vi invito a realizzare un piano di inclinazione minore, circa 30°, se lo zoccolo é sano.

Seguendo il piano della suola si ricrea o si mantiene l’arco caratteristico, palmare o plantare, dello zoccolo più visibile se la ripresa è laterale.

Anche in questo caso anatomicamente le parti che realizzano l’arco non corrispondono negli ungulati alle nostre ma hanno la stessa funzione. Un esempio di convergenza evolutiva. L’arco palmare o plantare è naturale nel piede scalzo ed è perfettamente visibile quando l’animale staziona su una piazzola . E’ assente nel piede ferrato solo perchè necessariamente il maniscalco “spiana” per creare la base di appoggio del ferro. Con esso si perde, tra le altre, la capacità di deformazione elastica dell’arco e parte della funzione ammortizzante della capsula cornea.

Il lavoro di ribasso della parete si effettua con la raspa quasi parallela al piano della suola, dalla punta verso i talloni incrociando e sovrapponendo le passate e lavorando di mano destra e sinistra alternativamente. Quasi parallela e non parallela perchè le pareti, destra e sinistra, vanno lavorate indipendentemente una dall’altra. Se si appoggia l’utensile su due punti si “spiana” più facilmente e si prepara lo zoccolo per l’appoggio del ferro, non se ne rispetta la forma tridimensionale. Ci si può trovare ad appoggiare l’utensile su due punti ma non è la norma. Pochi colpi dovrebbero essere necessari in egual misura da una parte e dall’altra se la frequenza dei pareggi è rispettata. L’idratazione del piede, la quantità di materiale da asportare, lo stato dell’utensile stesso fa scegliere quale parte della raspa usare.  Zoccoli secchi e pareti sottili o le zone dei quarti, dettano la scelta della parte fine per non sfibrare. Eccetera.

Chiamo questa fase del lavoro la “fase 1 o di ribasso”.

La maggior parte delle volte purtroppo non troviamo la parete uniformemente consumata. La parete appare più consumata a sinistra o a destra e molto spesso più consumata in punta che ai talloni. Consideriamo le due eventualità separatamente.

La parete si consuma più dalla parte sulla quale maggiormente grava il peso. Se lo zoccolo non è allineato con il corpo ma guarda verso l’esterno (cavallo mancino) la più caricata sarà la parte interna dello zoccolo e viceversa nel cavallo cagnolo. Questa condizione non è modificabile se non esteticamente a sfavore della meccanica.

Funny è una norica di 11 anni, di petto estremamente largo è fortemente cagnola.

Funny è una norica di 11 anni, di petto estremamente largo è fortemente cagnola. eppure  la giusta prospettiva le rende giustizia e gli zoccoli appaiono bilanciati; i talloni atterrano in simultanea proprio perché di differente altezza. non è così bella forse da ferma ma in movimento non ha molte difficoltà.

cagnolo

ancora funny con georgiana, stessa identica età! 11 anni!

ancora funny con georgiana, stessa identica età! 11 anni!

Di conseguenza il lavoro di ribasso ( fase 1 ) riguarderà solo, a seconda della gravità del difetto, la sola parte meno sottoposta ad usura. Sempre e per tutta la durata della vita dell’animale. Il tratto di parete meno consumato, se non ridotto con i pareggio è esso stesso motivo di ulteriore deformazione. La parete si deformerà o romperà a seconda della sua densità e resistenza. Continuamente sollecitata dalle forza di reazione al peso tenderà ad abbandonare la sua posizione rispetto alle strutture interne (flare). Non c’è molto da pensare e quanto va fatto è già chiaro prima di alzare lo zoccolo. Basta constatare che l’asse longitudinale dello zoccolo o degli zoccoli, non è parallelo a quello maggiore del cavallo, ci si aspetta di trovare un tratto più consumato dell’altro.

la parete si presenta consumata e diversamente danneggiata a destra, assai meno consumata e rotta a sinistra. il nostro primo intervento sta nella riduzione della parte destra. se questo fosse un anteriore sinistro il cavallo potrebbe essere cagnolo o mancino?

la parete si presenta consumata e diversamente danneggiata a destra, meno consumata  a sinistra; il nostro primo intervento sta ovviamente nella riduzione della parte a sinistra, se questo fosse un anteriore sinistro il cavallo sarebbe cagnolo o mancino?

