Pareggio

Il pareggio in pratica – 6

Con questa serie “il pareggio in pratica” desidero venire incontro a coloro che non avendo letto e seguito i tecnici maggiori del barefoot non sanno individuare le ragioni e la motivazione sottostante ai vari gesti del pareggio. E’ difficile trovare persone che hanno confrontato  americani ed europei.

E’ comune trovare persone conosciute come “pareggiatore” che non hanno letto neppure i classici di Jackson o i suoi bollettini e neanche ne conoscono l’esistenza. Nella maggioranza dei casi le uniche letture, anche se proposte a studenti in corsi organizzati, sono quelle disponibili in italiano e divulgative. La poca cultura generale è il risultato di un paio di settimane di corso durante le quali si accenna alle tecniche di una sola linea di pensiero senza costruire la capacità critica che è l’unica in grado di aiutare ad evitare grossolani errori. E’ mia opinione dettata dall’esperienza che questo avvenga in tutte “le scuole”, dove alla sostanza si preferisce la forma e si difende un “marchio” da tradurre in profitto. Insegnare ciò che ha costruito a fatica il proprio maestro iniziale sembra sminuisca tanti istruttori. Studiare gli altri e proporne il pensiero sollecitandone la lettura diretta espone a possibile critica e fa paura. Si potrebbero perdere clienti e credibilità tra gli studenti.   Questa materia, così tecnica e pratica, non é facile da descrivere. Se non capite, e se non capite probabilmente é perché io non riesco a renderla chiara, apprezzate almeno il mio tentativo e chiamate. Aiutatemi ad essere più chiaro. Incontriamoci, partecipate, rubate con gli occhi. Leggete! In “biblioteca del pareggiatore” trovate di che sfogare la vostra sete di conoscenza senza annaspare su internet ed a caso come alcuni di noi sono stati costretti a fare tanti anni fa quando ci siamo interessati al barefoot ed a una nuova modalità di gestione. E’ singolare come si vedano continuamente riemergere modalità di pareggio ritenute già in passato inutili o dannose.  Di solito si tratta di gesti che stupiscono e fanno apparire chi pareggia un fuoriclasse. Altre volte è il freno che prende il sopravvento. Richiamandosi al “naturale” ci si astiene nascondendo la propria incapacità e indecisione. In entrambi i casi la si fa quasi sempre franca. Coloro che sono intorno non possiedono elementi di valutazione.  Le numerose variabili di gestione mascherano gli errori del pareggiatore brillante ma ignorante.

In questo capitolo della serie “il pareggio in pratica” desidero discutere l’opportunità o l’inopportunità del lavoro sulla parete dall’alto verso il basso. Quello che si vede fare quasi sempre con lo zoccolo in avanti appoggiato sul treppiede. E’ una pratica molto comune ed ha origine nella intenzione di “raddrizzare” una parete che appare deviata, di “armonizzare” fra loro i tratti di parete di diversa pendenza. Spesso, senza una vera ragione e senza una regola a scapito della integrità della parete di cui effettivamente si riduce la consistenza e resistenza.

L’alimentazione scorretta e più in generale i compromessi di gestione esitano in una o più deviazioni d’angolo della parete nella sua crescita verso terra. Non più saldamente ancorata alla terza falange da un sano connettivo (le lamine) la parete soggetta alle forze di reazione del terreno al peso del cavallo piano piano si deforma. 

Jaime Jackson ha dato un nome ai vari tratti ed angoli che la parete forma rispetto al piano su cui appoggia. 

Nel caso più semplice di una parete che presenta due soli tratti di diversa pendenza, quello più alto prende il nome di “healing” e quello che arriva fino a terra “basement”. L’angolo che i due tratti di parete formano con il piano di appoggio “healing angle” e “basement angle”. Alla differenza di pendenza in gradi tra i due tratti dette il nome “DTA, diverging toe angle”.

a destra una parete che dimostra un "angolo di deviazione" o "rotazione della capsula"

a destra una parete che dimostra un “angolo di deviazione” o DTA

Nel sistema di pareggio degli anni ’90 e primi del secolo veniva data particolare enfasi alla ricerca nello zoccolo del domestico delle forme e rapporti esistenti nel selvatico. Le deviazioni di pendenza della parete, uno dei segni di laminite cronica, dovevano quindi essere eliminate o ridotte nel tentativo di “naturalizzare lo zoccolo” Come scrivo più avanti in questo articolo gli effetti positivi di questa pratica sono determinati dall’arretramento sia pur minimo del breakover o punto di involo dello zoccolo, accompagnati alla necessaria rivisitazione della dieta.
Jackson dettò regole per riportare, o almeno avvicinare, la pendenza del tratto o dei tratti più bassi a quella del tratto o dei tratti più alti  limitando l’indebolimento della capsula cornea.
Perchè non il contrario? Il tratto “alto” è in una posizione e relazione migliore con la terza falange del tratto più basso che arriva a terra. E’ il tratto basso che è fuori posto, deformato, alla deriva.
Questo tratto di parete non più saldamente ancorato alla falange e di materiale plastico “va alla deriva” sotto la pressione esercitata dal terreno.
Jackson lo assimila, in un riuscito paragone, ad una barca ormeggiata ad un molo. Se cedono gli ormeggi, tutti o una parte, soggetta al vento o alla corrente abbandona la sua posizione a seconda della loro intensità e direzione. Magari solo la poppa della barca si allontana dal molo mentre la prua ci sbatte contro se solo una parte degli ormeggi ha ceduto.

fig.2a

Ma, quanto materiale che costituisce l’unghia del tratto più basso può essere rimosso (nel sistema di Jackson) se si vogliono “armonizzare” le pendenze dei vari tratti? E da che punto si può iniziare?
Più materiale corneo si rimuove più la parete si indebolisce e viene esposto ciò che sta sotto.
La parete deviata non è più idonea a sostenere parte del peso del cavallo ma rimane capace di protezione.
L’unghia, meno salda e stabile a causa del deterioramento del connettivo sottostante (le lamine) è in parte, o totalmente, sconnessa dalla terza falange, allontanata. In mezzo al posto del tessuto connettivo integro si trova un più o meno spesso tessuto disorganizzato, cheratina che le lamine continuano a produrre ma incapace della stessa resistenza.
Per ridurre la differenza di pendenza (tanto desiderata) fra i vari tratti ma limitare al tempo la riduzione dello spessore della parete da parte del pareggiatore Jackson dettò una linea di guida identificando dei punti limite.

Quali punti.
E’ assolutamente necessario per proseguire avere ben chiare le fasi del pareggio e l’angolo di lavoro dell’utensile sul pezzo in lavorazione, la raspa e lo zoccolo.
Dopo avere ridotto la altezza della parete rispetto al piano della suola (fase 1) avete, con la fase due, lavorato realizzando per forza un breve tratto perpendicolare al piano di appoggio. Questo tratto o scalino sarà presente lungo le zone dove la parete ha deviato, eventualmente lungo tutto il perimetro. Se la parete non è “acciaccata da nessuna parte e non devia in nessun modo da nessuna parte non avrete fatto nulla di nulla in fase 2.
Nelle zone della capsula dove la parete è rimasta diritta senza subire distorsioni quindi lo scalino è assente. Ma diciamo che non siete così fortunati.
I primi due punti che identificano la massa di materiale corneo asportabile sono quelli alle estremità di questo breve tratto. Il terzo si trova nel punto di cambio pendenza.

fig.3

In questo modo non si toglie tanto materiale a seconda della opinione del pareggiatore. La riduzione viene effettuata in modo controllato. Ma avviene!

La forma dello zoccolo che avete appena pareggiato assomiglia maggiormente a quella che avete in mente e sognate. Con parete diritta o quasi! Spesso, come vedremo fra poco, questa riduzione non è utile se non a fini estetici ma vediamo il motivo che comporta un certo successo. Identifichiamo il motivo meccanico, tralasciando quelli che riguardano il cambio della dieta che ricordate che é stata la causa prima della deformazione. Se non cambia la dieta potete fare quello che volete ma sarà solo un palliativo.
Quello che avete fatto essenzialmente è che avete accorciato un pochino lo zoccolo!
Avete arretrato il breakover di quel tanto he vi ha permesso la lavorazione in fase due.
Il breakover ora è più vicino a quello ideale dello zoccolo sano con parete diritta * realizzando un indubbio vantaggio meccanico.
Il dolore o la sensibilità sono diminuiti. L’unghia è meno sollecitata dal terreno ogni volta che il cavallo sposta il suo peso in avanti.
Il passo diventa più lungo e l’andatura meno rilevata.
Avete realizzato questo lavorando dall’alto verso il basso raspando il triangolo di materiale che in figura 1 é bianco.
Nel linguaggio coinvolgente e colorito di Jackson avete “dialogato con lo zoccolo per indurlo a ritornare sulla retta via”. Una popolazione di creduloni è più facile da suggestionare che da far ragionare.

Perché potreste avere fatto solo in parte una buona cosa ?

Resta il fatto che il breakover, pur arretrato, non può essere arretrato ulteriormente alla posizione dove si troverebbe nello zoccolo sano  (figura 4 – proiezione a terra della parete) se non riducendo la parete ad una sfoglia di cipolla o addirittura del tutto raspando anche il tessuto sottostante, il “lamellar wedge”. (Lamellar wedge o cuneo lamellare, chiamiamo il materiale disorganizzato cui abbiamo accennato prima costituito da cheratina e interposto tra parete e terza falange nel laminitico cronico).
I cambi di pendenza della parete e le suole piatte o piatte perifericamente sono proprie del laminitico. Magari il DTA è minimo ma è inutile nascondersi dietro un dito. Sempre di laminite si tratta se non quando una particolare forma originale della terza falange costringe il derma e l’epidermide (la parete) a fotocopiare il suo andamento.

SE il DTA é notevole che fate per arretrare il breakover efficacemente ? Togliereste tutta la parete per un gran pezzo? Spero di no!

Come fare per ottenere di più?
– Per ridurre la altezza della parete abbiamo preso come riferimento il piano della suola. Fase 1
– Per contenere la parete abbiamo ancora fatto riferimento al perimetro della suola. Fase 2
– Per identificare il corretto breakover in ogni punto lungo la parete dello zoccolo facciamo ancora riferimento alla suola distaccandoci di 6 o 7 millimetri dalla congiungente suola-white line. Non mi piace “dare i numeri” ma è un riferimento.
Distaccati di 6 millimetri realizziamo il bevel, piano inclinato di 30° rispetto al piano di appoggio portando così immediatamente il breakover dove dovrebbe essere. Il bevel inizia quindi nella water line (questo dovreste essere ormai abituati a pensarlo) o addirittura nel materiale del cuneo lamellare nel caso del laminitico (e a questo imparerete a abituarvi) ma in questo modo tutta la parete viene conservata per tutta la sua lunghezza se non per gli ultimi millimetri vicino a terra. Così lavorata non è più di ostacolo al movimento ma mantiene nel contempo la sua funzione protettiva. Non si rischia nulla.
Non solo. La parete resta attiva in un terreno penetrabile come la sabbia o la terra smossa e soprattutto durante il breve lasso di tempo che precede il distacco trasmette una certa pressione in corona e stimola la crescita. Piace a tutti pensarlo anche se provarlo sarebbe quanto mai difficile.

fig.4

Le parti colorate rappresentano la massa eliminata con le varie operazioni.

  • Quella grigia in punta viene eliminata riducendo le irregolarità con il lato corto della raspa tenuto perpendicolarmente al piano della suola.
  • Quella gialla viene eliminata dal bevel che origina nella water line a 5-7 mm. di distanza dal perimetro della suola.
  • Quella blu è quella di eventuale riduzione della flare ed è compresa tra il punto di divergenza di pendenza e i due punti creati con il lavoro di contenimento.
  • Un piccolo arrotondamento del triangolo bianco, non appare nel disegno, conclude il lavoro.

Potete individuare facilmente i vari punti di breakover che si originano.

Con questa nuova tecnica e lavorando da sotto con lo zoccolo rovesciato verso l’alto abbiamo terminato il nostro lavoro sulla parete finendola con un bevel (lavorato in zona gialla) a meno che …
… ameno che non vogliamo considerare la parete e il lamellar wedge a lei sottostante un tale impedimento, una tale ingessatura, da desiderarne la riduzione di massa (lavorando in zona azzurra).
Questa è una scelta talmente fine che non può essere suggerita, è vostra.

Facciamo un esempio. Si può arrivare in un rifugio alpino con i piedi massacrati calzando scarpe troppo leggere tutta la giornata. Il trauma ai piedi deriva dai continui urti di ore e ore con le pietre dei sentieri e dei ghiaioni.
Si può fare la stessa strada una settimana dopo con scarponi troppo rigidi e nuovi o di misura sbagliata con lo stesso risultato. Il trauma al piede è causato questa volta dalla scarpa e non dalle pietre.
Paragonate la parete dello zoccolo, deviata e deformata, allo scarpone stretto. Non è facile capire se si ricade in un caso o nell’altro. Dovete togliere al cavallo lo scarpone e fargli calzare la scarpa da ginnastica? O viceversa? O è possibile una scelta intermedia e avere a disposizione la scarpa giusta? Se riducete lo spessore della parete dello zoccolo e lo fate seguendo la regola di triangolazione di Jackson è come se alleggeriste le scarpe. Ma attenti perchè allo zoccolo non potete riattaccare il materiale che avete tolto e rimettere la “scarpa” più pesante.