Diverso e di più difficile interpretazione è il caso del consumo non eguale della parte anteriore e posteriore del piede. Spero che la lunga parentesi che segue sia utile a comprendere le difficoltà che si incontrano ed a porvi mano. Dobbiamo chiederci quale ne è il motivo e se ci è consentito “livellare” le parti come ci piacerebbe o vorremmo aver trovato senza arrecare un danno maggiore.

la foto è leggermente sfuocata ma potete notare che nella parte anteriore del piede la parete è a livello della suola mentre i talloni sono sporgenti e l'angolo di inflessione si trova spostato avanti rispetto alla parte posteriore del fettone. troverete questa foto anche nel prossimo articolo ma per ora l'accento può essere messo sulla cautela nel ribasso dei talloni.

la foto è  sfuocata ma potete notare che nella parte anteriore del piede la parete è a livello della suola.

Il consumo maggiore della punta può essere determinato non da un difetto del cavallo ma dalla andatura imposta dal cavaliere. E’ il caso di alcune discipline americane. Se il terreno è fortemente abrasivo, andatura imposta e terreno si danno una mano per consumare fortemente le punte. Più spesso però non è una andatura imposta ma lo stato di immaturità della parte posteriore del piede a creare sensibilità o dolore ed un conseguente atterraggio di punta. Ancora più frequente è la semplice infezione del fettone a costringere l’animale a caricare prima e maggiormente le punte nel tentativo di evitare fastidio alla parte posteriore del piede. In questi casi non possiamo ridurre l’altezza dei talloni a priori riferendoci ad un modello.

Un tallone più alto, per quanto sfavorevole meccanicamente ad un animale sano, è l’esito del minore consumo. Se debbo appoggiarmi ad un bastone la soluzione, se c’è, non è quella di togliermelo. Come non è quella di ridurre l’altezza del tallone ad ogni pareggio. La nostra attenzione deve essere rivolta alla ricerca della causa. L’igiene del posto, stato del terreno, l’eliminazione delle zone profondamente fangose, la disinfezione quotidiana, libertà di movimento. 

Non nego un intervento di riduzione della altezza della parete ai talloni rispetto al piano della suola all’angolo di inflessione, anzi. Sostengo che questo deve accompagnare il resto e non precedere, essere una azione mirata e progressiva. E’ uno dei nostri obiettivi quello di riportare i talloni ad una altezza accettabile e tutte le parti del piede ad una corretta relazione tra loro. Questo obiettivo non deve essere perseguito su un modello ma ragionato ed adattato alla circostanza reale. Diversamente creeremmo le condizioni per un peggioramento dell’atterraggio di punta.                               Un esempio. Un  fettone infetto fa si che l’animale cerchi di sottrarre la parte posteriore del piede dal contatto con il suolo. Il tallone si consumerà di meno. La soluzione non è quella di abbassare il tallone. La troviamo nella disinfezione e cura del piede e nell’igiene del suolo.

La profondità delle lacune laterali al fettone nella parte posteriore del piede ci aiuta ad elaborare un piano ed a verificare l’efficacia della nostra azione a lungo termine. La profondità delle lacune é in stretta relazione alla salute della parte posteriore del piede.  Se abbiamo lasciato il cavallo con lacune nella parte posteriore del piede a titolo di esempio di 25 mm. (badate bene intendo qui al lordo della sporgenza della parete dalla suola, il riferimento per la determinazione di quella che intendiamo profondità delle lacune è il margine della suola e non la parete) e lo troviamo dopo poco più di un mese con una profondità, sempre lorda, di 34 mm. chiaramente durante il periodo l’animale non ha usato e caricato la parte posteriore del piede. Di quanto prodotto ai talloni nel periodo, 9 mm, non è stato consumato nulla o quasi. Ribassare la parete ai talloni ( se questo abbiamo fatto) non è servito, il materiale si è riformato, nessun lavoro lo ha consumato e la situazione magari è peggiorata. La nostra scelta è da rivedere oppure dobbiamo considerare se il terreno o una altra variabile sono intervenuti. Se ritroviamo invece le stesse misure il cavallo ha consumato la parete che ha prodotto ai talloni. Quindi li ha usati!  Se ci atterra sopra significa che il disagio provato  è diminuito. Possiamo azzardare un ulteriore ribasso. (quanto e se nessuno ve lo può spiegare; é frutto della continua osservazione ed esperienza). Infine se troviamo misure inferiori a quelle della volta precedente? Invece di esultare andiamo a cercarne il motivo e potrebbe essere non piacevole. Quanto ha camminato, dove e come quel cavallo?