Personalmente preferisco quasi sempre stabilire il breakover quanto più correttamente possibile dal basso (fase 3) e aspettare. Con la dieta corretta e semplice di solo fieno eventualmente analizzato e integrato (senza ricorrere ai buffi e rozzi prodotti di selleria) la parete comincia a crescere lentamente aderente all’osso sottostante allungando il tratto superiore centimetro dopo centimetro e la ”bugna” costituita dal tratto di parete deviata scende piano piano. Man mano che scende la elimino con il bevel.
Insomma c’è tempo a lavorare dall’alto, credo sia una scelta più remota. Lo zoccolo rimane più rigido? Questo dovrebbe andare a vantaggio di una minore sensibilità quindi maggiore capacità di movimento, recupero generale.
E’ meglio favorire un elaterio maggiore reso inutile dalla mancanza di movimento nel dolore o mantenere per un certo tempo una maggiore rigidità del sistema favorendo il movimento e la generale riabilitazione? Non ho dubbi sulla risposta.
Perchè a volte, in mancanza di terreno adeguato e collaborazione del proprietario, si preferisce aspettare a sferrare nel caso di laminite acuta ? Perchè il ferro, nella sua miseria, al momento ingessa.
Cercate Brigitte in “studio di zoccoli”. E’ un esempio di come, lavorando solo dal basso per mesi, è stato possibile dare sollievo alla cavalla e rettificare del tutto la parete. Brigitte rettificò in un ciclo di crescita (HOG- bollettino 100 di Jackson) nonostante la vecchiaia e la condizione.
Facciamo un altro esempio. Vi siete dati una martellata su un dito. Fasciate bene e cercate di non urtare da nessuna parte! Non volete che la vostra unghia si muova! Lo stesso servizio del cerotto al vostro dito lo fa la massa della parete sullo zoccolo che contribuisce ad irrigidire.
Se lavorate solo dall’alto il dolore potrebbe aumentare. Dovrebbe diminuire invece se accorciate correttamente l’unghia dal basso realizzando il punto di distacco dove dovrebbe trovarsi e nello stesso tempo rispettate l’integrità dell’unghia. L’unghia “copre” ma non viene più sollecitata dal terreno.
Non credo ci siano molte vere occasioni di lavoro dall’alto se non nei casi di grave distorsione della intera capsula cornea. Per grave distorsione intendo quella dove la parete non arriva a toccare terra e punta verso l’alto. Cercate asini laminitici in “studio di zoccoli” .
Se comunque si sceglie di ridurre lo spessore della parete almeno non facciamolo riducendo lo spessore al di sotto del suo spessore medio seguendo quello che è stato l’insegnamento di Jackson.

Da pagina 106 del booklet “Official Trimming…”: Yet another convention among farriers, barefoot trimmers and other not gauging their work by wild horse standard, is the practice of rasping the outer wall to remove flare. The danger in doing this is that removing all flare can result in reducing the hoof all to less than its natural thickness, and even penetrating the white line and dermis. The associated risk…Even wild horse have flare… ma cosa intendete per spessore naturale?

In molti articoli del decennio scorso (2000-2005) si insisteva sulla necessità di rendere uniforme lo spessore della parete lungo tutto il suo perimetro. Per naturale spessore intendete una spessore uguale lungo tutto il perimetro? Natural thickness e spessore uniforme sono due cose assai diverse. Ridurre la parete ad uno spessore uniforme e di conseguenza  le fare era ed é da quasi tutti per inerzia considerato normale, si realizza un ampio tratto perpendicolarmente al piano di appoggio e il quantitativo di materiale asportabile con la triangolazione è parecchio.  Se intendete invece per natural thickness uno spessore della parete maggiore alla punta piuttosto che ai quarti (con la stessa metodica farete un lavoro diverso) e porterete via meno materiale. Una voce dissonante nel coro è stata quella di La Pierre che ha insistito sulla forma a balestra della parete e sulla necessità di preservarla. L’unghia del cavallo vista in pianta richiama la “spring leaf” attuatrice forgiata dal fabbro….( The Chosen Road DVDs, K.C. LaPierre)

Gli asini dimostrano uno spessore della parete di spessore uniforme lungo tutto il perimetro. E’ una delle loro particolarità, un segno di distinzione. NON i cavalli.

Perchè rendere uniforme lo spessore della parete lungo tutto il suo perimetro prendendo a riferimento lo spessore ai quarti? L’unghia è elastica e resistente e il suo spessore aumenta man mano che si procede verso la punta. Riducendone lo spessore se ne riduce la resistenza. E’ come ridurre la robustezza di un arco, che è di spessore maggiore all’impugnatura.
L’unica ragione che avete per ridurre lo spessore di un arco all’impugnatura è quella di diminuire la sua rigidità. Spero che saree d’accordo con me sul fatto che nel caso dello zoccolo non è sempre il caso.

Nella stragrande maggioranza dei casi individuare il breakover da sotto (con Ramey) preserva l’integrità totale della parete soddisfando pienamente la meccanica della locomozione. Avete l’uovo e la gallina. Non solo. Eviterete errori grossolani rimuovendo ad ogni pareggio materiale per ridurre “flare” che non sono patologiche ma che non siete capaci di distinguere come tali. Even wild horse hooves have “flare” (JJ).
Nel prossimo articolo ci soffermeremo sulle comuni manie che dimostrano i pareggiatori con poca testa ma tanta voglia di apparire nel finire la parete e di come può diventare impossibile realizzare un bevel od un roll nella posizione corretta se prima si è reso uniforme lo spessore della parete lungo tutto il perimetro. E di come pratiche sconsiderate indeboliscano la parete favorendo lo sviluppo di crepe, fessurazioni, setole.

Il pareggio in pratica – 5

La fine delle discussioni sull’altezza dei talloni

La lettura di questo articolo deve essere preceduta dagli altri della serie (1,2,3,4). Realizzazione immagini, ing. Rossella Ghetti

Prefazione

Da bravo pilota di linea dovevo, in avvicinamento al campo ed in assenza di visibilità,  confrontare in ogni momento l’altezza dell’aereo e la distanza dalla soglia pista lungo un sentiero strumentale che, quando standard, ha una pendenza di 3°.  Altimetri e strumenti per la misurazione della distanza devono dare indicazioni tra loro pertinenti. In biofisica e bioingegneria è abitudine fare paralleli e cercare  soluzioni  copiandole dal naturale.

Ho constatato che nessun maniscalco o pareggiatore é capacace di mettere velocemente in relazione il ribasso della parete ai talloni in millimetri con la variazione di pendenza n gradi dello zoccolo. Insomma che si lavora “un tanto al kg.”  Non bisogna sapere che cosa comporta una azione? Azione che dovrebbe realizzare un progetto ed ha una ricaduta più pesante di quella che si immagina? La maggior parte di coloro che prestano la loro opera professionale lavorando con i cavalli non ha una istruzione tecnica o appartiene  a quella vasta categoria che non ha mai avuto simpatia per i numeri. Questo articolo è dedicato soprattutto a loro.

–——

Gli articoli di Pete Ramey, soprattutto le pubblicazioni successive come l’audiovisivo (“Under The Horse”)  sono chiari nell’esaminare le varie condizioni e situazioni che possono chiedere un lavoro differente  della parte posteriore dello zoccolo.  Nonostante ciò a dieci anni di distanza dalla loro pubblicazione è ancora diffusa l’incertezza.

Perché?

Molte persone mi hanno detto di conoscere Pete Ramey e magari di condividerne la tecnica così come di conoscere Jackson. Jackson non é solo l’autore del materiale divulgativo tradotto in italiano. Pete Ramey non è solo l’autore degli articoli del 2005 tradotti da Alex Brollo. Molto di più si trova negli audiovisivi di cui “Under The Horse” è introduzione e nel  libro “Care and Rehabilitation of the Equine Foot”. Per questo ma anche perché le pubblicazioni che diventano vecchie tendono ad essere dimenticate ho deciso di scrivere questo articolo ritornando sulle loro considerazioni ed aggiungendone altre nella speranza di fare chiarezza … per colui che vorrà questa volta prestare attenzione.

Durante le mie presentazioni della tecnica barefoot cerco di proporre un quadro riassuntivo dei vari autori, delle varie idee ed osservazioni che hanno reintrodotto la pratica del cavallo scalzo in occidente. Così, mentre attribuisco alla Strasser il merito di avere creduto nel barefoot già esaltato negli scritti di Bracy Clark due secoli prima, attribuisco a Jackson il merito di averci liberato dal dogma della pendenza dello zoccolo grazie alla osservazione naturalistica dei cavalli rinselvatichiti ed alla raccolta di dati.

Con loro si è aperto un ciclo, alcuni animali sono stati restituiti ad un ambiente naturalizzato mentre ci si é chiesto “nuovamente” cosa è opportuno fare quando il consumo limitato dal ridotto movimento non può compensare la crescita o la mancanza di varietà di terreni nei recinti non abitua lo zoccolo ad affrontarli. Lo stesso problema si presenta da sempre ed è trattato da Senofonte nel suo Ipparco. Tra le edizioni disponibili : “L’equitazione nella Grecia antica”- Trattati equestri di Senofonte e i frammenti di Simone- MEF

Con Ramey, Bowker ed il carico distribuito si è arrivati al totale disimpegno nella lavorazione della parete (libertà nella scelta della protrusione della parete dal piano della suola e poi nella sua finitura) che consente di affrontare con una efficacia prima sconosciuta la riabilitazione del laminitico senza l’utilizzo degli accessori che sono impiegati in mascalcia. Tra questi quelli utilizzati da Ovnicek dopo il pareggio e per la ferratura Natural Balance che descrive sull’ Adams’.

fig.1 modificata

figura 1

Gaussiana simile a quella di Jackson, “The Natural Horse”. In ascisse la pendenza della dorsale della capsula (toe angle). In ordinata la popolazione dei cavalli sui quali Jaime ha condotto le osservazioni. La curva di sinistra è relativa allo zoccolo anteriore. La curva di destra al posteriore. I valori , 54° e 58° sono i più rappresentati nella popolazione. Man mano che ci si allontana verso sinistra o destra il numero di animali cui appartiene una pendenza inferiore o superiore diminuisce. Diminuisce ma ciò non vale a sostenere che la loro conformazione è inferiore o inadeguata. La diversa conformazione è espressione della variabilità nella popolazione. La variabilità è una ricchezza. Una bella osservazione naturalistica di Jackson. Altri dati, ricavati su popolazioni di animali in evidente stato di stress come quelle, ad esempio, dei brumbies australiani debbono essere considerati con cautela.

Alla differente pendenza dello zoccolo deve essere ricondotta la diversa altezza che si “pretende” attribuire ad un tallone. Da sottolineare ancora che la pendenza è individuale come l’altezza e massa della piattaforma posteriore del piede.  Altre considerazioni sui possono fare sulla relazione tra altezza e larghezza del piede, massa dell’animale e superficie di appoggio, altezza dello zoccolo e data la velocità di produzione dell’unghia periodo necessario al rinnovamento totale.

La terza falange è un solido approssimativamente triangolare se osservato di lato. Consta di tre lati o facce. Dorsale, articolare, palmare o plantare. Qualsiasi variazione di pendenza della dorsale  si riflette sull’angolo di incidenza, o angolo di assetto, del lato palmare con il piano di appoggio. E come potrebbe essere diversamente se si tratta di un solido?

fig.2

figura 2

Terza falange stilizzata in due diversi assetti. Faccia palmare o plantare parallela al piano di appoggio (nero) e non (rosso). A diversi angoli di assetto b corrispondono diverse pendenze. Ad una variazione della pendenza corrisponde una variazione di assetto ed una eguale variazione di pendenza della corona. a=b=c

Se desiderassimo il nostro solido (con l’angolo compreso tra dorsale e articolare di 105° e l’angolo compreso tra articolare e palmare di 30°) appoggiato e parallelo al piano di appoggio, dovremmo per forza avere l’angolo compreso tra dorsale e palmare di 45°. Mi riferisco ora allo zoccolo del bipede anteriore.

Se siamo liberi dal dogma della dorsale a 45° e della articolare a 30° e lo siamo perché nessun teorema può vincere la osservazione e constatazione di ciò che esiste in natura ci limiteremo a accettare il diverso assetto dimostrato dai vari cavalli, rinselvatichiti o domestici che siano, come a loro proprio.  Se ad ognuno appartiene una diversa pendenza perchè forzarli ad assumerne una….


Nella descrizione della recente scarpetta Scoot (anno 2016) ad esempio il costruttore chiede il pareggio dei talloni indicando una minima profondità delle lacune collaterali al fettone cui consegua il parallelismo tra terza falange e piano di appoggio! Pensate quali forzature si continuano ad indurre. Dovessi pareggiare i miei cavalli seguendo quelle istruzioni li renderei immediatamente doloranti e bisognosi della protezione con scarpette. Il costruttore delle scarpette Scoot mette insieme molte affermazioni sensate accompagnate da vere e proprie stupidaggini. Il proprietario è indotto a creare nel piede del suo cavallo forme e proporzioni come se si trattasse di un pezzo di legno da scolpire. Nessuna cautela riguardo alle strutture interne,  densità e stato dei tessuti. Si ripropongono come se nulla fosse successo durante questi ultimi venti anni le stesse operazioni che hanno reso zoppi tanti cavalli dopo il pareggio e procurato al sistema Strasser tanti nemici e azioni legali, discredito ed abbandono. Il costruttore e venditore della scarpa conduce di fatto il cliente a costruire uno zoccolo dentro al suo prodotto piuttosto che una scarpa adattabile intorno allo zoccolo. Molti problemi di progetto sono risolti. Sarebbe accettabile dichiarare che la scarpetta si adatta ad un tipo di zoccolo, forzare decantando una forma non lo è affatto).  Riporto alcune frasi dalla pagina “sizing”: (…the ideal angle-of the coronet-should be at least 30°, which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel. To ensure that your horse has had a correct trim, this means low heels, no flare ). Etcetera. Le parole low heels di per se non significano nulla. Come vedremo nel prossimo articolo sul “pareggio in pratica” anche le flare non sono armonizzabili o riducibili sempre e comunque. La pubblicità della Scoot può condurre il proprietario ad azioni gravemente lesive.

Ecco delle frasi estratte dalla pubblicità alla scarpetta Scoot:

To ensure your horse has had a correct trim – this means low heels, no flare and bevelled hoof edges and rolled toe:

The heel height should range from 0mm (0″) to a maximum of 15mm (5/8″) from the bottom of the collateral groove to the top of the heel at the heel buttress (this is to ensure that the horse’s frogs have sufficient ground contact)

The ideal angle of the hairline at the coronet should be at least 30 degrees which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel

obvious indicator is the angle of the hairline at the coronet.

The ideal angle should be at least 30 degrees, which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel.

To ensure your horse has had a correct trim – this means low heels, no flare and bevelled hoof edges and rolled toe:

The heel height should range from 0mm (0″) to a maximum of 15mm (5/8″) from the bottom of the collateral groove to the top of the heel at the heel buttress (this is to ensure that the horse’s frogs have sufficient ground contact)

The ideal angle of the hairline at the coronet should be at least 30 degrees which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel

obvious indicator is the angle of the hairline at the coronet.

The ideal angle should be at least 30 degrees, which will ensure the coffin/pedal bone is ground parallel.


…  Ad ognuno di quegli infiniti assetti corrisponderà un diverso angolo palmare e gioco forza un diverso angolo di incidenza della faccia palmare con il terreno o piano di appoggio. Mi riferisco sempre per comodità ad un anteriore.

Se dovessimo pensare che non é così noi umani dovremmo calzare scarpe munite di tacchi di altezza diversa o suole di diverso spessore in punta per far assumere a tutti i nostri piedi il medesimo assetto o dovremmo  fare  ai nostri piedi quello che si pretende fare ai cavalli ovvero lavorarne il tallone al fine di raggiungerlo?

Nelle dissezioni accompagnate dalle note, relative alla capacità e soundness del cavallo prima della morte, la soundness è stata associata statisticamente ad un angolo palmare positivo, all’assetto positivo rispetto al piano di appoggio del lato soleale della terza falange. Il parallelismo invece alla incertezza o alla zoppia. (Bowker, Michigan Sate University)

Anche non volendo considerare valide o veritiere per qualsivoglia motivo questa osservazioni rimane il fatto che durante l’elaterio (per chi ancora crede in esso e la parola “crede” ci sta bene perchè la mascalcia dagli albori fino all’inventore delle scarpette Scoot è stata e resta un atto di fede) i talloni si allontanano uno dall’altro. Magari un pochino. O vogliamo “credere” ad una capsula cornea assolutamente rigida ed indeformabile? Con l’aumento della distanza tra i talloni la parte posteriore del piede si avvicina a terra e la capsula cornea e il nostro triangolo o terza falange se preferite, ruota in senso antiorario. La pendenza della dorsale della capsula si riduce, con essa quella della dorsale della terza falange e di conseguenza essendo essa appunto un solido si riduce l’angolo di incidenza della sua faccia soleare rispetto al terreno. Si riduce dello stesso numero di gradi.

Nel momento di massimo carico e di deformazione dello zoccolo lo scarico della forza peso avviene in modo ottimale se la terza falange (il nostro triangolo) vede la sua faccia soleare parallela al terreno.

fig.3

figura 3

Zoccolo stilizzato, vista posteriore. Appoggio in movimento e divaricazione dei talloni, deformazione elastica.

fig.3a

Figura 3a

Stesso zoccolo, vista laterale e indicazione dei due diversi assetti di P3, la freccia indica sia la rotazione di P3 che la deformazione elastica della capsula.

Per risultare parallela o quasi al terreno quando il carico è massimo la terza falange deve essere orientata con un certo angolo positivo quando il carico è più basso. Per esempio quando il cavallo è fermo e sullo zoccolo arriva a gravare soltanto la forza peso. La forza che grava sullo zoccolo aumenta considerevolmente quando il cavallo è in movimento.

Dovrebbe essere chiaro che partendo da un assetto pari a 0° a riposo, nel momento di massimo carico il nostro triangolino o P3 assumerebbe un angolo negativo rispetto al piano di appoggio. Questo peggiorando la capacità di trasferimento dei carichi a terra e creando zone di maggiore o minore compressione nel connettivo interposto tra terza falange e suola.

Pensate ad una balestra. Rivolge la sua convessità verso la strada e quando viene caricata la perde, tutta o in parte.

Probabilmente questa situazione viene riproposta ogni volta che, con il pareggio, si pretende di riportare la terza falange parallela al suolo a cavallo fermo. Magari sfruttando una immagine radiografica che per forza di cose si ottiene a cavallo fermo.  Perchè il cavallo è, anche se non sempre, in grado di far fronte a questa situazione negativa e nascondere l’errore umano?

Pensando a dove e come la tesi del parallelismo della terza falange con il suolo è stata formulata e continua ad essere difesa vi rispondete da soli. Se il cavallo vive su un terreno penetrabile e non aggressivo e compete su sabbia o erba, può disporre lo zoccolo come meglio crede. La punta dello zoccolo può penetrare nel terreno, riportando la sua pendenza apparente a quella corretta. Una pianura alluvionale tedesca o un prato inglese consentono questo. Meno sostenibile sarebbe la situazione su terreni vari, su pietraie, ghiaia, terreni secchi e duri dove quegli stessi cavalli incontrerebbero maggiori problemi e dovrebbero calzare scarpette o essere ferrati.

Ma veniamo finalmente ai talloni. Sono essi con la loro forma, dimensione, altezza, a reggere la pendenza dello zoccolo. Più basso il tallone minore la pendenza e viceversa. Se è vero che esistono zoccoli più corti e più lunghi, più alti e più bassi, più o meno ripidi, più grandi e più piccoli, come i nostri piedi e le nostre scarpe, assegnare una costante all’altezza dei talloni almeno stona. Per costringere la terza falange ad essere parallela al piano di appoggio  saremmo costretti ad abbassare i talloni. Ma di quanto?

Vi propongo un piccolo esercizio di geometria. Guardate la figura n. 4. La base del triangolo é di 6 cm. Ad un angolo all’ipotenusa di 1° corrisponde una altezza del triangolo di 1 mm. Ad ogni incremento dell’angolo di un grado corrisponde un aumento dell’altezza di un millimetro.

1° corrisponde a 1 mm. 2° ” a 2 mm. E così via…questa è una approssimazione che vale per angoli piccoli, fino ad una decina di gradi.

fig.4

figura 4

Triangolo di base 6 cm. Ad un angolo di 1° corrisponde una altezza di 1mm. E così via. L’approssimazione vale per piccoli angoli.

Ora un esempio.

Scegliamo un cavallo con uno zoccolo lungo 12 cm. Disegniamo un triangolo di base 12 cm. invece che di 6 cm. Ad ogni grado corrispondono ora 2 mm. Guardate i due triangoli simili di figura 5.

fig.5

Figura 5.

Due triangoli simili di 6 e 12 cm. con altezza 0.5 e 1cm.

Ora immaginiamo uno zoccolo intorno al nostro triangolo lungo 12 cm e altezza 10 mm. Aggiungiamo un oggetto sopra l’ipotenusa del triangolo. Immaginate sia la terza falange.

fig.6

Figura 6

Sopra il triangolo di base 12 disegniamo un altro oggetto (P3)

Per portare l’oggetto 🙂 parallelo al terreno dobbiamo ridurre l’altezza del triangolo su cui appoggia ( l’altezza dei talloni), di quanto? Dovreste essere in grado di rispondere.

Se volessimo ridurre la pendenza da 5° a zero e il piano su cui l’oggetto poggia fosse lungo 12 cm. dovremmo portare l’altezza del triangolo da 10 mm. a 0 mm.  Se prima del pareggio la parete all’angolo di inflessione sporge sufficientemente dal piano della suola il problema è eventualmente limitato ad una sensibilità aumentata o ad una ridotta stabilità su terreno penetrabile. Se invece il parallelismo è ottenuto portando verso 45° la pendenza dello zoccolo oppure ed é lo stesso a 30° la pendenza della corona senza riguardo a ciò che è necessario togliere nella parte posteriore del piede la sensibilità diventa più propriamente dolore. Un conto è ridurre l’altezza della parete (unghia) rispettando la suola altro invadere la suola.

Altra complicazione è determinata dalla perdita dell’arco palmare. La base del triangolo di fig. 6 non è effettivamente un piano ma un arco. Se si ribassa la parte posteriore dell’arco si perde la curvatura. Se si vuole riottenere la curvatura è necessario invadere la suola ai quarti e così via.

Potete comprendere come e quanto la volontà di realizzazione di una idea, in questo caso una pendenza data o un immaginario tallone “basso” possa guidare ad un pareggio distruttivo. La pendenza non è determinata da un punto all’estremità posteriore dello zoccolo. E’ tutta la piattaforma posteriore del piede a contribuire. Tutta la zona dell’angolo di inflessione, le barre. Ma le barre, anche esse mortificate dal coltello, portano via con loro trazione, aderenza, capacità della suola di resistere ad una deformazione eccessiva sotto carico. Eccetera.

Quando volete un “tallone basso” riflettete. Quando un pareggiatore vi dice che il vostro cavallo ha un “tallone troppo alto”chiedetegli perché. Insegue un modello?

Si accinge a entrare nel piano della suola per ridurne l’altezza o la parete sporge da essa eccessivamente? Sono due situazioni molto diverse. Solo nel secondo caso la riduzione dell’altezza della parete ai talloni è probabilmente dovuta (ma in ogni caso prima di ridurla il pareggiatore dovrà chiedersi il motivo del mancato consumo). Nel primo caso il cavallo  potrà recuperare la disinvoltura e sicurezza del passo solo in molto tempo. Durante tutto quel tempo potreste credere che il barefoot non fa al caso vostro e sia una cosa sbagliata. Quando il cavallo darà segni di recupero sarà ora di un nuovo pareggio e se la volta precedente avete chiuso gli occhi la seconda saranno i vostri vicini a farveli riaprire. Peccato che incriminato sarà il cavallo ed il barefoot non lo sconsiderato ignorante che avete pagato per causare un danno.

Un conosciuto video di alcuni anni fa della “Scuola Svedese di Pareggio” mostra come uno zoccolo del moncone di una zampa di cavallo risponda con un elaterio maggiore dopo avere ridotto l’altezza ai talloni. Non voglio affermare la praticità ed efficienza di un tallone “troppo alto”. Al contrario. Ma nessuno può chiedere a quel moncone  se stava meglio prima.

Il vostro pareggiatore sa riconoscere il piano della suola magari ricoperto da materiale non esfoliato? Non sarebbe opportuno salvaguardare le placche di materiale non esfoliato sulla suola o accettare una altezza dei talloni appena più elevata? Riconosce l’importanza dei vari terreni? Quella della corretta alimentazione e dei problemi causati da uno sbilanciamento, eccessi e carenze? La necessità della disinfezione dello zoccolo ed in particolare del fettone? Vale la pena intervenire su un asse digitale? E se si di quanto varia l’allineamento fra terza e seconda falange se, potendo e avendo materiale a disposizione, riduco la protrusione della parete ai talloni di tot millimetri se lo zoccolo è lungo tot centimetri? Quanto carico un fettone malandato può sopportare e quanto, gradualmente, possiamo riportarlo in gioco considerando la penetrabilità del terreno dove il cavallo vive? Eccetera. Non sono domande o risposte semplici? Coloro che non sanno rispondere  studino. Leggere e comprendere gli scritti e gli audiovisivi di Ramey può farvi evitare  errori.  Il tempo della sperimentazione non è definitivamente finito ma non giustifica l’ignoranza e la maggiore sensibilità dei cavalli ad ogni pareggio. Se siete proprietari infine sarebbe meglio che voi stessi possedeste elementi di meccanica applicata al pareggio, visto che non potete sperare che chi avete chiamato li abbia. E far da voi.

 

Il pareggio in pratica – 4

Il roll ed il bevel.

segue ai precedenti 1-2-3

Accorciando l’unghia facendo riferimento al piano della suola e scegliendone la sporgenza abbiamo già impostato lo zoccolo. La densità, integrità e spessore del materiale corneo, la natura del terreno più o meno penetrabile ci fanno giocare in un intervallo di un paio di millimetri.

Dopo il ribasso e la così detta riduzione di capsula e parlando sempre, vi ricordo, di uno zoccolo sano dove le varie parti sono in corretto rapporto fra loro l’insieme si presenta grezzo con spigoli più o meno taglienti. Tutta la water line (la parte non pigmentata della parete) raggiunge terra. Così anche, in parte o tutta, la parte pigmentata (o parete esterna).

Se questi termini non vi sono familiari fate un po’ di pratica studiando i siti di Paige Poss. Trovate i riferimenti per raggiungere “ironfreehoof “ed “anatomy of the equine” qui nella sezione link del sito.      E’ mia opinione che non sia necessario fare dissezione per comprendere la fisiologia dello zoccolo, ci sono ormai siti di anatomia come quelli di Paige che rendono secondaria la dissezione che resta comunque una opzione per coloro che si vogliono dedicare alla podologia in modo specialistico.

Gli spigoli si rompono, si scheggiano o feriscono, vengono rapidamente consumati, le superfici si arrotondano. Il nostro cavallo se fosse libero di muoversi su grandi distanze dimostrerebbe pareti arrotondate e piani variamente orientati, non spigoli vivi. Da questa constatazione ed osservazione nacque l’idea del “roll”.

Il “roll” venne concepito come una finitura attraverso la quale si smussava dolcemente la parte esterna dell’unghia pigmentata. Limitandosi alla parte pigmentata appunto senza interessare la water line, la massa della parete.

Perchè ci si era dati questo limite? Una smussatura ridotta preserva dalla scheggiatura ma lascia a terra, in contatto con il piano di appoggio (se pensate  ad un piano di appoggio non penetrabile, rigido come quello di una piazzola di cemento) la massa della parete, quindi tutta la water line che ne costituisce la gran parte.

Nella visione di chi ha inventato il “roll” il peso del cavallo viene scaricato a terra dalla parete, dall’unghia tramite le lamine, il tessuto di connessione interposto tra la terza falange e la parete. Oggi, passate di moda le lamine, tramite la suola che, come un soffitto a volta caricato trasferisce le forze tangenzialmente a se stessa fino a raggiungere la sua periferia dove è saldamente connessa appunto alla parete che infine la scarica a terra.