Questi esempi non esauriscono il tema, sono solo agli estremi delle varie possibilità.

Nettamente diverso è il caso contrario di consumo maggiore ai talloni. Anche in questo caso non si può prescindere dalla misurazione della profondità delle lacune. Misuriamo la profondità delle lacune sia nella parte posteriore del piede che all’apice del fettone. Se la profondità all’apice è maggiore che posteriormente siamo di fronte ad un accumulo di materiale sulla suola nella parte anteriore del piede. Ne può essere causa la posizione troppo avanzata del piede rispetto al corpo ed è maggiormente riscontrabile nei posteriori (sotto di sé). Mentre va ricercata la causa, e non è detto che ci sia una soluzione, è necessario intervenire subito riducendo lo spessore del materiale depositatosi impropriamente sulla suola nella parte anteriore del piede. Questo va fatto da un pareggiatore davvero qualificato tante sono le variabili ed i pericoli sottostanti. Lo zoccolo si presenta con una inclinazione veramente ridotta, la punta allungata in avanti, il tallone basso. Non si tratta di uno zoccolo laminitico ma deformato a causa della reiterata posizione ed andatura. La punta riportata indietro e l’eventuale rimozione di materiale sulla suola nella parte anteriore del piede consente all’animale di trasferire l’arto in una posizione più appropriata immediatamente se altre cause non lo impediscono. Come nel caso del consumo non simmetrico sulla parte laterale (esterna) o mediale (interna) dello zoccolo l’accumulo è esso stesso causa di ulteriore deformazione e sbilanciamento e deve essere rimosso.

in questo caso è stato sufficiente ridurre l'altezza della parete lungo tutto il perimetro ma soprattutto in punta per riportare la terza falange in una posizione più corretta rispetto al piano di appoggio. la profondità della lacune (considerando anche la parete) da maggiore all'apice del fettone è tornata ad essere maggiormente profonda in corrispondenza della parte posteriore del fettone. la suola e i suoi depositi, modesti, non è stata toccata. ne riparleremo con le piogge.

in questo caso è stato sufficiente ridurre l’altezza della parete lungo tutto il perimetro ma soprattutto in punta per riportare la terza falange in una posizione più corretta rispetto al piano di appoggio. la profondità della lacune (considerando anche la parete) prima del pareggio maggiore all’apice del fettone è tornata ad essere meno profonda rispetto a quella in corrispondenza della parte posteriore del fettone; i depositi sulla suola, modesti, non sono stati toccati. 

Il proprietario o comunque il neofita possono affrontare tutto questo se si dedicano con impegno e passione. Si dovrebbero limitare altrimenti al lavoro di ribasso quando il consumo è uniforme su tutto il perimetro o farsi istruire sul da farsi negli altri casi o meglio ancora far sistemare i “piani” ad un vero professionista in grado di spiegare i principi e motivi che lo guidano.

Quanto vogliamo infine che sporga la parete dal piano della suola? Questo è un altro punto “caldo”. E’ mia opinione che non ci sia né possa essere data una risposta con un numero. I famosi tre millimetri sono un valore medio che può essere valido o meno a seconda della penetrabilità del terreno e conseguente presa o grip, dal peso del cavallo e dimensioni dello zoccolo, dallo spessore della parete, dalla attività. Una parete sottile o compromessa non accetta infatti di essere lasciata lunga quanto una robusta. Un piano di appoggio duro non permette una parete protrudente che è utile invece su terreni penetrabili e scivolosi.