Chi ritiene, in entrambi i casi, che la parete sia l’ultima responsabile dell’appoggio vorrà che raggiunga terra con la maggiore superficie possibile quindi ne sacrificherà una minima parte nell’esecuzione del “roll”.

E’ da dire che la stragrande maggioranza di coloro che arrotondano la parete non lo fa avendo in mente questo principio e ragione ma solo per sentito dire, per copia conforme, perché così si fa. E il “roll” diventa diverso, un rollone come dico spesso scherzando o un roll timido come dicevano altri.

Fatto sta che il dogma del carico periferico (parete responsabile della scarico a terra della forza peso) ha subito dei poderosi attacchi con Pete Ramey e Robert Bowker. Nessun cavallo rinselvatichito o domestico che sia si muove o dovrebbe muoversi su una superficie non penetrabile. La roccia, l’asfalto, il ghiaccio sono occasionali. La norma è la terra, l’erba, la sabbia, le pietre di varie dimensioni. In tutti questi casi il carico non è periferico sulla parete ma, distribuito. In gran parte grava su suola, barre, fettone. Tanto più quanto lo zoccolo penetra nel terreno e ci lascia un’orma.

Ramey e Bowker hanno riscoperto e proposto in un ambiente che effettivamente ha poco di scientifico ciò che era conosciuto da tempo.  Sul Kent, il più diffuso libro di anatomia comparata degli anni ’60 e ’70 trovate: (il cavallo poggia sulla suola…come ogni altro mammifero).    Nessun biologo o naturalista si sarebbe mai stupito di questa affermazione.

Lasciare tutta la water line “a terra” diventa allora secondario e il più delle volte controproducente. Quando però sarà meglio lasciare tutta la water line e anche il più possibile della zona pigmentata a terra? Quando di fatto il cavallo è costretto, volente o nolente a muoversi su una superficie dura e liscia. Sarebbe il caso del cavallo che traina una carrozza per strada.  Si tratta più che altro di occasioni.

Il “roll” è visibile nel mondo reale in cavalli che vivono su terreni molto accidentati e pietrosi. Camminando a lungo la parete si arrotonda, levigata da sassi e particelle di ogni dimensione.

Man mano che l’ambiente si addolcisce la parete si arrotonda appena in punta mentre continua ad esserlo maggiormente procedendo verso i quarti.  Sia nei DVD di Jackson che di Ramey viene  sottolineata la differenza di finitura dalla punta verso i talloni. Mentre ai quarti la parete si presenta sempre arrotondata perchè consumata in questo modo dallo zoccolo che cambia direzione, alla punta la parete è caratterizzata da un bevel (traduzione piano inclinato) con origine nella water line, di varia pendenza a seconda dell’andatura.

Pensate al cavallo che si muove in avanti in linea retta. Il tallone si alza, lo zoccolo leggermente affondato nel terreno ruota fino a staccarsi da terra mentre nello stesso tempo il carico si riduce progressivamente. Si crea approssimativamente un piano della lunghezza di qualche millimetro, il bevel. Questo piano inclinato fa si che le forze di reazione del terreno alla forza peso mentre il cavallo è fermo o in movimento si orientino diversamente e si riducano ( molto meglio sarebbe dire che l’abrasione continua modella la parete a seconda della intensità e direzione delle forze che applica e a cui è soggetta).                                                                                 La forza di reazione del piano di appoggio al peso si scompone ed una parte si orienta verso l’interno dello zoccolo con una minore occasione di separazione tra parete e osso triangolare e minore sollecitazione del connettivo, le lamine. Un’unghia finita e lasciata con il suo margine parallelo al terreno (come nella preparazione per la ferratura) è maggiormente sollecitata a separarsi, ad allontanarsi dalle strutture sottostanti.

La nostra finitura comprende quindi un bevel più o meno inclinato, 20°-35° e con origine nella white line. L’origine la troviamo, se volete un’indicazione di massima, a 5-6 millimetri dal margine della suola. Se la white line è larga quanto dovrebbe, circa 3 millimetri, rimangono a terra (su supeficie impenetrabile come il cemento o la roccia) altri 3 millimetri di water line. Quando il cavallo abbandona la piazzola il resto della parete che fa parte del piano inclinato o bevel, è comunque caricato, sia pure in minore entità, perché di fatto il piede sprofonda e si mette completamente e progressivamente in contatto con il terreno.

Tenendo quindi la nostra raspa inclinata  rispetto al piano della suola realizziamo questo piano asportando una piccolissima quantità di materiale lungo tutto il perimetro da quarto a quarto. Infine smussiamo la parte più esterna della parete così finita con un piccolo roll di cui partecipa solo la parte più esterna pigmentata. Man mano che procediamo verso la parte posteriore del piede il piano, bevel, si accorcia mentre lo spessore di parete che partecipa del roll aumenta.

Quando il cavallo “sterza” la superficie più arrotondata ai quarti favorisce la manovra. Lo scalino o sporgenza della parete rispetto al piano della suola lungo tutto il perimetro assicura stabilità e direzione.                                                                                                     Fettone e barre partecipano del sostegno del peso e della stabilizzazione della traiettoria.

Non avevamo ancora parlato né di fettone né di barre. Se la parete è tenuta sotto controllo, corta, sia il fettone che le barre sono tenuti in funzione continuamente. Con il movimento le parti vengono sottoposte a continuo consumo. Materiale non si accumula e tutto lo zoccolo, si mantiene sano. A questo può concorrere l’opera di disinfezione con aceto e solfato di rame (vedi apposito articolo) di tutte le parti che appoggiano a terra.                                               Non dico che non sia necessario un intervento occasionale su fettone e barre. Trovate altre indicazioni su questo nella pagina “studio di zoccoli”. Ma si tratta di intervento occasionale e mirato. Se fettone, barre e piano della suola vengono sempre sottoposti all’intervento del coltello durante i pareggi significa che troppo viene tolto a scapito della soundness del cavallo oppure viene eliminato  materiale fradicio ed infetto che si accumula perché il cavallo vive costantemente su terreni umidi e sporchi o infine è limitato fortemente nel movimento.  Il rimedio non é il coltello. L’animale vive in condizioni misere di cui sono responsabili il proprietario o il gestore.

Con i prossimi articoli ci occuperemo direttamente ed espressamente dello zoccolo che ha abbandonato giuste proporzioni e corretta relazione fra le parti introducendo altri elementi di teoria. Nel frattempo rileggete la parte “studio di zoccoli”. Specialmente l’introduzione, suole e callosità, profondità delle lacune, sferratura.

Notate infine che abbiamo sempre lavorato “da sotto”. Con la suola del cavallo rivolta verso l’alto per intenderci. In ogni fase. E’ il modo corretto. Lavorare invece con la raspa da sopra, dall’alto verso il basso ha senso solo in particolari situazioni. Patologiche. Secondo determinate regole. Che vedremo insieme.

Il pareggio in pratica – 3

presuppone lo studio dei precedenti 1 & 2

Abbiamo ridotto l’altezza dell’unghia. Abbiamo scelto di quanto tenendo conto del terreno, delle condizioni. Lo abbiamo fatto tenendo come riferimento il piano della suola, lungo tutto il suo perimetro.
Ma la suola a seconda del terreno, del movimento e dell’umidità può presentarsi coperta di materiale di diversa densità. Materiale da rimuovere quando gessoso e incoerente ma da lasciare al suo posto quando duro compatto e saldamente ancorato rappresenta una solida ed efficace protezione per una suola magari non tanto forte e spessa. Questo deposito si chiama materiale “di esfoliazione” e sarebbe abraso dal contatto con il terreno grazie ad un maggiore movimento.
Il piano della suola che vediamo può essere allora quello reale (vero) o apparente. Dobbiamo tenere in conto lo spessore del materiale di esfoliazione. Perché?
La lavorazione “di ribasso” della parete deve essere fatta con riferimento al piano reale (vero) della suola sottostante al materiale di esfoliazione altrimenti la parete rimarrà più “lunga”, suscettibile di rompersi. Lo spessore del deposito varia da pochi decimi a qualche millimetro, non è difficile indovinarlo. Basta un poco di pratica e dovrebbe essere compito del vostro insegnante o pareggiatore durante l’anno di accompagnamento al pareggio farvi notare la qualità e altezza degli eventuali depositi sulla suola “vera” e valutarne l’opportunità di rimozione.  Se non si è in grado di valutare lo spessore del materiale depositato sulla suola diventa necessario rimuoverlo ogni volta, fino a vedere la linea bianca da utilizzare come riferimento per poi accorciare la parete Questo è stato fatto per anni da  certificati pareggiatori e per anni cavalli hanno zoppicato dopo il pareggio resi sensibili a causa della rimozione del deposito sovrapposto ad una suola troppo sottile. L’aumento di sensibilità mortifica e riduce la capacità di movimento che dovrebbe stimolare la crescita di una suola più spessa.

Non togliete il deposito sotto la suola, fate muovere il cavallo e se non potete far muovere il cavallo lasciategli il deposito sotto le suole! Almeno d’estate. In linea di massima tutto ciò che non viene via con un netta piedi adoperato vigorosamente dovrebbe essere lasciato. Lasciato in attesa di una pioggia che renderà il materiale più morbido, inutile e facile da togliere.

Pensate. Se il cavallo non si muove abbastanza la sua suola non sarà delle migliori. Il movimento, la pressione che ne stimola la produzione, manca. E si riduce il consumo. La suola sarà probabilmente coperta da materiale durante la stagione secca. Anche la vostra pelle perde continuamente materiale, cellule morte, che vengono continuamente “a galla” e  perse. Se vi scottate il ricambio diventa visibile.

Il tessuto vecchio che non si stacca aiuterà la suola nella protezione del connettivo sottostante e delle strutture interne. Sul terreno duro e secco le pietre superficiali non affondano sotto il peso del cavallo. Al cambio di stagione o nel caso di una pioggia seria il terreno diventerà penetrabile e cedevole, le pietre saranno meno pericolose perchè potranno affondare o spostarsi almeno parzialmente. Non costituiranno più un ostacolo fisso. Con la pioggia il deposito sulla suola si ammorbidirà anch’esso e, non più utile meccanicamente diventerà invece motivo di proliferazione di funghi e batteri. Aiuteremo quindi il cavallo a liberarsene con il nettapiedi molto vigorosamente. Vedete che non nomino il coltello. Il coltello deve essere usato con cautela ed esperienza.

Ora, chiusa questa necessaria parentesi sulla suola torniamo alla parete e cambiamo la posizione di lavoro della raspa in modo da lavorare lungo la parete per tutto il perimetro dello zoccolo.

la rimozione di materiale lungo il perimetro. scheggiature, piccole deformazioni, accumuli in zone poco utilizzate. il fine NON è quello di rendere la parete di spessore uniforme, la parete è maggiormente spessa alla punta (o centro) come un arco o una balestra. è la successiva azione di finitura che dispone il breakover nella corretta posizione. l'insieme lascia una parete spessa e forte che non impedisce il movimento (vedi articolo successivo per la finitura)

la rimozione di materiale lungo il perimetro. scheggiature, piccole deformazioni, accumuli in zone poco utilizzate. il fine NON è quello di rendere la parete di spessore uniforme, la parete è maggiormente spessa in punta che ai quarti come un arco o una balestra. la successiva azione di finitura (bevel) che dispone il breakover nella corretta posizione da quarto a quarto passando per la punta. l’insieme lascia una parete spessa e forte che non impedisce il movimento (vedi articolo successivo per la finitura). nella fotografia l’asse minore dell’utensile è perpendicolare al piano della suola.

La corsa dell’utensile deve essere lunga e le passate sovrapposte. Altrimenti è impossibile raccordarle. Alcune imperfezioni si manifestano anche nello zoccolo migliore. Quanto più lo zoccolo è orientato in modo imperfetto tanto maggiore sarà la differenza di consumo tra la parte interna ed esterna (mediale e laterale) dello zoccolo. Dobbiamo allora lavorare la parete dalla parte che si presenta “più larga”. Il lavoro di ribasso precedente ha  posto in maggiore evidenza le imperfezioni. Per semplificare riportate idealmente sulla parte meno consumata la forma dell’altra e tenendo la raspa in posizione perpendicolare al piano della suola le bilanciate. Il fine non è quello di arrivare ad avere una parete dello stesso spessore lungo tutto il suo perimetro. Lo spessore della parete cambia procedendo dai quarti verso la punta aumentando. Una delle funzioni della parete è quella di riportare la capsula dello zoccolo alla forma di riposo dopo la deformazione subita sotto carico. La parete lavora come una balestra e le balestre sono più spesse, i fogli aumentano, man mano che si va verso il centro.

Mi rendo conto che questo può risultare in disaccordo con quanto scritto su alcuni vecchi articoli ad esempio quello di Tomas Teskey “Look at these Hooves” dove troviamo: “mi sforzo di lavorare la parete in modo che abbia lo stesso spessore lungo tutto il perimetro…”
Non mi interessa e non desidero una parete dello stesso spessore lungo tutto il perimetro, non voglio ridurne la resistenza e capacità elastica. Questo é il motivo per cui non lavoro dall’alto se non in particolari occasioni (vedi il pareggio in pratica 6).  Lavorando con la raspa come in fotografia lo spessore della massa della parete rimane sostanzialmente invariato. Abbiamo lavorato solo sugli ultimi millimetri vicini a terra. In un cavallo diritto con zoccoli simmetrici e consumo uniforme nemmeno su quelli.

Se siete confusi non preoccupatevi. Sarà tutto più chiaro quando parleremo della famosa “riduzione delle flare”.
Lavorando fino alla parte posteriore dello zoccolo da una parte e dell’altra e utilizzando se possibile alternativamente le due mani si eliminano piccole irregolarità e tutto assume un aspetto più regolare e curato.
Importante è tenere la raspa perpendicolare al piano della suola, almeno fino a quando non si è fatta sufficiente pratica. Dividendo le fasi e gli angoli di lavoro seccamente non si rischia di continuare ad asportare materiale da dove non si intende consapevolmente toglierlo. Per esempio non ridurremo ulteriormente l’altezza della parete già decisa in fase 1.

Abbiamo eseguito la “riduzione di capsula” o fase 2. Lo zoccolo è  pronto per la terza fase di lavorazione, quella di finitura della parete.

Il pareggio in pratica – 2

(presuppone la lettura del precedente,1)

La parete sporge dal piano della suola in egual misura lungo tutto il suo perimetro in un solo caso. Quando il cavallo è privo di difetti e appoggia il suo peso in modo uniforme sulla parte destra e sinistra dello zoccolo, atterrando e staccando correttamente. Se la produzione è anche essa uniforme la parete non potrà che sporgere egualmente in ogni punto.

Su quale sia il modo di atterraggio e decollo del piede “normale ed auspicabile” esistono pareri discordanti e si discute. Poiché c’è chi insiste e costruisce tutto il suo sistema ritenendo che l’atterraggio corretto sia quello di piatto credo sia utile soffermarsi. Tutti concordano sulla necessaria penetrabilità del suolo. Nessun animale uomo compreso é costruito per camminare sul cemento. Pur attrezzato di sistemi di ammortizzazione il cavallo non si è evoluto vivendo su cemento, asfalto o laghi gelati. Se non occasionalmente, il terreno è sempre in qualche modo penetrabile per un animale del peso medio di 500 kg.

Un umano atterra sui talloni e completa il suo appoggio e carico quando la parte anteriore del piede raggiunge il terreno, così fanno gli altri animali.  Nel cavallo quello che chiamiamo tallone non corrisponde anatomicamente al nostro ma avviene la stessa cosa e al variare della andatura e velocità di avanzamento l’atterraggio di tallone è più o meno evidente (ad una persona esperta e d’occhio allenato) quanto più il terreno è livellato e poco penetrabile.

Dopo l’atterraggio del tallone su un terreno duro e se il cavallo fosse fermo (questa è una contraddizione in termini necessaria alla spiegazione) la articolazione tra la terza e la seconda falange ruoterebbe intorno al suo centro molto velocemente (accelerazione) sollecitata contemporaneamente da un carico in aumento. Proprio su questo, una condizione immaginaria e non reale, che rappresenterebbe un problema, alcuni fondano la affermazione della necessità e naturalezza dell’atterraggio di piatto anziché di tallone. Se lo zoccolo atterra di piatto, la velocità angolare tra i segmenti ossei é minore.

Questa visione delle cose é speculativa.

Il tallone si comporta come un perno sul quale la terza e seconda falange ruotano insieme, almeno grossolanamente. Il terreno è o dovrebbe essere penetrabile. Il tallone tocca terra ma sprofonda immediatamente e tutto il resto del piede lo segue e affonda progressivamente . Interpretare questo come un atterraggio di piatto è una speculazione.

L’atterraggio di punta, al contrario, non è sostenuto da nessuno se non da qualche sconsiderato che osserva cavalli doloranti malamente ferrati o pareggiati, senza capacità di valutazione. Il cavallo atterra di punta quando è in salita ripida o quando atterra da un salto. Da un salto in alto e non in lungo come quando l’ostacolo è una siepe bassa. Si tratta anche in questo caso di occasioni. Sulla inopportunità dell’atterraggio di punta e sui suoi effetti non mi soffermo, vi rimando alla sezione “Sindrome Navicolare”.

Caricato convenientemente ad ogni passo su entrambe le parti, laterale e mediale (lato esterno “laterale e lato interno “mediale”) atterrando sui due  talloni simultaneamente  e staccando al centro, il consumo dello zoccolo rimane uniforme. Vedremo la parete sporgere dal piano della suola tanto a destra quanto a sinistra, tanto davanti quanto dietro. Il nostro lavoro consisterà nel ridurne l’altezza  lungo tutto il perimetro eguale misura. Se la riduzione di altezza è fatta bene la capsula rimarrà nello stesso assetto (pendenza) rispetto al piano di appoggio. Osservando di lato lo zoccolo prima e dopo il pareggio non noteremo nessuna variazione di pendenza. Nè cambierà il suo assetto se osservato ponendosi di fronte.

5

una parete che si presenta consumata in modo uniforme lavorata di conseguenza.

una parete che si presenta consumata in modo uniforme lavorata di conseguenza; la finitura “bevel” é accentuata; vi invito a realizzare un piano di inclinazione minore, circa 30°, se lo zoccolo é sano.

Seguendo il piano della suola si ricrea o si mantiene l’arco caratteristico, palmare o plantare, dello zoccolo più visibile se la ripresa è laterale.

Anche in questo caso anatomicamente le parti che realizzano l’arco non corrispondono negli ungulati alle nostre ma hanno la stessa funzione. Un esempio di convergenza evolutiva. L’arco palmare o plantare è naturale nel piede scalzo ed è perfettamente visibile quando l’animale staziona su una piazzola . E’ assente nel piede ferrato solo perchè necessariamente il maniscalco “spiana” per creare la base di appoggio del ferro. Con esso si perde, tra le altre, la capacità di deformazione elastica dell’arco e parte della funzione ammortizzante della capsula cornea.

Il lavoro di ribasso della parete si effettua con la raspa quasi parallela al piano della suola, dalla punta verso i talloni incrociando e sovrapponendo le passate e lavorando di mano destra e sinistra alternativamente. Quasi parallela e non parallela perchè le pareti, destra e sinistra, vanno lavorate indipendentemente una dall’altra. Se si appoggia l’utensile su due punti si “spiana” più facilmente e si prepara lo zoccolo per l’appoggio del ferro, non se ne rispetta la forma tridimensionale. Ci si può trovare ad appoggiare l’utensile su due punti ma non è la norma. Pochi colpi dovrebbero essere necessari in egual misura da una parte e dall’altra se la frequenza dei pareggi è rispettata. L’idratazione del piede, la quantità di materiale da asportare, lo stato dell’utensile stesso fa scegliere quale parte della raspa usare.  Zoccoli secchi e pareti sottili o le zone dei quarti, dettano la scelta della parte fine per non sfibrare. Eccetera.

Chiamo questa fase del lavoro la “fase 1 o di ribasso”.

La maggior parte delle volte purtroppo non troviamo la parete uniformemente consumata. La parete appare più consumata a sinistra o a destra e molto spesso più consumata in punta che ai talloni. Consideriamo le due eventualità separatamente.

La parete si consuma più dalla parte sulla quale maggiormente grava il peso. Se lo zoccolo non è allineato con il corpo ma guarda verso l’esterno (cavallo mancino) la più caricata sarà la parte interna dello zoccolo e viceversa nel cavallo cagnolo. Questa condizione non è modificabile se non esteticamente a sfavore della meccanica.

Funny è una norica di 11 anni, di petto estremamente largo è fortemente cagnola.

Funny è una norica di 11 anni, di petto estremamente largo è fortemente cagnola. eppure  la giusta prospettiva le rende giustizia e gli zoccoli appaiono bilanciati; i talloni atterrano in simultanea proprio perché di differente altezza. non è così bella forse da ferma ma in movimento non ha molte difficoltà.

cagnolo

ancora funny con georgiana, stessa identica età! 11 anni!

ancora funny con georgiana, stessa identica età! 11 anni!

Di conseguenza il lavoro di ribasso ( fase 1 ) riguarderà solo, a seconda della gravità del difetto, la sola parte meno sottoposta ad usura. Sempre e per tutta la durata della vita dell’animale. Il tratto di parete meno consumato, se non ridotto con i pareggio è esso stesso motivo di ulteriore deformazione. La parete si deformerà o romperà a seconda della sua densità e resistenza. Continuamente sollecitata dalle forza di reazione al peso tenderà ad abbandonare la sua posizione rispetto alle strutture interne (flare). Non c’è molto da pensare e quanto va fatto è già chiaro prima di alzare lo zoccolo. Basta constatare che l’asse longitudinale dello zoccolo o degli zoccoli, non è parallelo a quello maggiore del cavallo, ci si aspetta di trovare un tratto più consumato dell’altro.

la parete si presenta consumata e diversamente danneggiata a destra, assai meno consumata e rotta a sinistra. il nostro primo intervento sta nella riduzione della parte destra. se questo fosse un anteriore sinistro il cavallo potrebbe essere cagnolo o mancino?

la parete si presenta consumata e diversamente danneggiata a destra, meno consumata  a sinistra; il nostro primo intervento sta ovviamente nella riduzione della parte a sinistra, se questo fosse un anteriore sinistro il cavallo sarebbe cagnolo o mancino?

Diverso e di più difficile interpretazione è il caso del consumo non eguale della parte anteriore e posteriore del piede. Spero che la lunga parentesi che segue sia utile a comprendere le difficoltà che si incontrano ed a porvi mano. Dobbiamo chiederci quale ne è il motivo e se ci è consentito “livellare” le parti come ci piacerebbe o vorremmo aver trovato senza arrecare un danno maggiore.

la foto è leggermente sfuocata ma potete notare che nella parte anteriore del piede la parete è a livello della suola mentre i talloni sono sporgenti e l'angolo di inflessione si trova spostato avanti rispetto alla parte posteriore del fettone. troverete questa foto anche nel prossimo articolo ma per ora l'accento può essere messo sulla cautela nel ribasso dei talloni.

la foto è  sfuocata ma potete notare che nella parte anteriore del piede la parete è a livello della suola.

Il consumo maggiore della punta può essere determinato non da un difetto del cavallo ma dalla andatura imposta dal cavaliere. E’ il caso di alcune discipline americane. Se il terreno è fortemente abrasivo, andatura imposta e terreno si danno una mano per consumare fortemente le punte. Più spesso però non è una andatura imposta ma lo stato di immaturità della parte posteriore del piede a creare sensibilità o dolore ed un conseguente atterraggio di punta. Ancora più frequente è la semplice infezione del fettone a costringere l’animale a caricare prima e maggiormente le punte nel tentativo di evitare fastidio alla parte posteriore del piede. In questi casi non possiamo ridurre l’altezza dei talloni a priori riferendoci ad un modello.

Un tallone più alto, per quanto sfavorevole meccanicamente ad un animale sano, è l’esito del minore consumo. Se debbo appoggiarmi ad un bastone la soluzione, se c’è, non è quella di togliermelo. Come non è quella di ridurre l’altezza del tallone ad ogni pareggio. La nostra attenzione deve essere rivolta alla ricerca della causa. L’igiene del posto, stato del terreno, l’eliminazione delle zone profondamente fangose, la disinfezione quotidiana, libertà di movimento. 

Non nego un intervento di riduzione della altezza della parete ai talloni rispetto al piano della suola all’angolo di inflessione, anzi. Sostengo che questo deve accompagnare il resto e non precedere, essere una azione mirata e progressiva. E’ uno dei nostri obiettivi quello di riportare i talloni ad una altezza accettabile e tutte le parti del piede ad una corretta relazione tra loro. Questo obiettivo non deve essere perseguito su un modello ma ragionato ed adattato alla circostanza reale. Diversamente creeremmo le condizioni per un peggioramento dell’atterraggio di punta.                               Un esempio. Un  fettone infetto fa si che l’animale cerchi di sottrarre la parte posteriore del piede dal contatto con il suolo. Il tallone si consumerà di meno. La soluzione non è quella di abbassare il tallone. La troviamo nella disinfezione e cura del piede e nell’igiene del suolo.

La profondità delle lacune laterali al fettone nella parte posteriore del piede ci aiuta ad elaborare un piano ed a verificare l’efficacia della nostra azione a lungo termine. La profondità delle lacune é in stretta relazione alla salute della parte posteriore del piede.  Se abbiamo lasciato il cavallo con lacune nella parte posteriore del piede a titolo di esempio di 25 mm. (badate bene intendo qui al lordo della sporgenza della parete dalla suola, il riferimento per la determinazione di quella che intendiamo profondità delle lacune è il margine della suola e non la parete) e lo troviamo dopo poco più di un mese con una profondità, sempre lorda, di 34 mm. chiaramente durante il periodo l’animale non ha usato e caricato la parte posteriore del piede. Di quanto prodotto ai talloni nel periodo, 9 mm, non è stato consumato nulla o quasi. Ribassare la parete ai talloni ( se questo abbiamo fatto) non è servito, il materiale si è riformato, nessun lavoro lo ha consumato e la situazione magari è peggiorata. La nostra scelta è da rivedere oppure dobbiamo considerare se il terreno o una altra variabile sono intervenuti. Se ritroviamo invece le stesse misure il cavallo ha consumato la parete che ha prodotto ai talloni. Quindi li ha usati!  Se ci atterra sopra significa che il disagio provato  è diminuito. Possiamo azzardare un ulteriore ribasso. (quanto e se nessuno ve lo può spiegare; é frutto della continua osservazione ed esperienza). Infine se troviamo misure inferiori a quelle della volta precedente? Invece di esultare andiamo a cercarne il motivo e potrebbe essere non piacevole. Quanto ha camminato, dove e come quel cavallo?

Questi esempi non esauriscono il tema, sono solo agli estremi delle varie possibilità.