Vedete che anche volendo, trattare gli argomenti dando regole non è possibile. E’ necessario pensare ed adeguare l’azione alla situazione. Riassumendo il nostro obiettivo è quello di tagliare l’unghia proprio come fosse una delle nostre tenendo presente che lo zoccolo non è il piede di una ballerina ma la mano di un fabbro. Le unghie devono essere corte altrimenti si rompono si deformano e fanno male. Un’unghia può diventare più lunga dell’altra se utilizziamo una mano o un dito o una parte di più. Serve buon senso, la conoscenza e la valutazione obiettiva dell’ambiente e del cavallo.

Spero di avervi dato motivi di riflessione e modo di comprendere ciò che si presenta quando osservate uno zoccolo a terra e poi lo sollevate.

Con questo si esaurisce la fase 1 o di ribasso della parete. Nel prossimo articolo parleremo del contenimento della parete o “riduzione di capsula”.

Il pareggio in pratica – 1

Il lettore di lingua madre inglese che vuole collaborare e  può tradurre questi articoli è benvenuto.

Inizio a descrivere in dettaglio in una serie di articoli il pareggio del cavallo. Leggete  “ il pareggio di un gruppo di cavalli che vive in libertà a Pieve S.Stefano” per una visione d’insieme.
Se mi sarà possibile aggiungerò dei disegni agli articoli al fine di renderli più comprensibili.
Non pretendo di insegnare. Descrivo le mie impressioni e ciò che nel tempo mi ha permesso di ottenere dei notevoli risultati. Molti dettagli potrebbero essere aggiunti ma lo farete voi stessi come risultato della vostra applicazione.
Mi rivolgo al proprietario che desidera emanciparsi e far da sé ottenendo risultati comparabili o anche migliori di quelli ottenuti da un frettoloso o spesso improvvisato “professionista”.
Il presupposto, a questo livello, è un animale senza particolari problemi né difficoltà di manipolazione, sufficientemente diritto e sano oppure già instradato sulla via della riabilitazione.
Farò per forza di cose riferimento a situazioni anormali se non altro per renderne possibile l’identificazione.

Tutte le azioni di pareggio dovrebbero far seguito al prelievo del cavallo da uno spazio aperto. Il cavallo è certamente meno disposto a star fermo per il tempo che si rende necessario per il pareggio, 20 minuti o più, se ha patito una lunga restrizione del movimento in un box o in un piccolissimo recinto.
Per maggiore sicurezza è sempre meglio essere in due, avere un assistente che controlla l’ambiente circostante mentre voi siete “sotto il cavallo”. Se non altro in caso di incidente o bisogno si ha una spalla. Il ruolo primario dell’assistente è quello di favorire il lavoro disponendo e mantenendo il cavallo nell’assetto o posizione che meglio consente a voi di sollevare lo zoccolo. Deve sapere come fare arretrare o avanzare l’animale di pochi centimetri senza esercitare pressioni elevate e indisponenti, girare il cavallo in senso orario o antiorario, sapere mantenere la sua testa bassa o alta e spostarla verso destra o sinistra. Sono tutte azioni che alleggeriscono il peso che grava sull’arto e sullo zoccolo che si intende sollevare.
L’assistente deve mantenere l’attenzione sull’ambiente e sul compagno per essere tempestivo. Un affiatamento tra i due rende il lavoro notevolmente più celere e meno faticoso soprattutto se l’assistente prepara precedentemente gli zoccoli puliti e idratati. Soprattutto durante la stagione secca e nel caso di animali grandi, e ottima consistenza dei materiali, tenere a bagno gli zoccoli per alcuni minuti o addirittura per trenta minuti  consente di fare un lavoro altrimenti snervante o grossolano. Cavalli da lavoro con zoccoli grandi e forti come il TPR, Norico, Shire.. durante l’estate possono essere pareggiati durante una giornata di pioggia o in occasione della doccia.
L’animale si osserva mentre si va verso la piazzola.  Piazzola adeguata alle condizioni climatiche, riparata dal sole o dalla pioggia, dal fondo consistente e pulito. Ideale sarebbe per il cavallo avere un compagno sufficientemente vicino ma senza possibilità di interferire.
Di solito l’espediente “cibo per calmare” non è favorevole al lavoro. La testa si muove in continuazione, il peso del cavallo si sposta di continuo. Il cavallo veramente agitato non si corrompe con la carota che dura un attimo. A volte non la considera nemmeno.
La disponibilità del cavallo o la presenza dell’assistente elimina la necessità di tenere il cavallo “ai due venti”. Il cavallo costretto a mantenere la posizione può scalciare, muoversi avanti o indietro e lateralmente. Le corde o le catenelle che si sollevano o abbassano, avanzano o indietreggiano rapidamente sono un grave pericolo per chi è vicino e concentrato sulla zampa o su uno zoccolo. Il cavallo disposto ai due venti è indice di ignoranza, insicurezza e assoluta mancanza di horsemanship.
E’ piacevole e rassicurante invece osservare il binomio animale uomo libero da costrizioni e paure su una pavimentazione pulita e antisdrucciolo che può essere semplicemente di terra battuta. Il cavallo in capezza ma libero e la corda di guida disposta in modo da non creare intralcio, il pareggiatore intento al suo lavoro e l’assistente all’ambiente.