Nettamente diverso è il caso contrario di consumo maggiore ai talloni. Anche in questo caso non si può prescindere dalla misurazione della profondità delle lacune. Misuriamo la profondità delle lacune sia nella parte posteriore del piede che all’apice del fettone. Se la profondità all’apice è maggiore che posteriormente siamo di fronte ad un accumulo di materiale sulla suola nella parte anteriore del piede. Ne può essere causa la posizione troppo avanzata del piede rispetto al corpo ed è maggiormente riscontrabile nei posteriori (sotto di sé). Mentre va ricercata la causa, e non è detto che ci sia una soluzione, è necessario intervenire subito riducendo lo spessore del materiale depositatosi impropriamente sulla suola nella parte anteriore del piede. Questo va fatto da un pareggiatore davvero qualificato tante sono le variabili ed i pericoli sottostanti. Lo zoccolo si presenta con una inclinazione veramente ridotta, la punta allungata in avanti, il tallone basso. Non si tratta di uno zoccolo laminitico ma deformato a causa della reiterata posizione ed andatura. La punta riportata indietro e l’eventuale rimozione di materiale sulla suola nella parte anteriore del piede consente all’animale di trasferire l’arto in una posizione più appropriata immediatamente se altre cause non lo impediscono. Come nel caso del consumo non simmetrico sulla parte laterale (esterna) o mediale (interna) dello zoccolo l’accumulo è esso stesso causa di ulteriore deformazione e sbilanciamento e deve essere rimosso.

in questo caso è stato sufficiente ridurre l'altezza della parete lungo tutto il perimetro ma soprattutto in punta per riportare la terza falange in una posizione più corretta rispetto al piano di appoggio. la profondità della lacune (considerando anche la parete) da maggiore all'apice del fettone è tornata ad essere maggiormente profonda in corrispondenza della parte posteriore del fettone. la suola e i suoi depositi, modesti, non è stata toccata. ne riparleremo con le piogge.

in questo caso è stato sufficiente ridurre l’altezza della parete lungo tutto il perimetro ma soprattutto in punta per riportare la terza falange in una posizione più corretta rispetto al piano di appoggio. la profondità della lacune (considerando anche la parete) prima del pareggio maggiore all’apice del fettone è tornata ad essere meno profonda rispetto a quella in corrispondenza della parte posteriore del fettone; i depositi sulla suola, modesti, non sono stati toccati. 

Il proprietario o comunque il neofita possono affrontare tutto questo se si dedicano con impegno e passione. Si dovrebbero limitare altrimenti al lavoro di ribasso quando il consumo è uniforme su tutto il perimetro o farsi istruire sul da farsi negli altri casi o meglio ancora far sistemare i “piani” ad un vero professionista in grado di spiegare i principi e motivi che lo guidano.

Quanto vogliamo infine che sporga la parete dal piano della suola? Questo è un altro punto “caldo”. E’ mia opinione che non ci sia né possa essere data una risposta con un numero. I famosi tre millimetri sono un valore medio che può essere valido o meno a seconda della penetrabilità del terreno e conseguente presa o grip, dal peso del cavallo e dimensioni dello zoccolo, dallo spessore della parete, dalla attività. Una parete sottile o compromessa non accetta infatti di essere lasciata lunga quanto una robusta. Un piano di appoggio duro non permette una parete protrudente che è utile invece su terreni penetrabili e scivolosi.

Vedete che anche volendo, trattare gli argomenti dando regole non è possibile. E’ necessario pensare ed adeguare l’azione alla situazione. Riassumendo il nostro obiettivo è quello di tagliare l’unghia proprio come fosse una delle nostre tenendo presente che lo zoccolo non è il piede di una ballerina ma la mano di un fabbro. Le unghie devono essere corte altrimenti si rompono si deformano e fanno male. Un’unghia può diventare più lunga dell’altra se utilizziamo una mano o un dito o una parte di più. Serve buon senso, la conoscenza e la valutazione obiettiva dell’ambiente e del cavallo.

Spero di avervi dato motivi di riflessione e modo di comprendere ciò che si presenta quando osservate uno zoccolo a terra e poi lo sollevate.

Con questo si esaurisce la fase 1 o di ribasso della parete. Nel prossimo articolo parleremo del contenimento della parete o “riduzione di capsula”.

Il pareggio in pratica – 1

Il lettore di lingua madre inglese che vuole collaborare e  può tradurre questi articoli è benvenuto.

Inizio a descrivere in dettaglio in una serie di articoli il pareggio del cavallo. Leggete  “ il pareggio di un gruppo di cavalli che vive in libertà a Pieve S.Stefano” per una visione d’insieme.
Se mi sarà possibile aggiungerò dei disegni agli articoli al fine di renderli più comprensibili.
Non pretendo di insegnare. Descrivo le mie impressioni e ciò che nel tempo mi ha permesso di ottenere dei notevoli risultati. Molti dettagli potrebbero essere aggiunti ma lo farete voi stessi come risultato della vostra applicazione.
Mi rivolgo al proprietario che desidera emanciparsi e far da sé ottenendo risultati comparabili o anche migliori di quelli ottenuti da un frettoloso o spesso improvvisato “professionista”.
Il presupposto, a questo livello, è un animale senza particolari problemi né difficoltà di manipolazione, sufficientemente diritto e sano oppure già instradato sulla via della riabilitazione.
Farò per forza di cose riferimento a situazioni anormali se non altro per renderne possibile l’identificazione.

Tutte le azioni di pareggio dovrebbero far seguito al prelievo del cavallo da uno spazio aperto. Il cavallo è certamente meno disposto a star fermo per il tempo che si rende necessario per il pareggio, 20 minuti o più, se ha patito una lunga restrizione del movimento in un box o in un piccolissimo recinto.
Per maggiore sicurezza è sempre meglio essere in due, avere un assistente che controlla l’ambiente circostante mentre voi siete “sotto il cavallo”. Se non altro in caso di incidente o bisogno si ha una spalla. Il ruolo primario dell’assistente è quello di favorire il lavoro disponendo e mantenendo il cavallo nell’assetto o posizione che meglio consente a voi di sollevare lo zoccolo. Deve sapere come fare arretrare o avanzare l’animale di pochi centimetri senza esercitare pressioni elevate e indisponenti, girare il cavallo in senso orario o antiorario, sapere mantenere la sua testa bassa o alta e spostarla verso destra o sinistra. Sono tutte azioni che alleggeriscono il peso che grava sull’arto e sullo zoccolo che si intende sollevare.
L’assistente deve mantenere l’attenzione sull’ambiente e sul compagno per essere tempestivo. Un affiatamento tra i due rende il lavoro notevolmente più celere e meno faticoso soprattutto se l’assistente prepara precedentemente gli zoccoli puliti e idratati. Soprattutto durante la stagione secca e nel caso di animali grandi, e ottima consistenza dei materiali, tenere a bagno gli zoccoli per alcuni minuti o addirittura per trenta minuti  consente di fare un lavoro altrimenti snervante o grossolano. Cavalli da lavoro con zoccoli grandi e forti come il TPR, Norico, Shire.. durante l’estate possono essere pareggiati durante una giornata di pioggia o in occasione della doccia.
L’animale si osserva mentre si va verso la piazzola.  Piazzola adeguata alle condizioni climatiche, riparata dal sole o dalla pioggia, dal fondo consistente e pulito. Ideale sarebbe per il cavallo avere un compagno sufficientemente vicino ma senza possibilità di interferire.
Di solito l’espediente “cibo per calmare” non è favorevole al lavoro. La testa si muove in continuazione, il peso del cavallo si sposta di continuo. Il cavallo veramente agitato non si corrompe con la carota che dura un attimo. A volte non la considera nemmeno.
La disponibilità del cavallo o la presenza dell’assistente elimina la necessità di tenere il cavallo “ai due venti”. Il cavallo costretto a mantenere la posizione può scalciare, muoversi avanti o indietro e lateralmente. Le corde o le catenelle che si sollevano o abbassano, avanzano o indietreggiano rapidamente sono un grave pericolo per chi è vicino e concentrato sulla zampa o su uno zoccolo. Il cavallo disposto ai due venti è indice di ignoranza, insicurezza e assoluta mancanza di horsemanship.
E’ piacevole e rassicurante invece osservare il binomio animale uomo libero da costrizioni e paure su una pavimentazione pulita e antisdrucciolo che può essere semplicemente di terra battuta. Il cavallo in capezza ma libero e la corda di guida disposta in modo da non creare intralcio, il pareggiatore intento al suo lavoro e l’assistente all’ambiente.

Solleviamo quindi il primo zoccolo per il pareggio dopo che tutti e quattro sono stati puliti. Di solito un anteriore. A volte il cavallo si prepara da sé spostando il peso sul lato opposto. Afferriamo il pastorale flettendo le nostre ginocchia, senza piegare troppo la schiena nè abbassare eccessivamente il capo avvicinandolo così al posteriore. Se il cavallo non darà segno di aver compreso, esercitiamo una pressione graduale  con la mano iniziando dalla spalla e scendendo lungo la zampa. Di riflesso quasi sempre l’animale solleva la zampa facilmente se il suo peso non grava proprio su di essa. Insistere é controproducente. Ogni tentativo deve iniziare allo stesso modo partendo dalla spalla.  Aiutare il cavallo a disporsi correttamente riduce i tempi e la fatica.
Se non é stato già fatto liberiamo dalla terra i quattro zoccoli in sequenza, li puliamo e se necessario li laviamo. Osserviamo quindi consumo, particolarità di tutti e quattro e, mentre li puliamo, già consideriamo il lavoro di pareggio da fare. Fin qui non abbiamo fatto altro che quello che facciamo tutti i giorni preparando gli zoccoli per la disinfezione o durante la stagione umida quando spostiamo il cavallo dal suo recinto ad una zona asciutta e pulita.

Pulire gli zoccoli, disinfettarli, consentire all’animale la permanenza su una superficie asciutta ameno parte del giorno costituisce un insieme di norme igieniche basilari. Così come necessario è lo spazio e il movimento, il fieno senza muffe, l’acqua pulita, la rimozione delle fiande.
L’igiene, fisica e mentale, deve appartenere all’animale ed al suo proprietario.
Il proprietario che non provvede e il professionista che non vede e per ignoranza opportunismo o meschinità non rileva, rendono inutile o un palliativo ogni altra cura, la medicina tradizionale o alternativa che sia e svuotano di ogni significato la parola naturale sostituendola con trascuratezza.

Continuando osserveremo una parete maggiormente sporgente dal piano della suola quanto meno il cavallo si è mosso ed ha coperto chilometri e quanto più tempo è passato dall’ultimo pareggio.
Il fondo sarà stato nel frattempo più o meno abrasivo. Le varie condizioni di umidità e penetrabilità compensano in diversa misura la crescita dell’unghia, della suola, del fettone consumandoli. Il pareggiatore è chiamato a ridurre la altezza della parete e eventualmente ad intervenire sulle altre parti riportandole ad un corretto rapporto quando ciò è impedito dalla mancanza di movimento sufficiente su terreno adeguato.
Con un sostanziale distinguo.
Mentre con il movimento il consumo avviene grazie a pressioni, forze, attrito che stimolano la crescita e la produzione di buoni materiali l’azione dell’uomo con i suoi attrezzi prescinde da questo.
Si taglia e si raspa ma non si stimola in alcun modo. Il pareggio non sostituisce l’allenamento e sviluppo delle parti conseguente al movimento ed alle pressioni esercitate sui tessuti che le producono.

Iniziamo il lavoro vero e proprio.  La prima fase consiste nel ridurre la altezza della parete rispetto al piano della suola adiacente lungo tutto il  perimetro. Con tecnica, accortezza, facendo scelte determinate caso per caso da ciò che troviamo, dall’ambiente. Questo sarà argomento del prossimo articolo.

The Barefoot Trimming of a Herd of Horses That Live In Large Open Spaces

 

L’originale in italiano segue la traduzione in inglese. Translation in english thanks to Shona Hagger. 

The Barefoot Trimming of a Herd of Horses That Live In Large Open Spaces.
Barefoot Trimming Practice.

Pieve Santo Stefano. February 13th -14th 2016.
Summary and comments of activities.
At the 2016 barefoot trimming weekend in Pieve Santo Stefano fifteen horses were trimmed and fourteen people of different ages, physical condition and preparation took part. It was evident to everyone the need to satisfy the following important requisites:
First, physical strength, and the ability to put yourself in the different positions necessary for the work of cleaning and trimming: flexibility.
This can be obtained simply through regular cleaning and disinfection of hooves, which should be more frequent if the animals have restricted movement. Second, manual dexterity in using the tools. At this level, we are only using the rasp, which must be of good quality and in good condition. The beginner can practice a series of manual activities that include the use of tools. Working on wood, smoothing surfaces, creating curves and making simple joints. The eye, dexterity and speed will increase rapidly. Then learning to place the animal properly balanced on three feet with the hind legs the correct distance apart and forming a triangle of support.
These all provide an important initial advantage and the necessary conditions to start trimming. The use of sand paper between trims helps train the owner in manual dexterity and position and lengthens the time between professional trims. Sanding should be followed by the use of the fine side of the rasp and then the coarse side and so on.
But, back to the conditions, having developed the ability to withstand the weight of the hoof, to have the animal standing properly and knowing your tools now you need a work plan. Hoof knowledge, knowledge of the function of each part and understanding the work to be done to deal with the growth not worn down by the horse or donkey in daily movement.
The Asvanara horses showed participants how little remains to be done by man to animals that live free in large spaces. Not that this ‘little’ is unimportant or easy. The less there is to do in the trim the easier it is to make blunders.  More over if the foot is in rather precarious conditions even inexpert trimming can perhaps lead to some positive results. Horses who have the freedom to move in large spaces need fewer trims over time. Edwin Wittwer’s Asvanara horses had not been touched since the end of the previous season, for five months. On various terrain of forest and meadow, but not soft and muddy, if not in some areas,  drained thanks to a long dry winter, their frogs were acceptable despite lack of daily or weekly disinfection, their soles were free of exfoliation material and included bars protruding from the sole surface just enough to perform their function, which, among others, is to partly support weight and provide grip.

The walls, worn down with continuous motion, allow the other parts of the hoof to perform their job correctly. A short wall  leaves the other tissues in contact with the ground, active, abrasive, clean, healthy.
We did not see any horse with chalky deposits on the sole, so common in shod or barefoot horses stuck in a small yard or in a stable and deprived of the necessary increased activities with man. No frog corroded by infection despite the season, with its dampness although the rainfall this winter has been scarce. No bar that grows insistently downward in search of load redistribution. Inactivity, or the wall left too long in relation to the penetrability of the ground, on the contrary reduce the function of the frog, sole and bars resulting in weakness, infection and excess growth. No frogs, no bars and no sole were touched in two days.
In no horse.
Remember. Only one horse showed signs of chronic laminitis. I intervened on that horse but did not have the opportunity and time to discuss the disease with the attendants. Beginners.
We restricted ourselves to work on the wall ‘adjusting’, height, reducing just a little and in some cases not at all; reducing the height of the wall sections where due to defects of balance the wall was of different heights on the medial or lateral side. The pigeon-toed horse, loading the outer wall (lateral) of the hoof requires the reduction of the inner wall (medial) and vice versa, the left-footed. If it were possible and necessary the hoof wall was reduced all around the perimeter. Where the toe was more consumed than the heel, the heels were gently lowered, taking into account the desirable position of the solar surface of the third phalanx towards the land but also the stabilizing function of the heels in penetrable soils and possible increased sensitivity and resulting toe landing caused by over trimming in the case of insufficient maturity and density of the rear part of the foot. To this end we introduced hand measurements, signs and drew lines to help provide information for determining the quality of the rear part of the foot and its support platform.
The reduction of the eventual height of the wall, the consideration on the heels and their height I also explained in the classroom to establish a common and repeatable language useful for the transfer of information as an operational first step.
Subsequently working with the rasp in a plane perpendicular to the first we eliminated, over the whole perimeter, all the excess from the ideal foot, making it roughly equidistant from the outer edge of the sole. We also highlighted through contour drawing how this ideal and the work of each trimmer is affected by individual perception. The work of one cannot be, because of a different perception of reality, identical to the work of another even if the average thickness of the wall is imagined by both to be that of the wall portion comprised between the quarter and the toe. We named this step 2, we created a length of the wall or part of it perpendicular to the support plane. This way we identify two points close to each other on the wall, one in contact with the ground plane, the ground or the concrete of the yard, the other a short distance above it which, together with the point where the changed slope of the wall would identify the mass of the wall possibly removable for the reduction of flare and ‘harmonization’ of the sections of wall with one another. Possibly, because it is not said this always occurs nor that it is always desirable as it is not always desirable to make a more elastic and yielding hoof capsule. In my teaching and operating system the owner or the beginner should still refrain from this and limit themselves to the first step intended to reduce the height of the wall, the second step intended to contain it as described and finally the realization of the ‘bevel’. Working in steps 1 and 3 from below and in step 2 in contrast, with the hoof resting on a tripod or held in the air while the other hand works.
In operational step 3, we performed the wall finishing work. Not the famous roll, of which we have discussed limits of use and method of execution, but with a bevel or a plane with its origin in the water line and at an angle of about 30 °- 45 ° to the support surface. This bevel useful to redirect the forces applied by the ground to the wall for the benefit of the containment. A bevel that horses present in the vast majority of cases when sufficiently free to move on penetrable ground. Grass, soil, sand, stones. In our case at Asvanara it came down to redoing a bevel already present after reducing (though not always and not on all the perimeter) the height of the wall. Then just to round off the sharp edge which is generated for the safety and prevention of accidents in contact between one horse and another. Not much, just what was needed.
We described how with the bevel we create the breakover in a mechanically more favorable area.
The work, even though executed by beginners under tutors and many horses was possible despite the weather because a covered concrete yard was available. You cannot put enough emphasis on this last condition for the necessary smooth operation of a trim. The homogeneity of the condition of the horses should draw attention to the direct relation of the environment with the general state of the hoof.
In the future and other articles I would like to see these work steps efficiently. Referring to an healthy horse and the owner at work.

 

Pratica di pareggio. Pieve S.Stefano. 13-14 febbraio 2016. 

Riassunto e commento della attività.

Al fine settimana a Pieve S.Stefano ed al pareggio di una quindicina di cavalli hanno partecipato persone di diversa età, condizione fisica,  preparazione. Si è resa evidente a tutti la necessità di soddisfare numerose condizioni.

Prima, la forza fisica e capacità di disporsi nelle varie posizioni utili al lavoro di pulizia e pareggio. A questa condizione ci si prepara semplicemente grazie alla pulizia e disinfezione degli zoccoli che dovrebbe essere tanto più frequente quanto più gli animali rimangono in restrizione di movimento. Seconda, la capacità di utilizzo degli attrezzi. In questo caso la sola raspa che deve essere di buona qualità ed in buono stato. Il principiante può esercitarsi in una attività manuale che comprenda l’uso degli attrezzi. Il lavoro su legno, la realizzazione di superfici piane, curve, semplici incastri. L’occhio, la manualità, la velocità aumentano rapidamente. Segue la capacità di disporre l’animale correttamente ben stabile su tre arti con i posteriori distanti tra loro e quindi in grado di formare un bel triangolo di appoggio.

Tutto ciò costituisce un grande vantaggio iniziale anzi è condizione necessaria al lavoro di pareggio. L’uso della tela smeriglio tra un pareggio e l’altro allena il proprietario e allontanerebbe i pareggi professionali uno dall’altro. Dovrebbe seguire l’utilizzo della parte fine e quindi grossa della raspa e così via.

Ma, tornando alle condizioni e sviluppata la capacità di sopportare il carico della zampa, disporsi e disporre l’animale nel modo corretto e conoscendo l’attrezzo, necessita un piano di lavoro. La conoscenza dello zoccolo, la conoscenza della funzione di ogni sua parte e l’individuazione del lavoro da compiere per fare fronte a quanto non consumato dal cavallo o asino nel movimento.

I cavalli di Asvanara hanno dimostrato ai partecipanti quanto poco rimanga da fare  all’uomo ad animali che vivono liberi in grandi spazi. Non che questo “poco” sia di scarsa importanza o facile. Quanto meno c’è da fare nel lavoro di pareggio tanto più facile è compiere errori grossolani, quanto più lo zoccolo è invece trascurato tanto più il lavoro anche poco esperto può condurre ad una situazione migliore. I cavalli con possibilità di muoversi in grandi spazi necessitano di pareggi più lontani nel tempo. I cavalli di Edwin Wittwer, Asvanara, non venivano toccati dalla fine della stagione precedente, da cinque mesi. Su terreni vari di bosco e prato, penetrabili ma non nel fango, drenati anche grazie ad un inverno a lungo secco, hanno mostrato fettoni accettabili nonostante la mancanza di disinfezione, suole libere da materiali di esfoliazione, barre contenute, pareti protrudenti dal piano della suola quel tanto che basta a svolgere la loro funzione, tra le altre, di parziale sostegno del peso e grip.

Le pareti, consumate dal continuo movimento, lasciano svolgere correttamente alle altre parti il loro lavoro. La parete corta lascia che gli altri tessuti si mantengano a terra, attivi, abrasi, puliti, sani.

Non abbiamo visto nessun cavallo con depositi di materiale gessoso sulla suola, così comune nei ferrati o nei cavalli scalzi mortificati in un campetto o in un box.  Nessun fettone corroso dall’infezione nonostante la stagione, umida anche se le precipitazioni questo inverno sono state scarse. Infine nessuna barra che prepotentemente cresce verso il basso alla ricerca della redistribuzione del carico. L’inattività, o la parete lasciata troppo lunga in relazione alle condizioni di penetrabilità del terreno, al contrario tolgono dalla funzione fettone suola e barre con conseguente indebolimento, infezione ed accumulo. Nessun fettone, nessuna barra, nessuna suola è stata toccata in due giorni. In nessun cavallo.

Ci si è limitati al lavoro “di aggiustaggio” sulla parete, riduzione dell’altezza di poco ed in alcuni casi nulla. A ridurre l’altezza di tratti di parete quando a causa di difetti di appiombo si presentava diversa sul lato mediale o laterale. Il cavallo cagnolo, caricando maggiormente la parete esterna (laterale) dello zoccolo necessita la riduzione della parete interna (mediale) e viceversa il mancino. Se possibile e necessario si è ridotta la parete su tutto il suo perimetro. Nel caso di parete più consumata in punta che ai talloni, i talloni sono stati abbassati gentilmente tenendo in conto la posizione desiderabile della faccia soleale della terza falange nei confronti del terreno ma anche la funzione stabilizzante nei terreni penetrabili e la eventuale maggiore sensibilità e conseguente atterraggio di punta determinato dal loro ribasso nel caso di insufficiente maturità e densità della parte posteriore del piede. Abbiamo introdotto a tal fine gesti, manualità, segni, utili alla determinazione della qualità della parte posteriore del piede e della sua piattaforma di appoggio.

Successivamente lavorando con la raspa su un piano perpendicolare al primo abbiamo eliminato su tutto il perimetro quanto fuoriusciva dall’impronta ideale. Abbiamo anche evidenziato disegnandolo  questo contorno ideale ed quanto il lavoro di ognuno risenta della percezione individuale. Il lavoro di uno non può essere, a causa della diversa percezione della realtà, identico al lavoro di un altro. Nel fare questo, e nominiamo la fase, fase operativa 2, creiamo un tratto nella parete o lungo una parte di essa perpendicolare al piano di appoggio.  Identifichiamo così due punti ravvicinati sulla parete, uno a contatto con il piano di appoggio, il terreno o il cemento della piazzola, un altro poco distante al di sopra di esso che, insieme al punto dove la parete cambiasse di pendenza identificherebbe la massa di parete eventualmente asportabile per la riduzione della flare e “armonizzazione” dei tratti di parete uno con l’altro. Eventualmente, perchè non è detto questo si verifichi né che sia sempre desiderabile non essendo sempre desiderabile rendere più elastica e cedevole la capsula cornea. Capsula cornea che aumenta di spessore naturalmente procedendo dai quarti verso la punta, dove raggiunge lo spessore massimo. Nel mio sistema didattico ed operativo il proprietario o il principiante dovrebbe astenersi comunque da questo e limitarsi alla fase 1 intesa alla riduzione dell’altezza della parete, alla fase due intesa al suo contenimento (eliminazione delle parti di unghia deformate)  ed infine alla realizzazione del “bevel”.

Con la terza operazione, fase operativa 3, abbiamo eseguito il lavoro di finitura della parete. Non il famoso roll, di cui abbiamo discusso limiti di impiego e modalità di esecuzione, bensì con un bevel ovvero un piano con origine nella water line e ad angolo di circa 25°-30° con il piano di appoggio. Bevel utile a reindirizzare le forze applicate dal terreno sulla parete a beneficio del contenimento. Bevel che i cavalli presentano nella stragrande maggioranza dei casi quando sufficientemente liberi di muoversi su terreni penetrabili. Prato, terra, sabbia, pietrame. Nel nostro caso ad Asvanara si è trattato di rifare un bevel già presente dopo avere ridotto non sempre e non su tutto il perimetro, l’altezza della parete. Per poi arrotondare appena lo spigolo vivo che si genera a solo vantaggio della sicurezza e prevenzione di incidente nel contatto tra un cavallo e l’altro. Non molto ma ciò che era necessario.

Abbiamo descritto come con il bevel si realizzi il breakover nella zona meccanicamente più favorevole.

Il lavoro, sia pure eseguito da principianti sotto tutor e su parecchi cavalli è stato possibile nonostante le condizioni atmosferiche perchè era disponibile una piazzola in cemento coperta. Non si può mettere accento sufficiente su questa ultima condizione necessaria alla buona esecuzione di un pareggio. L’omogeneità della condizione dei cavalli dovrebbe richiamare l’attenzione sulla relazione diretta ambiente e stato generale dello zoccolo.

Nei prossimi articoli “il pareggio in pratica” le varie fasi di lavoro sono analizzate una per una.

Asvanara. Allegra tra i partecipanti al workshop. sabato, 13 febbraio 2016

Asvanara. Allegra tra i partecipanti al workshop.
sabato, 13 febbraio 2016

Cura precoce dello zoccolo

di Leonardo de Curtis

Nel praticare la mia attività di pareggiatore naturale, ho avuto purtroppo modo di constatare negli anni come in Italia sia molto diffusa la pessima abitudine di trascurare la cura dello zoccolo nei puledri in crescita. Succede spesso che i puledri arrivino a sei mesi o addirittura un anno e oltre di età senza essere mai stati controllati e pareggiati da un veterinario, maniscalco o pareggiatore, con conseguenze talvolta disastrose. In molti casi non vengono nemmeno addestrati a dare i piedi! Questa cattiva abitudine, che a prima vista può sembrare economicamente vantaggiosa, è in realtà assai miope, e sul lungo periodo si rivela spesso anche estremamente dispendiosa. Infatti, a causa della mancanza di una manutenzione competente e tempestiva, molti di questi puledri sviluppano rapidamente seri problemi agli arti e difetti del movimento, che si porteranno dietro per il resto della loro vita e che aumenteranno i costi di gestione sotto forma di veterinari, ferrature/pareggi correttivi, farmaci e altre spese accessorie.

Continua a leggere

Sveglia! Riconoscete la laminite.

Commento di Franco Belmonte dell’articolo “Ray Story” pubblicato sul numero 52 di “The Horse’s Hoof” magazine,  2013.

La storia di Ray cui faccio riferimento é emblematica della situazione nella quale si trova la maggior parte dei proprietari di cavalli e asini,  laminitici. Nonostante la giovane età Ray ha subito gravissimi danni ma a giudicare dai risultati la terza falange all’interno della capsula cornea doveva essere ancora integra o quasi. Normalmente ed a causa della ignoranza in materia i professionisti non sono in grado di realizzare quello che non solo nel barefoot ma anche nella comune mascalcia é d’obbligo: il riallineamento e riposizionamento della capsula cornea intorno alla terza falange (o quello che ne resta nei casi più gravi). Il riposizionamento é descritto nei protocolli barefoot (vedi ad esempio AHA) ma anche in quelli che non escludono a priori la ferratura come l’ECIR. Lo stesso Adams’ descrive a grandi linee le linee di taglio e di intervento per il pareggio, anche se propedeutico alla ferratura. Purtroppo tutte queste opzioni rimangono spesso sulla carta a causa della ignoranza ed arretratezza della mascalcia, senza una chiara posizione espressa nell’interesse degli animali . Mi spiace ma se così non fosse non si spiegherebbe le quantità di animali laminitici con zoccoli deformati ed abbandonati al loro destino ed alla eutanasia. Le pubblicazioni ci sono, gli specialisti pure e le giustificazioni futili. Basta uscire dal solito giro e dai preconcetti. La storia di Ray é la solita. Un proprietario pur bravo e sensibile, un cavallo allevato e gestito tradizionalmente, un maniscalco, altri professionisti che saranno ben passati di lì ma incapaci di vedere e comprendere. Non è lecito attendere che un cavallo sia per terra o cammini malamente per riconoscere che è stato vittima o sarà facilmente vittima della patologia. Il primo obiettivo e la prima motivazione della medicina sono la prevenzione e l’onestà.