Solleviamo quindi il primo zoccolo per il pareggio dopo che tutti e quattro sono stati puliti. Di solito un anteriore. A volte il cavallo si prepara da sé spostando il peso sul lato opposto. Afferriamo il pastorale flettendo le nostre ginocchia, senza piegare troppo la schiena nè abbassare eccessivamente il capo avvicinandolo così al posteriore. Se il cavallo non darà segno di aver compreso, esercitiamo una pressione graduale  con la mano iniziando dalla spalla e scendendo lungo la zampa. Di riflesso quasi sempre l’animale solleva la zampa facilmente se il suo peso non grava proprio su di essa. Insistere é controproducente. Ogni tentativo deve iniziare allo stesso modo partendo dalla spalla.  Aiutare il cavallo a disporsi correttamente riduce i tempi e la fatica.
Se non é stato già fatto liberiamo dalla terra i quattro zoccoli in sequenza, li puliamo e se necessario li laviamo. Osserviamo quindi consumo, particolarità di tutti e quattro e, mentre li puliamo, già consideriamo il lavoro di pareggio da fare. Fin qui non abbiamo fatto altro che quello che facciamo tutti i giorni preparando gli zoccoli per la disinfezione o durante la stagione umida quando spostiamo il cavallo dal suo recinto ad una zona asciutta e pulita.

Pulire gli zoccoli, disinfettarli, consentire all’animale la permanenza su una superficie asciutta ameno parte del giorno costituisce un insieme di norme igieniche basilari. Così come necessario è lo spazio e il movimento, il fieno senza muffe, l’acqua pulita, la rimozione delle fiande.
L’igiene, fisica e mentale, deve appartenere all’animale ed al suo proprietario.
Il proprietario che non provvede e il professionista che non vede e per ignoranza opportunismo o meschinità non rileva, rendono inutile o un palliativo ogni altra cura, la medicina tradizionale o alternativa che sia e svuotano di ogni significato la parola naturale sostituendola con trascuratezza.

Continuando osserveremo una parete maggiormente sporgente dal piano della suola quanto meno il cavallo si è mosso ed ha coperto chilometri e quanto più tempo è passato dall’ultimo pareggio.
Il fondo sarà stato nel frattempo più o meno abrasivo. Le varie condizioni di umidità e penetrabilità compensano in diversa misura la crescita dell’unghia, della suola, del fettone consumandoli. Il pareggiatore è chiamato a ridurre la altezza della parete e eventualmente ad intervenire sulle altre parti riportandole ad un corretto rapporto quando ciò è impedito dalla mancanza di movimento sufficiente su terreno adeguato.
Con un sostanziale distinguo.
Mentre con il movimento il consumo avviene grazie a pressioni, forze, attrito che stimolano la crescita e la produzione di buoni materiali l’azione dell’uomo con i suoi attrezzi prescinde da questo.
Si taglia e si raspa ma non si stimola in alcun modo. Il pareggio non sostituisce l’allenamento e sviluppo delle parti conseguente al movimento ed alle pressioni esercitate sui tessuti che le producono.

Iniziamo il lavoro vero e proprio.  La prima fase consiste nel ridurre la altezza della parete rispetto al piano della suola adiacente lungo tutto il  perimetro. Con tecnica, accortezza, facendo scelte determinate caso per caso da ciò che troviamo, dall’ambiente. Questo sarà argomento del prossimo articolo.