Ancor peggio quando pur essendo conservato il parallelismo tra parete e falange quest’ultima ha abbandonato la sua posizione spostandosi verso il basso ( dire movimento verso l’alto della capsula é la stessa cosa ). La distanza tra parete e terza falange, la posizione del processo dorsale della terza falange rispetto alla linea del pelo in corona, quindi la collocazione della articolazione interfalangea distale nello spazio  ha un significato la cui importanza sfugge ed è trascurato dai più. Invito tutti coloro che dovrebbero avere capacità di interpretazione di immagini radiografiche a leggere la parte iniziale del lavoro di C.Pollit:

http://www.safergrass.org/pdf/AftertheCrash.pdf

Della pubblicazione riporto un passo :

“As the histopathology of laminitis clearly shows, the major feature of acute laminitis is a progressive increase in the distance between the hoof wall and the distal phalanx. Initially this distance is microscopic in scale, but rapidly progresses to a separation measurable in millimeters. In radiological terms, this translates to an increase in the distance between the outer hoof wall and the upper surface of the distal phalanx; for convenience, the hoof, distal phalangeal distance (HDPD). The HDPD never varies in normal horses (Fig 6). If the HDPD increases, laminitis is the likely cause and it is extremely important to know the rate and magnitude of the HDPD increase. Good quality radiographs, documenting the shifting status of the distal phalanx within the hoof capsule, supply important diagnostic and prognostic information and should be part of the work- up of every laminitis case”.

Non si tratta di barefoot o di ferratura, l’ignoranza sulla gravità del “sinker” e le sue necessità di riabilitazione, in primo luogo la dieta, non possono più essere nascoste o trascurate. Capita invece di vedere cavalli chiaramente in questa situazione che continuano ad essere allenati, montati nel silenzio.

Continua a leggere

Talloni. Contrazione. Azione.

Un articolo di Leonardo de Curtis (Ipparco) ed a seguire un commento di Alex.
Talloni contratti e fettoni infetti sono il risultato di scelte e comportamenti sbagliati.
Commento di Franco in chiusura.

Leonardo (Ipparco)
Argomento complesso e spesso travisato nel suo significato di fondo, l’allargamento dei talloni merita a mio avviso un po’ di riflessione.
Sento spesso dire cose come “il mio maniscalco ha messo dei ferri di una misura più grande per far allargare i piedi”, oppure vedo interventi fatti sui piedi che cercano di “forzare” il piede ad allargarsi ai talloni ecc. Da dove nasce tutto ciò?
Un piede ben sviluppato e sano lo si riconosce anche da talloni (e glomi) larghi, robusti, un fettone voluminoso e un cuscinetto plantare ben sviluppato e con una consistenza piuttosto solida.
Questo più o meno da sempre, sulla base di osservazioni empiriche. Negli ultimi 10-15 anni anche gli studi clinici e le ricerche scientifiche hanno concluso che cavalli con questo tipo di conformazione sono meno soggetti a zoppie, e vivono più a lungo e più sani.
Di contro, un piede con talloni stretti, deboli e contratti è da sempre associato a problemi, zoppie e cavalli che durano poco e hanno vita grama. E anche questo è stato confermato da studi clinici ed istologici.
La domanda di fondo quindi dovrebbe essere: “E’ possibile far passare un piede dalla condizione N°2 (contratto e debole) alla condizione N°1 (largo e sano)?”
La risposta, sulla base di studi scientifici ed esperienze empiriche, è sì.
Il come invece è un argomento molto più complesso.
Tradizionalmente s’è sempre cercato principalmente di “forzare” i talloni ad allargarsi, lavorando principalmente a livello del terreno, generando, in vari modi, forze che tendessero a “spingere in fuori” i talloni.
Questo approccio, sulla base degli studi scientifici più recenti (e del buon senso), è completamente inutile, se non terribilmente dannoso. Il problema di fondo non sono i talloni stretti, bensì un mancato sviluppo delle strutture interne. Non si risolve un problema eliminando i sintomi. Bisogna aggredire la causa.
Quindi? Qual’è la causa?
La causa di un mancato sviluppo del cuscinetto plantare, delle cartilagini alari, e in parte anche della 3a falange è la mancanza di un’adeguata stimolazione di queste strutture nei primi anni di vita dell’animale. Fatto, questo, dimostrato scientificamente sulla base di analisi istologiche ed esperienze sperimentali, sia sui cavalli che sui bovini.
Stabulazione in box, mancato pareggio, ferratura troppo precoce, terreni troppo morbidi sono tutte condizioni (comunissime, purtroppo) che precludono o rallentano il corretto sviluppo delle strutture interne allo zoccolo, predisponendo il cavallo ad avere piedi deboli, sottosviluppati, con talloni contratti.
Cercare di allargare questi piedi forzandoli ad aprirsi è come pretendere di raddrizzare la schiena ad uno con la scoliosi legandolo a un travetto di legno. La cura è peggio della “malattia”.
E quindi? Cosa bisogna fare?
Bisogna cercare di rimettere al lavoro le strutture interne.
Questo cosa vuol dire?
Vuol dire che il fettone, e in particolare la zona che va dalla punta del fettone a circa 1/3 della sua lunghezza totale, dev’essere sottoposto a innumerevoli cicli di compressione e rilascio, e che il retro del piede dev’essere libero di flettersi, deformarsi, comprimersi, sia in verticale che in senso trasversale.
Questo processo stimola un gruppetto di cellule altamente specializzate, che nei puledri si trova nella zona in cui il tendine flessore profondo si inserisce sulla terza falange, a riprodursi e propagarsi all’interno del cuscinetto plantare, formando fasci di robusta fibrocartilagine che vanno ad irrobustire e “riempire” il retro del piede, trasformandolo in una struttura coesa, compatta e resistente.
Questo è uno dei motivi per cui ferrare un cavallo prima dei 5 anni di età (quando raggiunge il suo peso adulto) è una mossa assai sbagliata e controproducente: il ferro, irrigidendo artificialmente il piede e sollevando il fettone da terra, blocca quasi completamente lo sviluppo delle strutture interne, impedendo al piede di diventare come potrebbe e dovrebbe essere.
La buona notizia qual’è?
Che anche nei cavalli adulti, rimane la capacità del piede di riprendere e completare lo sviluppo delle strutture interne, se vengono creati i giusti presupposti.
Ovvero?
Prima di tutto al cavallo dev’essere dato modo di muoversi tanto, possibilmente sempre, e gli dev’essere data anche una ragione per muoversi, ad esempio un altro cavallo.
In secondo luogo occorre far sì che il piede ricominci a lavorare come dovrebbe: fettone attivo, compressione e rilascio, flessibilità ecc.
Dev’essere per forza scalzo?
Sarebbe meglio, ma si può fare qualcosa anche tenendolo ferrato. I ferri a mezzaluna o la ferratura Charlier sono una possibilità. Ferri normali (leggeri) con l’uso di riempitivi siliconici o poliuretanici possono avere qualche effetto positivo. Ferri in plastica con o senza riempitivi possono ridare flessibilità e stimolazione senza rinunciare alla comodità di una protezione permanente. Scarpette, incollate o meno, sono un’ottima alternativa.
Ognuna di queste soluzioni ha i suoi pro e i suoi contro.
L’unica cosa che non funziona è continuare a ferrare “come una volta” e stare a guardare che succede.
L’altro errore madornale che vedo commettere di continuo è aspettare troppo tra un pareggio e il successivo, o tra due ferrature. Non si risparmia, facendo così. Si buttano i soldi del pareggio o della ferratura precedente, e si ricomincia daccapo. La tempestività degli interventi è una delle chiavi di volta per ottenere dei miglioramenti..

il posto ideale … esiste. Il cavallo di Leonardo Consalvi a paseggio in un greto. Ideale da recintare con pezzetti di rive stagionalmente.

il posto ideale … esiste. Il cavallo di Leonardo Consalvi a passeggio in un greto. Ideale da recintare con pezzetti di rive stagionalmente.

Continua Alex:
Vi ricordo che (con la mia “mezza scarpetta”, ricordate?) ho realizzato la “quadratura del cerchio”:protezione della suola della punta e piena esposizione al terreno dei talloni e fettone; proprio come una ferratura a lunetta ma senza irrigidire nemmeno un poco la muraglia.
Piuttosto, il ragionamento di Ipparco è in linea con i principi sostenuti già anni fa da Ramey, ossia: il backfoot deve lavorare duro, ma assolutamente senza dolore, quindi con protezioni adeguate ma “fisiologiche” in caso di fastidio. Nei piedi difficili, doloranti, indeboliti questo significa: scarpette e solette ben studiate e lavoro, lavoro, lavoro. Ricordo il “paradosso del cavallo navicolitico”: molti cavalli navicolitici, che soffrono di dolore alla parte posteriore del piede e che quindi usano ferri a uovo o pianelle per “proteggere” la parte dolorante (con risultati spesso discreti, nel breve periodo, il che rende la pratica molto diffusa) smettono di zoppicare con le scarpette e con una soletta a cuneo sotto il fettone, che aumenta la pressione sul fettone stesso. Nel momento in cui il dolore si attenua, il cavallo ricomincia ad appoggiare bene i talloni e quindi a stimolare efficacemente le strutture profonde (se lavora!); e la situazione migliora. Secondo questa teoria, pianelle e ferri a uovo avrebbero l’effetto esattamente opposto: eliminando ogni stimolazione al fettone, perpetuano e, nel tempo, accentuano la debolezza delle strutture interne del piede.

Franco:
Mi capita ancora di sentir dire “ho scavato un po’ all’angolo di inflessione per favorire l’allargamento dei talloni, solo un po’ eh, un paio di millimetri …”
Se le pareti nella zona posteriore del piede sono divergenti, anche solo un po’, le forze di reazione del terreno provvedono a far si che la piattaforma posteriore si ampli, lavori e irrobustisca. Quel che serve è il movimento su un terreno adatto E una altezza dei talloni fisiologica tale da far si che l’animale non provi dolore perché troppo bassa né che la struttura ceda e si deformi perché troppo alta. Il terreno con la sua penetrabilità, le caratteristiche di aderenza e scivolosità possono dettare aggiustamenti. Anche lo stato del cavallo, tendini e legamenti, entrano nelle considerazioni. In una parola talloni appena sporgenti, nella maggioranza dei casi, dal piano della suola vera all’angolo di inflessione. Della individuazione e rispetto di questo piano ci sarebbe da scrivere a parte, la trattazione è molto più semplice se accompagnata alla pratica.
Se invece le pareti sono perpendicolari al terreno o strapiombanti, come nel caso di gravi difetti, l’indebolimento strutturale gioca a sfavore. Un indebolimento strutturale gioca sempre a sfavore, semmai la struttura va indirizzata e ricondotta verso la normalità dopo l’abbandono o gli sbagli.
Già nella “Storia della ferratura” di Fleming si parla di molle inserite tra i talloni per “allargarli” chissà con quale risultato. Evitando medievali tecniche, sarebbe il caso di limitarsi ad attendere ed accontentarsi. La parte posteriore del piede è in grado di pensare a se stessa se messa in grado di farlo mentre i tentativi umani paiono grotteschi. Desidero richiamare un pensiero di Jackson riguardo alla concavità delle suole. Jaime irride alla nemesi della suola “più concava”,”il mio cavallo ha la suola più concava della suola del tuo” invitando a tenerci quello che … noi abbiamo scelto o, di volta in volta e giorno per giorno, determinato. Lo stesso atteggiamento vale per i talloni. Se la loro contrazione è stata provocata da un difetto di gestione é quella che deve essere abbandonata si tratti di limitazione del movimento, di ferratura senza riposo, di ferratura ad intervalli economici o pareggio insulso.
Di gestione si tratta, raramente di carattere acquisito ed immutabile, semmai determinato successivamente e non da forzare con la stessa, questa si, immutata ignoranza.
Da Lamarck in poi qualsiasi biologo ritiene che qualsiasi tessuto biologico non può che trarre giovamento dal maggiore utilizzo e non può che atrofizzarsi se messo da parte. La genetica certo interviene determinando la maggiore o minore capacità di reazione allo stimolo oltre che con la dotazione di partenza.
Sembra chiaro e semplice ad un biologo o naturalista, non altrettanto ad altre categorie se è necessario che una veterinaria come la dr. Taylor (Auburn University) imposti un programma di lavoro di ricerca per la dimostrazione che il piede equino può svilupparsi sotto carico. Altrettanto significativo è che alla sua domanda di collaborazione abbiano risposto entusiaste solo industrie casearie e allevatori di bovini direttamente interessati alla maggiore salute animale perché direttamente in relazione con la produzione. Il preconcetto e l’ignoranza sono un ben brutta cosa. Forse ancor peggio è negare deliberatamente ad una parte anatomica le sue prerogative al fine di non metterne in discussione un utilizzo altrimenti censurabile.
http://hoofrehab.com/P2%20and%20P3%20development.pdf
http://hoofrehab.com/A%20bovine%20model%20for%20equine%20digital%20cushion%20development.pdf
Questi link riportano a ricerche (modificazione della terza falange e del cuscinetto digitale) effettuate ed in corso, dirette dalla dottoressa Taylor e da Pete Ramey che interviene anche economicamente a sostegno tramite la American Hoof Association.